JUDITH MALINA, ANARCHICA, FEMMINISTA, NONVIOLENTA *
Ha da poco compiuto gli ottant’anni, Judith Malina. Anarchica, femminista, nonviolenta. Il suo Living Theatre ha cambiato il teatro e la vita, l’arte e la politica, e l’esistenza di tante persone. Della nonviolenza in cammino una delle maestre piu’ grandi.
2. MATERIALI. UNA BREVE NOTIZIA SU JUDITH MALINA E IL LIVING THEATRE
Judith Malina, straordinaria artista, intellettuale, regista e attrice, attivista nonviolenta e libertaria, anima del Living Theatre, e’ nata a Kiel, in Germania, nel 1926, figlia di un rabbino e di un’attrice teatrale emigrati negli Usa dopo la sua nascita; e’ stata allieva di Erwin Piscator al Dramatic Workshop di New York; nel 1947 ha fondato a New York insieme al pittore Julian Beck il Living Theatre, una compagnia teatrale libertaria e nonviolenta. Con oltre cento produzioni teatrali realizzate, Judith Malina e’ ancora attiva come regista e attrice, in produzioni come The Connection, The Brig, Mysteries and smaller pieces, Antigone, Frankenstein, Paradise Now, The Legacy of Caine e Not in My Name, e come formatrice e militante per la pace e i diritti umani.
* Bibliografia di e su Judith Malina: Julian Beck and Judith Malina, Paradise Now, Pantheon, New York 1972; Julian Beck e Judith Malina, Il lavoro del Living Theatre, a cura di Franco Quadri, Ubulibri, Milano 1982; Judith Malina, The Diaries of Judith Malina: 1947-1957, Grove Press, New York 1984; Judith Malina, The Enormous Despair (diaries, 1968-’69), Random House, New York 1972; Cristina Valenti, Conversazioni con Judith Malina, L’arte, l’anarchia, il Living Theatre, Eleuthera, Milano, 1995, 1998. Cfr. anche la bibliografia esenziale sul Living Theatre.
* Filmografia essenziale di Judith Malina: come regista: The Brig (1965); come interprete: Amore, Amore (1966); Quel pomeriggio di un giorno da cani (1975); China Girl (1987); Radio Days (1987); Risvegli (1990); La famiglia Addams (1991); Verso Il Paradiso (1993); Sessantotto. L’utopia della realta’ (2006).
* Sul Living Theatre dal sito ufficiale www.livingtheatre.org riprendiamo la seguente scheda in italiano: "Fondato a New York nel 1947 da Judith Malina e Julian Beck, il Living Theatre e’ stato sin dall’inizio un teatro di impegno civile che ridefinisce le forme teatrali.
Attivo in Italia sin dal 1961, il Living ha recitato in centinaia di citta’ in ogni regione del paese, lavorando in maniera trasversale, facendo spettacoli sia nei grandi teatri che nei cantieri, nelle scuole, negli ospedali e per le strade.
Lungo l’arco di quest’attivita’, la compagnia ha fatto conoscere al pubblico italiano opere che hanno cambiato la fisionomia del teatro moderno, tra le quali The Connection, The Brig, Mysteries and smaller pieces, Frankenstein, Antigone, Paradise Now, L’Eredita’ di Caino e Non in mio nome.
Il cuore dell’arte del Living e’ rappresentato dall’ensemble degli attori, molti dei quali hanno alle spalle trent’anni di ricerca comune. Il gruppo lavora sempre in maniera autonoma e collettiva, con la direzione di Judith Malina e di Hanon Reznikov, alla guida del Living dopo la scomparsa di Julian Beck nel 1985.
Il Living conduce presso la sua nuova residenza di Rocchetta Ligure uno studio approfondito circa la partecipazione attiva del pubblico all’evento teatrale, tema sul quale il gruppo indaga gia’ da diversi decenni, ma che resta sempre il nodo centrale del ruolo del teatro oggi.
Vivendo un momento storico in cui l’attenzione del pubblico e’ stata "sequestrata" dai mass-media, il Living ha deciso di dedicarsi alla ricerca di mezzi teatrali capaci di fare il massimo uso della co-presenza in sala di attori e spettatori.
Servendosi di questo incontro esistenziale come modello di coinvolgimento sociale, il gruppo crea spettacoli che dipendono dall’intervento diretto da parte del pubblico nell’azione teatrale. Il percorso particolare dello spettacolo e’ determinato dalla partecipazione attiva degli "spettatori", e quindi risulta che ogni performance e’ essenzialmente unica ed irripetibile.
Presso il Centro Living vengono creati tutti i nuovi spettacoli del gruppo e vengono presentati a Palazzo Spinola in anteprima, per il pubblico locale. Partono poi in tournee per i teatri del mondo. Un’altro tipo di incontro con il pubblico, fondamentale per il lavoro del Living, e’ quello che si crea nel "laboratorio", esperienza che di solito termina con una rappresentazione pubblica dei risultati.
Al Centro Living Europa, Malina, Reznikov ed altri membri del gruppo insegnano le tecniche teatrali adottate e sviluppate dalla compagnia. Tra queste:
l’improvvisazione, l’espressione corporea corale, il canto rituale, l’espressionismo artaudiano, la biomeccanica mejer’choldiana, il teatro politico di Piscator e Brecht, la bioenergetica cinese, il respiro yoga e la meditazione zen. Nei vari seminari, si lavora sulla formazione dell’attore-ricercatore, quello che sa utilizzare tutte le sue risorse fisiche, affettive e spirituali per maneggiare l’equilibrio fluttuante tra la vita interiore e le esigenze del mondo esterno.
I dintorni del Centro offrono importanti possibilita’ di integrare gli esercizi di training e di sviluppo attoriale con l’ambiente naturale circostante, pieno di sentieri aperti agli esploratori dei boschi, delle "strette" e delle rupi. Presso il Centro Living Europa si tengono anche vari incontri pubblici incentrati sul lavoro del gruppo. Il Centro dispone inoltre di un’archivio che propone video, fotografie, libri ed altri materiali di documentazione sul gruppo.
Nel 1999, grazie all’ospitalita’ del Comune di Rocchetta Ligure e all’appoggio della Provincia di Alessandria, e’ nato il Centro Living Europa. Collocato in mezzo al paese, nei piani superiori del Palazzo Spinola, il Centro Living comprende una sala prove, un’aula didattica, camere e servizi per 15 membri del gruppo, spazi comuni per vivere e lavorare.
All’interno del palazzo, che ospita anche gli uffici comunali e un Museo della Resistenza, c’e’ anche un grande salone, al piano nobile, dove il pubblico locale puo’ incontrarsi con il lavoro della compagnia. Il recente restauro di questo luogo storico ha creato un’ambiente che conserva gli elementi caratteristici della costruzione e della decorazione seicentesca, pur contemplando tutte le necessita’ moderne. Rocchetta Ligure si trova in seno alla Valle Borbera, zona montanara a 17 km dall’autostrada Genova-Milano. Sito di una repubblica partigiana durante la guerra, la popolazione manifesta tutt’oggi la sua storica solidarieta’ civile. Vivendo in modo comunitario, i componenti del Living trovano ampio riscontro alle loro ricerche sociali nel dialogo continuo con la gente della zona che sbocca in frequenti scambi reciproci a tutti i livelli".
* Bibliografia essenziale di e sul Living Theatre: Julian Beck, The Life of the Theatre, City Lights, San Francisco 1972, Limelight Editions, New York 1986, edizione italiana Einaudi, Torino 1975, edizione francese Gallimard, Paris 1976, ve ne sono anche edizioni in spagnolo, portoghese, greco, polacco e ceco; Julian Beck, Theandric, Harwood Academic Press, London 1992, edizione italiana Edizioni Socrates, Roma 1994, edizione francese Harmattan, Paris 1998; Julian Beck and Judith Malina, Paradise Now, Pantheon, New York 1972; Julian Beck e Judith Malina, Il lavoro del Living Theatre, a cura di Franco Quadri, Ubulibri, Milano 1982; Judith Malina, The Diaries of Judith Malina: 1947-1957, Grove Press, New York 1984; Judith Malina, The Enormous Despair (diaries, 1968-’69), Random House, New York 1972; Conversazioni con Judith Malina, a cura di Cristina Valenti, Eleuthera, Milano 1995; Hanon Reznikov, Living/Reznikov: Four Plays of The Living Theatre/Quattro Spettacoli del Living Theatre, (bilingual edition/edizione bilingue: english/Italiano), Piero Manni, Lecce 2000; John Tytell, The Living Theatre: Art, Exile and Outrage, Grove Press, New York 1995; Pierre Biner, Le Living Theatre, L’age de l’homme, Lausanne 1968, traduzione inglese New York, 1971, traduzione italiana De Donato, Bari 1968; Carlo Silvestro, The Living Book of The Living Theatre, Mazzotta, Milano 1971, edizione inglese Greenwich Art Press, New York 1971; Jean-Jacques Lebel, Entretiens avec le Living Theatre, Editions Pierre Belfond, Paris 1968; Aldo Rostagno and Gianfranco Mantegna, We The Living Theatre, Ballantine, New York 1969; Giuseppe Bartolucci, The Living Theatre, Samona’ e Savelli, Roma 1970; Jean Jacquot, Les voies de la creation theatrale, Editions du Centre National de la Recherche Scientifique, Paris 1970.
3. ESPERIENZE. JUDITH MALINA RICORDA DOROTHY DAY CON CRISTINA VALENTI
Judith Malina: Al mio primo arresto ebbi il grande privilegio di essere messa in cella con questa grande donna. Dorothy Day aveva fondato il Catholic Worker molti anni prima e viveva una vita di poverta’ volontaria fra i piu’ poveri dei poveri.
*
Cristina Valenti: Dorothy si definiva anarchica?
Judith Malina: Si’, assolutamente anarchica, e una buona anarchica anche.
Il concetto di anarchismo cattolico ovviamente e’ inconcepibile per molti, perche’ implica una contraddizione fra obbedienza e disobbedienza. Dorothy praticava la disobbedienza civile in nome del cattolicesimo. A quei tempi a New York c’era un arcivescovo molto rigido e intollerante e, a quanti le chiedevano se pregasse per lui, Dorothy rispondeva: "Si’, prego per lui perche’ non ha posto ostacoli al Catholic Worker, che ha l’imprimatur della Chiesa, e prego perche’ non voglia ostacolarci in futuro". I cattolici trovarono molto di che discutere con lei circa il suo modo anarchico di accettare l’autorita’ della Chiesa. Il suo lavoro di carita’ era molto conosciuto. Una volta le ho chiesto: "Fra quelli che vivono nella casa di accoglienza quanti sono del Catholic Worker e quanti i senzatetto?" e lei ha
risposto: "Non ho notato la differenza". Dorothy si rifiutava di fare distinzioni fra i poveri, gli ubriaconi, i miserabili e i disoccupati che arrivavano per un piatto di minestra e la gente che la minestra la cucinava; d’altra parte accadeva spesso che chi arrivava facesse anche la minestra, cosi’, in effetti, non si potevano fare grandi differenze.
*
Cristina Valenti: Com’era la vostra vita in carcere, quale fu il vostro rapporto con le detenute?
Judith Malina: La Women’s House of Detention era una prigione che sorgeva proprio nel mezzo del Greenwich Village, il quartiere piu’ vivace e artistico di New York (...). Era un carcere molto sovraffollato nel periodo in cui eravamo dentro noi: poteva contenere circa 400 donne e ce n’erano 900. Io ero in una cella in cui c’era un letto e un piccolo materassino che veniva estratto da sotto il letto, dopo di che non ci si poteva nemmeno camminare attorno.
E delle 900 donne la’ dentro credo che 800 fossero prostitute e 700 tossicodipendenti. (...)
E la’ ho visto Dorothy incontrare queste persone senza speranza in un modo cosi’ incredibile, semplice e diretto, che mi ha fatto imparare moltissimo della vita, del sistema delle classi, dei nostri obblighi gli uni verso gli altri, e di me stessa.
E questa popolazione carceraria mi ha spinto a nutrire una speranza concreta nelle possibilita’ dell’anarchismo. Quando si toccano questi argomenti ci si sente sempre chiedere: "Cosa avresti intenzione di fare con le persone realmente cattive?". Il fatto e’ che non lo sono: non lo erano neanche quelle che stavano scontando crimini orrendi, come la giovane donna che ci ha sfidato una
volta - eravamo nella nostra cella, durante l’ora di attivita’, quando le celle sono aperte ed e’ consentito parlare con le detenute del proprio corridoio, e tutte venivano a parlare con Dorothy perche’ era meraviglioso parlare con lei - e questa donna disse: "Senti, io ho ucciso cinque persone, cosa vorresti fare con gente come me?".
E Dorothy seppe rispondere in un modo che le disarmo’ tutte, compresa la donna che aveva ucciso cinque persone. Dorothy disse: "Come e’ stato che hai ucciso tante persone? Cosa e’ successo? Raccontaci la tua storia".
Dorothy mi rimproverava spesso. Mi diceva: "Judith, non devi pensare di poter risolvere i problemi di tutti, puoi desiderarlo, ma e’ una cosa senza speranza". E questo era oggetto di discussioni continue fra di noi. Io sentivo di doverci provare e lei diceva: "No, ognuno deve risolvere i propri problemi". Ma io non mi rassegnavo: "Voglio porre le condizioni perche’
tutti risolvano i loro problemi". "Perche’ credi di poterlo fare?".
"Risolvero’ i problemi di tutti". Un altro motivo di discussione frequente fra di noi riguardava l’inferno. Ho scritto una poesia su questo, credo che tu la conosca, sul fatto che l’inferno deve essere vuoto se e’ vero che Dio e’ tutto misericordia [Whose Mercy Endures Forever, poesia dedicata a Paul Goodman e Dorothy Day, in J. Malina, Poems of a wandering Jewess, Paris, Handshake Editions, 1982, pp. 22-23 - nota di Cristina Valenti]. Discutevamo di queste contraddizioni, della contraddizione fra il bene e il male nel cuore umano e nella societa’, del nostro desiderio di cambiare il mondo e noi stessi e del fatto che invece dovevamo aspettare il momento in cui saremmo state in grado di raccogliere le forze necessarie per farlo.
*
Cristina Valenti: Dalle pagine del tuo diario emerge un’immagine molto
bella: la giovane Judith osserva la canuta Dorothy, l’ascolta, vede come si comporta e prende nota di tutto. Nei lunghi tempi del carcere anche l’attenzione sembra dilatarsi, insieme alla disponibilita’ a capire, ad osservare. E l’insegnamento di Dorothy non e’ mai dichiarato, ma prende forma nel corso dell’esperienza, pian piano, di pari passo col dispiegarsi di quella.
Judith Malina: La cosa piu’ importante che ho imparato da Dorothy in quella situazione e’ che e’ possibile, per chi e’ anarchico e pacifista, occuparsi delle persone in modo completamente differente, avere con loro un tipo di relazione umana, anche all’interno di un carcere pieno di violenza.
Nei miei Diari ci sono molte storie di violenza. C’era un enorme serbatoio di rabbia, di collera e di odio la’ dentro; e la nostra presenza era quella di un piccolo gruppo che introduceva un altro tono e un altro livello di dialogo in una situazione in cui tutto cio’ sembrava assolutamente incomprensibile. E voglio ricordare almeno un’altra donna, Deane Mowrer, un’anarchica che era stata arrestata con noi e che pure esercito’ su di me un’influenza meravigliosa. Anche la nostra relazione con le guardie fu interessante...
Il carcere e’ un microcosmo incredibile, dove le guardie sono chiaramente la classe degli oppressori e il rapporto con loro e’
insieme di odio e dipendenza: le temiamo, ci arrabbiamo, e nello stesso tempo dipendiamo da loro, in una forma che non e’ altrettanto evidente nella societa’ esterna. E Dorothy mostrava alle detenute un modo diverso di rapportarsi col potere dell’autorita’: mostrando resistenza ma senza un atteggiamento di odio, sapendo opporre il proprio "no" senza rabbia, ma con la fermezza delle proprie posizioni nei confronti di un altro essere umano.
Questa e’ stata certamente una delle lezioni anarchiche che ho appreso da lei. Un’altra e’ stata quella del mutuo appoggio fra detenuti. (...) Io credo che le persone, quando sono costrette a subire dolorose forme di violenza, rispondano aiutandosi reciprocamente, in quel modo che noi anarchici consideriamo naturale. E con la guida di una persona come Dorothy, che conosceva assai bene i principi base dell’anarchismo classico, queste forme di reciproca solidarieta’ si ampliarono, senza bisogno che noi parlassimo di anarchismo: parlavamo di come vivere nel mondo, parlavamo soprattutto delle loro sofferenze, perche’ queste erano le cose di cui si doveva parlare.
In quel carcere Dorothy ci ha fatto capire come sia possibile ottenere grandi risultati, a livello pratico e a livello ideale, a partire da una qualita’ diversa dei rapporti fra le persone. (...).
*
Cristina Valenti: E’ persino paradossale che due persone che rappresentavano modelli femminili cosi’ differenti, come te e Dorothy Day, abbiano pero’ trovato, nel profondo, delle affinita’ cosi’ grandi. Dorothy che, a un certo punto della sua vita, ha scelto la pratica della castita’, e tu che hai sempre lottato per la liberazione sessuale e la realizzazione totale dell’individuo. Eppure entrambe avevate scelto di non sottomettere il vostro progetto di vita alle condizioni poste dal vostro sesso o alle convenzioni sociali o alle norme stabilite.
Judith Malina: Abbiamo parlato molto di queste cose e, rispetto alla questione della liberazione sessuale, lei diceva che il problema non e’
quello che poi si va all’inferno, ma che si soffre, perche’ non funziona.
Dorothy aveva molta esperienza di amore libero. Il problema era, secondo lei, che se si cerca il paradiso in terra si trova l’inferno; e su questo naturalmente non ero d’accordo con lei. Noi eravamo in una casa di detenzione con centinaia di donne che praticavano l’amore libero... non era amore libero, in effetti, ma fatto di dolore e sofferenza. (...) E l’unica felicita’ che trovavano - erano in molte a dirlo - era quando venivano messe in cella con una donna che amavano e con la quale avevano una relazione omosessuale non piu’ basata sulle orribili umiliazioni che vivevano fuori.
Questo era il loro piu’ grande desiderio e la loro consolazione reciproca.
Dorothy si interessava alla loro sofferenza senza esprimere un giudizio morale. Sul piano sessuale, riteneva che la castita’ fosse il miglior modo di vivere per chi non avesse un marito. Per quanto la riguardava, diceva che sarebbe forse stata piu’ felice se avesse trovato un uomo da amare e con cui vivere una normale vita familiare. Ma anche se era a favore della castita’
non la predicava certo alle prostitute. Con loro parlava piuttosto di come trovare la forza per opporsi al potere dei loro magnaccia, perche’ era questo il loro problema: erano nelle mani di uomini che le maltrattavano e dei quali di solito erano innamorate. Questo amore per chi ti fa del male, questo desiderio masochistico di protezione era la cosa di cui parlava di piu’, perche’ aveva un’utilita’ pratica. Se solo fossero state in grado, una volta ritornate ciascuna alla propria vita, di guardare le cose e le persone in modo differente, comprendendo piu’ chiaramente gli aspetti terribili dei loro rapporti, allora forse ci sarebbe stata qualche speranza che la loro sofferenza potesse per lo meno diminuire.
Quello che Dorothy cercava di dar loro era una piccola forza morale, una forza interiore che le aiutasse a sopportare quelle condizioni di vita. E quando mi rimproverava perche’
cercavo di risolvere i loro problemi era perche’ non potevo riuscirci. Io volevo che smettessero di fare le prostitute, ma questo non era un consiglio pratico e probabilmente non era nemmeno alla portata della maggior parte di loro. Certo, noi parlavamo della possibilita’ di soluzioni alternative, dal punto di vista economico, personale e domestico. Ma d’altra parte la loro storia la conoscevamo: al momento di uscire dal carcere avrebbero ricevuto venticinque cents, qualcosa come poche migliaia di lire, e l’Esercito della Salvezza avrebbe dato un vestito nuovo a ciascuna. Un vestito nuovo e poche migliaia di lire: cosi’ se ne sarebbero andate a riprendere la vita che avevano lasciato.
4. ESPERIENZE. LORENZO ACQUAVIVA INTERVISTA JUDITH MALINA E HANON REZNICOV
Lorenzo Acquaviva: Come e’ avvenuto l’incontro con Julian Beck e la conseguente formazione del Living Theatre?
Judith Malina: Nel 1947 regnava un grande entusiasmo negli Stati Uniti ma questo momento estatico, come si e’ verificato in altre simili circostanze dove non c’era un sufficiente fondamento sociale, si e’ presto dissolto. A quell’epoca l’arte non aveva ancora assunto una forza etica, politica, sociale, ma aveva soltanto funzione di intrattenimento. Devo dire che in tal senso si e’ andati peggiorando visto che ora c’e’ una vera e propria industria dell’entertainment che non lascia spazio all’inventiva e alla creativita’ dell’arte. Io all’epoca mi ero laureata alla scuola di teatro di Erwin Piscator, uno dei fondatori del teatro politico moderno assieme a Bertolt Brecht. Fu proprio entrando in contatto con il teatro commerciale di Broadway che mi resi conto della distanza tra cio’ che avevo studiato con Piscator e quel mondo. Nel frattempo incontrai Julian Beck, un giovane pittore della scuola espressionista astratta, che aveva esposto alcune opere alla galleria di Guggenheim. Io, che allora avevo diciotto anni, mi sono messa a discutere con lui su cosa volesse dire fare teatro in quel momento e quale senso avesse. Da allora nacque il nostro sodalizio. Eravamo molto influenzati dal teatro del dopoguerra in Europa: ci piacevano Jean Cocteau, Gertrude Stein e Pirandello. Decidemmo di mettere in scena tutti questi autori cogliendo la possibilita’, tramite la poesia, di dare un senso politico al teatro anche se non in una maniera scoperta, perche’ all’epoca il teatro politico era considerato propagandistico, con molto disprezzo verso qualsiasi ideologia, che rimaneva una parola sporca. Allora Julian ed io abbiamo deciso di creare un piccolo teatro, senza risorse, senza mezzi, senza nient’altro che le nostre forze, assieme ad un gruppo di amici. Quel lavoro di ricerca continua tuttora: sulla realta’ dell’attore, sul rapporto spettatore-attore, sulla possibilita’ per il teatro di avere un impatto culturale e sociale.
*
Lorenzo Acquaviva: Puoi ora parlare del clima culturale esistente attorno ai beats?
Judith Malina: Il movimento, che non era cosi’ sviluppato, era di tipo letterario, politico, culturale, e facendosi forte di varie esperienze non dava importanza al fatto se una persona fosse uno scrittore o facesse parte di un gruppo che protestava contro l’esercito: cosi’ confluivano nello stesso movimento il lavoro del Living, la danza di Merce Cunningham o la pittura di Robert Rauschenberg. Eravamo tutti coinvolti in un cambiamento che naturalmente e’ cominciato in tono minore ma che poi e’ diventato sempre piu’ forte, fino al punto che la nostra teoria non fu in grado di sostenere l’azione, cosa che ci ha indotto a nutrire la speranza che i piu’ giovani, i quindicenni di oggi, sarebbero stati pronti a fare il prossimo, decisivo passo.
*
Lorenzo Acquaviva: E’ ancora possibile la rivoluzione anarchica nonviolenta?
Judith Malina: Non solo credo che sia possibile ma anzi che sia assolutamente necessaria, se vogliamo salvare il pianeta e l’umanita’ intera dalla catastrofe sia ecologica che militare. La bella rivoluzione anarchica nonviolenta, vale a dire una verainversionedirotta nel comportamentodaparte dell’uomo, dobbiamo farla senza porci l’interrogativo se cio’ sia possibile. Non possiamo continuare ad incrementare le spese per l’armamento e sostenere una politica di sfruttamento del pianeta...
*
Lorenzo Acquaviva: Il teatro puo’ davvero fare tutto questo e dare un contributo effettivo al cambiamento?
Judith Malina: Io penso che soprattutto internet rappresenti il medium della grande trasformazione. Ritengo comunque che il teatro possa fare la sua parte dando un’impronta umana a un qualsiasi processo intellettuale e politico proprio perche’ il teatro non e’ un medium puro, avvalendosi di una comunicazione diretta verso i propri spettatori. E’ quanto mai urgente e necessario dar corso ad un cambiamento veramente profondo per la qual cosa internet resta uno strumento insostituibile.
*
Lorenzo Acquaviva: I beat si possano considerare politici oppure sono stati solamente un’elite intellettuale? Se vogliamo, tranne Corso e Cassady, gli altri, come Ginsberg, Kerouac, Burroughs, Ferlinghetti, sono di estrazione piccolo o medioborghese...
Judith Malina: II pensiero e l’azione di Ginsberg sono stati sicuramente anche politici, tanto e’ vero che e’ stato tenuto ossessivamente sotto controllo da parte dei servizi segreti americani; presso la Cia esiste un vasto dossier dal quale risulta che egli e’ stato tenuto sotto osservazione fino alla fine dei suoi giorni, perche’ considerato un elemento impegnato contro il governo americano; Burroughs da parte sua faceva un altro tipo di ricerca, e non si occupava di discorsi politici.
*
Lorenzo Acquaviva: E per quanto riguarda Corso, Kerouac...
Hanon Reznicov: "Bomb" di Corso e’ una delle piu’ grandi poesie politiche di tutti i tempi.
Judith Malina: Julian Beck una volta ha domandato a Jackson Pollock se avesse mai dipinto qualcosa in senso specificamente politico e lui gli ha risposto che non e’ possibile fare una linea senza dipingere qualcosa. Con cio’ voglio dire che tutto e’ politico e la sessualita’ di Burroughs, per esempio, e’ rivoluzionaria proprio in questo senso. La rivoluzione pero’ non e’ solamente ammainare una bandiera per innalzarne un’altra; la rivoluzione e’ cambiare i nostri valori, e credo che Kerouac, Corso, Burroughs abbiano fatto questo, abbiano profondamente scosso i nostri valori di base:
sessualmente, politicamente, visualmente, cosi’ come la pittura li ha mostrati.
Hanon Reznicov: C’era poi questo sfondo, quello dell’America di Eisenhower, in cui regnava un conformismo sfumato cosi’ come temo regni oggi in Italia.
*
Lorenzo Acquaviva: In pratica loro hanno fatto quello che avrebbero dovuto fare i filosofi e i politici.
Hanon Reznicov: Si’. Quello che in Francia hanno fatto Sartre, Gide e Camus, in America secondo me l’hanno fatto i beats.
*
Lorenzo Acquaviva: A proposito della Francia, potete fare un resoconto della vostra esperienza francese?
Judith Malina: E’ stato un momento storico molto vivace. Avevamo pensato che fosse veramente possibile prendere la citta’ e operare tutti quei cambiamenti che si erano ipotizzati... Credo che quel momento, di grande speranza, ci abbia dato molte lezioni. In quella circostanza abbiamo partecipato all’occupazione del teatro nazionale, l’Odeon, dando vita ad una lotta fantastica attraverso l’organizzazione di un forum dove le persone, a turno, prendevano la parola, continuamente, giorno e notte; poi la scena e’
cambiata quando la strada e’ diventata un campo di battaglia con feriti, e J. L. Barrault, che era una persona splendida, perse il suo posto per essersi rifiutato, all’ordine del ministro della cultura Malraux, di spegnere le luci del teatro dove si trovavano duemila persone. Era, quello, un momento di grande speranza ma anche di poca chiarezza di intenti da parte nostra tanto e’ vero che la situazione si e’ ulteriormente deteriorata quando i katanga, un gruppo maoista molto violento, hanno preso in mano la situazione ricorrendo all’uso della forza.
Il problema del ’68 consisteva principalmente nel fatto che avevamo una visione chiara, derivataci anche dalla poesia, dalla musica, dalla beat generation, sul come vivere. Non sapevamo come realizzarla senza una guida sicura che ci dirigesse verso lo
scopo: ad esempio eravamo consci che nel rapporto tra studente e insegnante il professore non avrebbe dovuto esser considerato mai un semidio, e che se non diceva la verita’ non avrebbe meritato rispetto alcuno.
Ma non sapevamo come procedere verso questa nuova visione delle cose. Questa visione e’
ancora integra in ognuno di noi, ma non abbiamo, purtroppo, alcuna strategia per cambiare le cose e non ci resta che affidarci ai giovani d’oggi con la speranza che possano concretizzarla, svilupparla o raggiungerla senza avere troppa nostalgia per il passato e per la beat generation in particolare.
*
Lorenzo Acquaviva: Ormai e’ tutto fashion, moda...
Judith Malina: Dobbiamo preservare tutto cio’, dobbiamo impedire che tutto questo background venga utilizzato solo dalla musica commerciale o dall’industria degli abiti e dalla moda, e dobbiamo ricordare che e’ stata l’idea che abbiamo avuto di un altro modo di vivere. Questo e’ espresso nei romanzi di Jack, nella poesia di Gregory e Allen, e’ un urlo contro il sistema che avevamo nel 1950 e che continua ancora adesso.
Hanon Reznicov: Una delle figure che corrisponde ai beats, qui in Italia, e’ stato Pasolini il quale, credo, condividesse una certa onesta’ "beat", una certa trasgressivita’, anche sessuale.
*
Judith Malina e Julian Beck fondarono il Living Theatre nel 1947 a New York. Compagni di lavoro e di vita, portarono nel teatro non solo le esperienze di rinnovamento del linguaggio musicale, poetico, figurativo ma soprattutto le loro istanze pacifiste, l’imperativo etico di cambiare il mondo, i rapporti di produzione e la qualita’ della vita, fino a fare del teatro un reale strumento di diffusione dell’ideale anarchico di vita e di lavoro volto alla liberazione dell’uomo.
Nei primi anni il Living rappresento’ in posti di fortuna, se non nello stesso appartamento dei due fondatori, un ampio repertorio molto originale e caratterizzato da un’eccezionale densita’ di strutturazione linguistica. Prese vita cosi’ un teatro poetico, che insisteva particolarmente su temi pirandelliani di coincidenza fra vita e rappresentazione culminato nell’opera di J. Gelber "The connection". Intanto Beck e la Malina avevano conosciuto le posizioni di Antonin Artaud sul teatro della crudelta’ e introdotto Brecht nel loro repertorio. In seguito alla pressioni della polizia, il gruppo si trasferi’ in Europa.
Qui vennero presentati "Mysteries and Smaller Pieces", una sorta di manifesto teatrale incentrato sui concetti di creazione collettiva, corporeita’ come liberazione, teatro come luogo di meditazione. Seguirono "Frankenstein", "Antigone" ed infine "Paradise Now". A quest’ultima opera, che coincise con l’esplosione del Living fuori dall’istituzione teatro nelle strade del maggio francese, nel tentativo di fare dell’azione teatrale uno strumento di liberazione per tutti segui’ la diaspora del Living e il costituirsi in diverse parti del mondo di piccolo nuclei di teatro-azione.
Hanon Reznicov, gia’ attore di lunga militanza nel Living, dopo la morte di Julian Beck, subentra alla direzione del Living Theatre affiancando Judith Malina. Hanon e Judith stanno proseguendo con coerenza un percorso iniziato da piu’ di cinquant’anni senza aver smarrito le loro idee e la loro visione artistica ed esistenziale continuando nello stesso tempo a svolgere seminari e a fare spettacoli in tutte le parti del mondo senza fruire di sovvenzioni di sorta ma contando sulle proprie forze e sulla capacita’ di autogestirsi. Cio’ si e’ rivelato in definitiva un punto di forza del gruppo che quest’anno ha rappresentato nuovamente in Italia lo spettacolo "Mysteries and smaller pieces".
5. ESPERIENZE. SAVERIO AVERSA INTERVISTA JUDITH MALINA
La citta’ di Chieti e il teatro Marruccino hanno ospitato nei giorni scorsi Judith Malina e Hanon Reznikov, direttori dello storico Living Teatre di New York, un gruppo teatrale anarchico e pacifista che ha lasciato un segno profondo nella cultura occidentale del secolo scorso. Il Living e’ stato protagonista di grandi battaglie politiche e sociali come quella contro l’intervento americano in Vietnam.
"Love and politics" e’ la serata di poesia e di testi teatrali proposta ai teatini, uno spettacolo simbolo dell’impegno del gruppo, intensa espressione di una particolare estetica visionaria. Amore e politica, temi svolti attraverso brani di opere del repertorio del Living come Utopia e Metodo zero. Malina e Reznikov hanno anche tenuto un laboratorio di cinque giorni sulle tecniche e sulle pratiche di creazione teatrale che ha consentito ai partecipanti di costruire un breve spettacolo intitolato Una giornata nella vita della citta’: un esperimento di vita quotidiana applicato ai vari luoghi urbani. I partecipanti, oltre al lavoro sul corpo, sulla gestualita’, sulla voce e l’improvvisazione, hanno studiato la storia dei 59 anni del Living attraverso la visione di alcuni documentari.
Tutto inizia nel 1947 a New York quando Julian Beck e Judith Malina, marito e moglie, entrambi ebrei tedeschi scappati negli Stati Uniti durante il nazismo, frequentano gli stage teatrali del loro connazionale Erwin Piscator, regista e teorico della ricerca di un’arte legata ai bisogni vitali. Qualche mese dopo Beck e Malina fondano il Living Theatre che gia’ con i primi spettacoli suscita reazioni scandalizzate. Il Living si oppone radicalmente a Broadway e a tutto cio’ che rappresenta, apre nuove possibilita’ alla rappresentazione teatrale e fornisce argomenti e ispirazione ai teatranti anticonformisti di tutto il mondo. Julian Beck, morto nel 1985, e’ stato attore, regista e scenografo. Inizio’ come pittore legato all’espressionismo astratto e infatti firmo’ le scene di quasi tutti gli spettacoli del Living, dirigendone buona parte e facendo anche l’attore.
E’ stato interprete cinematografico di film come l’Edipo Re di Pasolini e Cotton Club di Coppola. Dopo la sua scomparsa Reznikov affianca Malina nella vita e nella direzione del gruppo. Abbiamo incontrato la coppia proprio in un camerino del Teatro Marruccino. Judith Malina ha risposto ad alcune domande con qualche intervento di Hanon Reznikov.
*
Saverio Aversa: Quali sono gli obiettivi principali del laboratorio di Chieti?
Judith Malina: Sicuramente la creazione collettiva alla quale si giunge con degli esercizi che noi insegnamo ai partecipanti che pero’ discutono fra di loro sul soggetto da mettere in scena. Vogliamo che costruiscano lo spettacolo che e’ per loro importante. Naturalmente noi abbiamo i nostri punti di vista ma non imponiamo la nostra ideologia: vogliamo che loro si impossessino del potere, dell’autodeterminazione e quindi della capacita’ di essere decisivi. Noi mettiamo le nostre esperienze teatrali al servizio delle loro idee. Li aiutiamo materialmente a scrivere il testo e a pensare alle scene attraverso le tecniche dei surrealisti francesi.
*
Saverio Aversa: Ha un valore aggiunto questo vostro impegno in una piccola citta’?
Judith Malina: Da almeno trent’anni portiamo il nostro teatro in Italia e sosteniamo il decentramento culturale perche’ conosciamo il vostro paese molto bene, in tutti i suoi aspetti. Soprattutto i giovani sono molto interessati e coinvolti dal nostro modo di fare teatro e sono stimolati dalla possibilita’ creativa istantanea, spontanea e di gruppo. Nello specifico di questo workshop sono stati scelti sei temi: follia-normalita’, diversita’-collettivita’, potere-capitalismo, comunicazione, le paure, l’integrazione spirituale.
*
Saverio Aversa: I giovani quindi sono una grande risorsa per un futuro migliore?
Judith Malina: Ne siamo convinti. Dopo la "rivoluzione" del 1968 il privato ha prevalso sul pubblico, si e’ perso un certo ottimismo poiche’ le cose non sono andate come speravamo, la sinistra e’ rimasta schiacciata da una grande delusione. I giovani oggi hanno di nuovo la volonta’ di cambiare la societa’ come allora. Li abbiamo visti anche al G8 di Genova dove abbiamo realizzato, insieme a molti di loro, una serie di performance di teatro di strada. I ragazzi del duemila possono essere ancora piu’ radicali e rivoluzionari di quelli di quaranta anni fa.
*
Saverio Aversa: Le recenti proteste degli studenti e dei giovani lavoratori francesi ne sono una dimostrazione?
Judith Malina: Sono straordinari, forse perche’ sono i discendenti dei protagonisti della rivoluzione del 1789. Sono riusciti a far cambiare una legge del governo. E intanto altri governanti giocano con le armi come fossero bambini inconsapevoli, fanno le guerre piu’ sanguinarie.
*
Saverio Aversa: L’arte, il teatro, sono in grado di far scomparire le guerre?
Judith Malina: Attraverso un discorso educativo si puo’ raggiungere questo scopo. L’unico metodo e’ entrare nell’animo delle persone e cambiarne i comportamenti. Soprattutto questo puo’ essere utile, meno incisiva si e’
dimostrata la politica. Due settimane fa a New York abbiamo debuttato con uno spettacolo contro la guerra. Siamo sempre stati antimilitaristi e a Times Square, davanti ad un ufficio di reclutamento di soldati da mandare in Iraq, in risposta ad uno spot pubblicitario dell’esercito trasmesso da un grande schermo interagiamo con un’azione teatrale che si intitola "No, sir!".
*
Editoriale di LA DOMENICA DELLA NONVIOLENZA = Supplemento domenicale de "La nonviolenza e’ in cammino" Numero 83 del 23 luglio 2006.
SUL TEMA, NEL SITO, SI CFR.:
Living.
Judith Malina e gli attimi catturati di Maria Costanza Barberio
IL “PARADISO IN TERRA”, LA “MEMORIA” DI ABY WARBURG, E IL DESTINO ULTIMO DELL’UOMO *
C’ERA UNA VOLTA IL PARADISO SEGNATO SULLE CARTE. “Il paradiso in terra. Mappe del giardino dell’Eden”, (Bruno Mondadori, Milano, 2007) di Alessandro Scafi è per molti versi un’opera sorprendente - soprattutto per l’essere il lavoro di un “Lecturer in Medieval and Renaissance Cultural History” presso il Warburg Institute di Londra.
Muovendo dalla storica acquisizione che la “gran parte delle mappe medievali contengono un riferimento visivo al giardino dell’Eden”, egli cerca di rispondere alla domanda su quali siano state “le condizioni che hanno reso possibile la cartografia del paradiso”. Lo scopo del suo libro, infatti, è quello di “visitare il nostro passato come si fa con un paese straniero, tentando di effettuare la visita con la massima apertura mentale e il massimo rispetto” e cercare di esplorare e scoprire - premesso che “chi metteva il paradiso su una carta aveva le sue buone ragioni” - queste “buone ragioni” (p.7).
Se è vero - come egli stesso sostiene - che “ieri segnare il paradiso su una carta significava una confessione dei limiti della ragione una dichiarazione di fede in un Dio che interveniva nell’arena geografica della storia”, e, altrettanto, che “oggi una mappa che tra le ragioni del mondo comprenda anche il paradiso sembra dover richiedere uno slancio di fantasia o uno sforzo di immaginazione”, è da pensare che l’Autore - alla luce del suo percorso e, ancor di più, delle sue stesse conclusioni - ha trovato molte e grandi difficoltà e che - per dirlo “con una parola-chiave dell’orizzonte di Aby Warburg - che la Memoria (“Mnemosyne”) gli ha giocato un brutto scherzo!
Nell’ Epilogo, con il titolo “Paradiso allora, paradiso ora”, dopo aver premesso in esergo la seguente citazione:
“Sarebbe difficile trovare un qualsiasi argomento in tutta la storia delle idee che abbia invitato a formulare così tante ipotesi, per poi smentirle tutte e renderle assolutamente inutili, come ha fatto il giardino dell’Eden (...) Sono state proposte teorie dopo teorie, ma non è stata trovata nessuna veramente convincente (...) Il luogo dell’Eden sarà sempre classificato, insieme alla quadratura del cerchio e all’interpretazione della profezia non avverata, tra quei problemi irrisolti - forse insolubili - che esercitano un fascino così pieno di mistero” (William A. Wright, Eden, in Smith, Dictionary of the Bible, 1863),
Scafi così comincia: “Per cercare di capire la cartografia del paradiso abbiamo compiuto un lungo viaggio nel tempo. Siamo partiti dagli albori del cristianesimo e, passando attraverso il Medioevo, il Rinascimento e la Riforma, siamo arrivati ai giorni nostri. Abbiamo incontrato il paradiso terrestre in una grande varietà di forme, sia descritto a parole sia sagomato dalle linee di una carta”. E ormai stanco del percorso fatto, nello sforzo di non farsi accecare dalla varietà delle forme e di (farci!) cogliere l’essenziale (il “dio”) che nei “dettagli” si “nasconde”, così ricorda e prosegue: “Come si è visto, localizzare il paradiso terrestre descritto dalla Genesi non era soltanto un problema geografico, e tutti coloro che hanno voluto interpretare il racconto del peccato di Adamo si sono trovati di fronte ai grandi interrogativi sul destino ultimo dell’uomo”. E, a chiusura del discorso e a esclusione di ulteriori domande in questa nebbiosa direzione metafisica ed escatologica, così precisa: “Non c’è meravigliarsi, allora, che le risposte offerte da tanti secoli di tradizione cristiana siano state formulate e riformulate, con il passare del tempo, in maniera così diversa”!
LA RINASCITA DELLA “HYBRIS” ANTICA: I MODERNI. L’attenzione di Scafi, nonostante ogni buona intenzione, è conquistata da altro: “Quello che colpisce, invece, è il modo in cui, a partire dal Rinascimento e dalla Riforma, ogni autore che si sia cimentato sull’argomento si è sempre industriato a ridicolizzare le teorie dei suoi predecessori. Scrivere sul paradiso sembrava richiedere sempre una carrellata preliminare sulle stravaganze precedenti, per bollare come insostenibili tutte le teorie pregresse e quindi proporre la propria soluzione, che si auspicava definitiva”. E così sintetizza e generalizza: “L’abitudine di presentare, in un’ironica rassegna, le assurdità e gli errori del passato è diventata così un topos che è durato fino ad oggi”; e, ancora, precisa: “A ben vedere, si possono rintracciare già nella tarda antichità le avvisaglie di questa pratica post-rinascimentale”(p. 306).
Colpito da questa “evidenza” e da questa “scoperta”, egli prosegue con l’antica e moderna ‘tracotanza’ (il “folle volo”) a narrare la sua “odissea”, aggiorna il numero della “varietà delle forme” delle mappe del giardino dell’Eden, e, senza alcun timore e tremore, completa la sua personale “ironica rassegna”, - con una “carrellata” sulle ultime e ultimissime “stravaganze”, su quelle degli artisti russi Ilya ed Emilia Kabakov, coi loro “progetti singolari e fantasiosi” (in particolare, “Il paradiso sotto il soffitto”), che Scafi così commenta:
“Per la nostra mentalità moderna, l’unico vero paradiso, per usare le parole di Proust, è sempre quello che abbiamo perduto. I Kabakov invece negano questa visione pessimistica, anche se non parlano di un paradiso celeste che ci aspetta alla fine dei tempi. Quando alzano lo sguardo verso il soffitto per superare il pessimismo di chi immagina paradisi solo remoti e inaccessibili e scoraggiare la pericolosa idolatria di chi insegue paradisi artificiali, invitandoci a vedere il cielo in una stanza, i due artisti russi sembrano condividere il pensiero dei teologi e dei cartografi medievali. Anche per loro il paradiso perduto porta sempre con sé la promessa di un paradiso ritrovato, e anche per loro questo paradiso è accessibile in qualunque momento. Basta soltanto prendere una scala, e salirne i gradini. Qui e ora” (p. 314).
“MAPPING PARADISE”. Questa è la conclusione di "A History of Heaven on Earth”: per dirla in breve, una pietra tombale sull’idea stessa del “paradiso in terra”, e non solo sulle “carte” dei Kabakov, anche se “i due artisti russi sembrano condividere il pensiero dei teologi e dei cartografi medievali”.
Che a questo “destino” dovesse approdare tutta la ricerca, nonostante le apparenze del percorso, Scafi l’aveva già ‘annunciato’, come in una “profezia che si auto-adempie”, in un breve paragrafo dedicato a Dante e alla “Commedia”, intitolato “Un volo poetico in paradiso”, dove - separata “poesia” e “non poesia” - così pontifica:
“L’interesse dei teologi e dei filosofi naturali per la geografia era condiviso da Dante Alighieri, che aveva una grande varietà di interessi e che nella sua Commedia (c. 1305-20) raccontava, come è noto, la sua esperienza attraverso i tre regni dell’inferno, del purgatorio e del paradiso. Il celebre poema era un’opera letteraria che esprimeva la conoscenza geografica e cosmografica del tempo (...) Per Dante la geografia era sempre subordinata alla poesia. Nel canto XXVI dell’Inferno, il poeta si riferisce al “folle volo” di Ulisse. La morale della storia del marinaio ed eroe greco che oltrepassò le colonne d’Ercole e che da lontano riuscì a gettare solo uno sguardo verso la montagna del paradiso, prima di vedersi sbarrata la strada da una tremenda tempesta, era che l’uomo non poteva penetrare, solo con le sue forze e senza il sostegno della rivelazione divina, il mistero del paradiso terrestre” (p.153).
Fin qui, niente di speciale: il suo punto di approdo è lo stesso di “chi scrive di storia per il grande pubblico” e degli “storici di professione”(p. 7)! E la sua “storia dell’arte” cartografica del “paradiso in terra” di “oggi”, alla fin fine, potrebbe benissimo essere collocata, in una possibile ristampa, nel “Dictionary of the Bible” di “ieri” (1863).
LA SCALA DEGLI INDIANI PUEBLO E LA “MEMORIA” DEL PARADISO DI ABI WARBURG. Per “ironia della sorte”, quasi cento anni prima della mostra dei Kabokov a Londra (1998), nel 1896, Aby Warburg è nel Nuovo Messico e in Arizona, incontra gli indiani Pueblo e - come poi racconterà e cercherà di descrivere con disegni e foto nel 1923 (cfr. “Il rituale del serpente”, Adelphi, Milano, 2005) - conosce elementi della loro cosmologia, un universo “concepito come una casa”, con il tetto con “le falde a forma di scala”, una “casa-universo identica alla propria casa a gradini, nella quale si entra per mezzo di una scala”, e comprende quanto è importante per l’uomo “la felicità del gradino”, il salire (“l’excelsior dell’uomo, il quale dalla terra tende al cielo”). E, al contempo, sempre nel 1896 (il 26 giugno), ad un suo amico, così scrive:
“Non permetto che mi si trascini attraverso l’Inferno se non a colui che confido sappia anche portarmi attraverso il Purgatorio fino al Paradiso. Ma proprio di ciò difettano i moderni. Non dico un Paradiso dove tutti cantino salmi avvolti in bianche tuniche e privi di genitali, dove le care pecorelle si aggirino in compagnia dei bei leoni fulvi senza desideri carnali - ma disprezzo chi perde di vista l’ideale dell’homo victor”.
Warburg rimase persuaso di ciò sino alla fine. Ma se fu questo suo atteggiamento ad allontanarlo dagli esteti e anche dagli storici dell’arte, fu il suo intenso interesse - come cita, scrive, e commenta Ernst H. Gombrich (cfr. Aby Warburg. Una biografia intellettuale, Feltrinelli, Milano, 2003, pp 274) - per le questioni psicologiche fondamentali ad avvicinarlo a una generazione che aveva assimilato la lezione di Freud e si rendeva sempre più conto dell’immensa complessità della mente umana. E qui la fama di Warburg non si basa certo su un fraintendimento.
IL PARADISO E L’ANGELO DELLO STORIA. LA LEZIONE DI WALTER BENJAMIN:
"Articolare storicamente il passato non significa conoscerlo "come propriamente è stato". Significa impadronirsi di un ricordo come esso balena nell’istante di un pericolo [...] In ogni epoca bisogna cercare di strappare la tradizione al conformismo che è in procinto di sopraffarla. Il Messia non viene solo come redentore, ma come vincitore dell’Anticristo. Solo quello storico ha il dono di accendere nel passato la favilla della speranza, che è penetrato dall’idea che anche i morti non saranno al sicuro dal nemico, se egli vince. E questo nemico non ha smesso di vincere"(Tesi di filosofia della storia).
*
Federico La Sala
A Caggiano, nel cuore del Cilento, la Fondazione Morra inaugura il grande archivio del Living Theatre
Il 13, 14 e 15 luglio, la Fondazione Morra - presieduta da Teresa Carnevale e diretta da Giuseppe Morra - inaugura a Caggiano lo spazio “Archivi Living Theatre. Caggiano” (presso Palazzo Prospero Morone e Giuseppina Morone in Bonito Oliva, via San Pietro, Caggiano, SA). Il borgo cilentano ospiterà la raccolta più importante al mondo di documenti appartenuti alla rivoluzionaria compagnia statunitense. Il prezioso fondo archivistico costituisce la testimonianza completa del percorso artistico di Julian Beck, Judith Malina e del loro gruppo, che va a sommarsi agli archivi conservati presso la Yale University e il Lincoln Centre di New York. Il progetto “Archivi Living Theatre. Caggiano” è realizzato in collaborazione con il comune di Caggiano e la Regione Campania e con la partnership dell’Università di Victoria (Canada).
Dalla fine degli anni Ottanta, la Fondazione Morra ha acquisito opere pittoriche, disegni, diari, progetti di costumi, scenografie e scritti vari, prodotti nei numerosi soggiorni in Italia del Living Theatre. Nella collezione sono raccolti anche appunti di lavoro autografi, recensioni, fotografie: un repertorio unico costituito da ben 58.812 pezzi, che saranno oggetto di uno straordinario allestimento nell’affascinante centro dell’appennino del Cilento.
In occasione dell’inaugurazione degli spazi espositivi sono previsti tre giorni di eventi, tra convegni, presentazioni di libri, happening, concerti, visite all’archivio, proiezioni di film e concerti. Tra gli ospiti, il professor Lorenzo Mango dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” e la professoressa Cristina Valenti dell’Università di Bologna, che si incontreranno con Garrick Beck, erede di Julian Beck e Judith Malina (in collegamento streaming). Sono previsti, inoltre, interventi dello studioso Allan Antliff dell’Università di Victoria (Canada), che presenterà il suo libro Radiant Anarchy - Reflections on the Living Theatre; del prof. Romano Gasparotti, docente di Estetica dell’Accademia di Belle Arti di Brera (Milano); della performer, attrice e musicista americana Bibbe Hansen, figlia di Al Hansen, membro del gruppo Fluxus; e di Cathy Marchand, attrice storica del Living Theatre.
Tra gli eventi in programma anche la performance di Alvin Curran, Endangered Species. Inoltre sarà possibile assistere al concerto di Girolamo De Simone, Andrea Riccio con Domenico Di Francia (special guest) su musiche di John Cage, Morton Feldman, Giuseppe Chiari e Girolamo De Simone e a Living Theatre Rivisiting - Musiche ed Event score di John Cage, George Brecht e Al Hansen, opera realizzata da Girolamo De Simone, Francesco De Simone, Domenico Di Francia e Andrea Riccio, partendo dal programma del celebre Concert of New Music, proposto a New York il 14 marzo del 1960, attualizzando brani e tecniche che furono al centro dello storico evento.
«L’intervento della Fondazione Morra sul nostro territorio - spiega il sindaco Modesto Lamattina - si collega al recupero innovativo del centro storico di Caggiano, iniziato circa venti anni fa con interventi che mirano a fare del borgo antico un modello replicabile. Un’idea di rigenerazione urbana sostenibile, che rende il borgo un centro unico e all’avanguardia, in grado di recuperare terreno sull’inesorabile processo di spopolamento attraverso pratiche virtuose che mettano in relazione popolazione e architetture storiche: a fare da collegamento col resto del mondo, l’arte ed eventi di grande risonanza come quelli organizzati dalla Fondazione Morra».
Nell’archivio Living Theatre sono presenti materiali del gruppo relativi agli anni 1969-2015. La raccolta prende avvio da numerosi eventi promossi e organizzati dalla Fondazione Morra a partire dal 1995, anno in cui la Compagnia realizza due spettacoli al Teatro Mercadante di Napoli. Nel 2003 la Fondazione organizza la mostra antologica Living Theatre: Labirinti dell’Immaginario a Castel Sant’Elmo e la prima mondiale dello spettacolo Enigmas, proseguendo fino al 2015 con attività di produzione e diffusione del progetto Living.
La collezione contiene anche un’ampia sezione dedicata ai costumi e agli oggetti di scena di alcune storiche rappresentazioni, in particolare degli spettacoli The Yellow Methuselah, The Archeology of Sleep, Masse Mensch e Anarchia. Nel 1981 il Living annuncia di voler rinnovare la sua pratica artistica con la creazione di un “dipinto arrotolato” ispirato a Vasilij Kandinskij, lungo settanta metri e altro e cinque metri e mezzo, da utilizzare come fondale dinamico (da svolgere con un meccanismo a leva) nella performance The Yellow Methuselah. Il lavoro, composto da Hanon Reznikov, è una fusione di due opere teatrali di forte impatto politico: Torniamo a Matusalemme di George Bernard Shaw e Il Suono Giallo, “composizione scenica” di Kandinskij. L’opera narra l’evoluzione dell’umanità secondo un modo di essere anarchico, a favore della vita e, utopisticamente, dell’immortalità.
PROGRAMMA LIVING THEATRE CAGGIANO 2024 [...]
* Fonte: Fondazione Morra (ripresa parziale).