Qualche tempo fa mi chiama al telefono una mia cara amica per chiedermi una favore. Deve fare una visita un po’ delicata, in uno studio medico a Perugia, da un professore, bravo le dicono, molto bravo. Mi racconta infatti che ha avuto qualche problema di salute nei mesi scorsi, che è andata dal suo medico e le ha consigliato di rivolgersi a questo primario al Santa Maria della Misericordia di Perugia. Rivolgersi, sottolinea il suo medico, al suo studio privato naturalmente. Accompagno la mia amica in questo studio medico in una fredda mattina di dicembre. Non ha nulla di particolare lo studio, è pulito, ben tenuto,si trova al piano terra di un palazzo di nuova costruzione. Lo dividono due medici, una donna e un uomo appunto, il professore, bravo, molto bravo, a cui si è rivolta la mia amica. Ci sono due sale d’aspetto, alle pareti le stampe di alcuni quadri famosi, sui tavolini la solita pila di riviste, giornali, settimanali, nuovi vecchi e vecchissimi che si trovano, mischiati alla rinfusa, in ambienti di questo tipo. C’è da aspettare, ci sono delle persone, tutti devono essere visitati dal professore bravo, molto bravo. La collega, non so se brava quanta lui, quella mattina non c’è. Attendiamo una quarantina di minuti poi entriamo. Il professore ha maniere gentili, ma non si lascia andare troppo. E’ sulla sessantina, non tradisce nessun accento, ha la mascella squadrata,ha molti capelli, sono tirati all’indietro, occhiali forse un po’ piccoli per il suo volto. La visita dura un quarto d’ora, controlla alcuni certificati, fa una serie di domande, compila una scheda anamnestica. Avanza qualche ipotesi circa i problemi della mia amica ma non si sbilancia sulla diagnosi. Le dice che c’è bisogno di fare delle analisi più approfondite:dovrà recarsi all’ospedale di Perugia, nel reparto che lui dirige, a fare degli esami con i suoi collaboratori. Ha già un’idea comunque, la spiega alla mia amica con lucida chiarezza,le dice di non preoccuparsi. Solo dopo aver ottenuto i risultati di queste ulteriori analisi avrà un quadro completo che gli permetterà di essere più preciso,di offrire una diagnosi e proporre un’eventuale percorso di cura. Alla fine la tranquillizza e le dice che non è una cosa grave. La visita si conclude con i saluti di rito e con una ricevuta di 250 euro. Che sassata!direbbero a Perugia e dico pure io fra me e me. La mia amica è ancora concentrata sulle parole e sulle indicazioni del professore, io stupidamente penso alla cifra. Lei paga, certo non con molto entusiasmo, ma giustamente, come mi dice appena fuori dallo studio, “sulla salute non voglio risparmiare e poi una cifra del genere l’avevo immaginata, tant’è che stamattina ho ritirato dal bancomat per ’tenermi larga’ 300 euro”. “Non è che ti sei tenuta poi così tanto larga” le rispondo, riproponendo ancora avidamente, quasi che i soldi fossero stati i miei, il discorso denaro e dimenticando,affannato da quest’attenzione al denaro che m’ha preso, che lei è venuta qui per un problema e che ha chiesto apposta la mia presenza e la mia vicinanza. Andiamo a prendere un caffè in un bar lì vicino e intanto, non contento, faccio un calcolo veloce. Penso alle persone che erano lì in sala d’aspetto: erano cinque, sei con la mia amica, e in più almeno altre due prima di lei. Otto in tutto che moltiplicato per 250 euro fa 2000 euro. Tutto fatturato per carità, ma la cifra è alta, le responsabilità pure si dirà, e poi lui è il professore e io uno che pensa troppo al denaro e non alle cose più importanti come la salute. La mia amica fa gli esami all’ospedale dopo una ventina di giorni dalla visita. La chiamo per sapere com’è andata:mi dice che l’ha seguita un giovane medico, che è stato gentile e che in pratica dai risultati venuti fuori le ha confermato le prime intuizioni che aveva avuto il professore. “Bravo il professore” le dico allora e lei mi risponde con tono deciso “non tanto bravo direi”. Resto un po’ interdetto dalla sua risposta e lei continua spiegandomi perchè non è poi così tanto bravo, il professore. Il collaboratore infatti le spiega che i risultati li deve vedere lui personalmente, al che lei risponde che si già lo sa, che questo gliel’aveva spiegato, e che siccome è già lì può aspettarlo tranquillamente, il professore. La risposta,imbarazzata, del giovane collaboratore è che i risultati oggi, in ospedale, lui non li vede, li vuol visionare presso il suo studio privato e atteso che ha già fatto la prima visita per la seconda “vedrà un pò”. “Hai capito questo, vuole che gli paghi altri 250 euro!” conclude infastidita la mia amica. Alla fine pagherà ’solo’ 150 euro al professore che nella seconda visita,a cui ho partecipato nuovamente anche io, in meno di dieci minuti le conferma la diagnosi già anticipata. E’ una piccola storia utile, credo, quella appena raccontata. Ci parla di consuetudini, cattive, ormai sedimentate in maniera prepotente da parte di chi si può permettere di di far leva sulla paura altrui e sulla bravura propria. Fa emergere un uso distorto del servizio pubblico per scopi privati. Fa luce sui guadagni esagerati di alcuni professionisti. Mi si potrà obbiettare :ma hai fatto la scoperta dell’acqua calda, così che vanno le cose da una vita, il meccanismo funziona così da sempre. Già ma episodi del genere, fuori da ogni retorica populista, debbono essere raccontati, debbono avere una valenza pubblica, perchè dietro il singolo fatto si delinea, in lontananza, l’orizzonte di un sistema formalmente lecito ma moralmente guasto.
domenico barberio
articolo pubblicato su "l’altrapagina"