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L’ECONOMIA DELLA FOLLIA, IL LINGUAGGIO, E L’AMORE. BASTA CON LE ROBINSONATE! P. SWEEZY, H. MATURANA E X. DAVILA. Due "sottolineature" - a cura di Federico La Sala

giovedì 22 maggio 2008.
 


A)

-  P. Sweezy
-  La teoria dello sviluppo capitalistico

-  Introduzione *

La societa’ e’ qualcosa di piu’ di un mero insieme di individui. Essa e’ un insieme di individui tra i quali esistono certe relazioni, definite e piu’ o meno stabili. La forma della societa’ e’ determinata dal carattere e dalla forma di queste relazioni. Le scienze sociali comprendono tutti quei rami dello scibile che hanno come obiettivo lo studio e la comprensione di queste relazioni e dei loro mutamenti nel corso del tempo. Tutto cio’, si dira’, e’ a tal punto ovvio da esser banale. Cosi’ e’ infatti. Ma e’ bene ricordare che le cose piu’ ovvie sono spesso le piu’ importanti. Coloro che trascurano l’ovvio lo fanno a loro proprio rischio. La moderna scienza economica offre al riguardo un caso interessante.

L’economia, per consenso unanime, e’ una scienza sociale; basta considerare il "catalogo" di una casa editrice universitaria per convincersene. La sua materia di studi e’ tratta dal campo della produzione e della distribuzione dei beni e servizi di cui gli individui hanno bisogno e desiderio. Sulla base di questi due presupposti sembrerebbe legittima la conclusione che l’economia studi le relazioni sociali (interpersonali) della produzione e della distribuzione. Quali siano queste relazioni, come esse mutino, quale e’ il loro posto nel complesso delle relazioni sociali: ecco gli oggetti di indagine che sembrerebbero ovvi.
-  Ma gli economisti, in realta’, considerano le cose in questo modo? Diamo un’occhiata, per chiarimento, all’opera del professor Lionel Robbins, The Nature and Significance of Economic Science (prima edizione, 1932). Il libro del professor Robbins non e’ scelto come esempio estremo, ma solamente come opportuno riepilogo di opinioni largamente diffuse fra gli economisti moderni. Orbene, il professor Robbins considera forse l’economia come una scienza sociale nel senso che essa tratti primariamente le relazioni fra persone e persone? "La definizione di economia che probabilmente potrebbe raccogliere le piu’ larghe adesioni... e’ quella che la collega allo studio delle cause del benessere materiale": cosi’ egli afferma (p. 4).

Questa, certamente, non e’ una definizione molto promettente, in quanto si riferisce a tutti i tipi di scienze naturali e applicate, che non ci si puo’ certo aspettare siano dominio dell’economista. Si puo’ percio’ essere grati al professor Robbins per il fatto che egli decide di respingere questa impostazione. Per penetrare nell’essenza della questione, egli passa a considerare "il caso di un uomo isolato che ripartisca il suo tempo fra la produzione di reddito reale e i godimenti relativi" (p. 12). Eccoci di fronte al nostro buon amico Robinson Crusoe e il professor Robbins trova la sua condotta molto istruttiva. Senza tornare alla terraferma, il professor Robbins elabora questa definizione dell’economia: "L’economia e’ la scienza che studia la condotta umana come relazione fra fini e mezzi limitati che hanno usi alternativi" (p. 15).

Questa definizione non sembra molto pertinente per una scienza delle relazioni sociali. Essa ha piuttosto la sembianza di una definizione della condotta umana in generale. Non si e’ quindi sorpresi di trovare che questa scienza conduca a risultati generalmente applicabili a tutte le forme della societa’, vale a dire nelle condizioni piu’ diverse per quanto riguarda il genere di relazioni esistenti fra i membri della societa’. "I principi generali della teoria del valore", secondo il professor Robbins, "sono altrettanto applicabili alla condotta di un uomo isolato, quanto all’organo esecutivo di una societa’ comunista, nonche’ alla condotta di un individuo in un’economia di mercato" (p. 19). La stessa cosa, indubbiamente, potrebbe dirsi dei principi generali della fisiologia.

Il professor Robbins non va tanto oltre da affermare che l’economia non e’ una scienza sociale, ma egli sente un’evidente antipatia per l’opinione che la ritiene tale. Partendo dal punto di vista degli economisti classici, egli afferma: "Era possibile considerare la materia oggetto dell’economia come qualcosa di sociale e collettivo", tuttavia con la piu’ recente valutazione dell’importanza della scelta individuale "questa impostazione diventa sempre meno congrua" (p. 69).
-  Inoltre, egli ci dice che invece di studiare la produzione totale della societa’ e la sua ripartizione, vale a dire il risultato delle relazioni sociali della produzione, "dobbiamo considerare (il sistema economico) come una serie di relazioni interdipendenti ma concettualmente distinte fra gli individui e i beni economici" (p. 69). In altre parole, il sistema economico non e’ considerato primariamente in termini di relazioni fra individuo e individuo (relazioni sociali), ma in termini di relazioni fra individui e cose.

Sarebbe un errore inferirne che l’economista moderno non si preoccupi affatto delle relazioni sociali della produzione. Al contrario, egli e’ continuamente impegnato in ricerche che hanno un carattere ovviamente sociale. Probabilmente egli sottolineera’ queste ricerche, per dimostrare che le accuse mossegli secondo la linea sopra accennata sono infondate. Con cio’ pero’ si dimentica il punto essenziale che noi cercheremo invece di cogliere. E’ naturalmente vero che, nell’applicazione o nell’uso dell’apparato concettuale della teoria economica, e’ impossibile non tener conto delle relazioni sociali e bisogna porle in discussione.
-  Ma cio’ che ci interessa porre in rilievo e’ che questo apparato concettuale si tende a costruirlo in modo che trascenda ogni particolare complesso di relazioni sociali. Di conseguenza, queste ultime rientrano nel quadro (se pur vi rientrano) solo incidentalmente, e soltanto al momento in cui la teoria viene applicata. Diciamo incidentalmente, poiche’ non e’ necessario che vi entrino affatto. Cio’ e’ provato dal fatto che si suppone la teoria economica ugualmente applicabile a Robinson Crusoe e agli altri vari tipi dell’economia sociale. In altri termini, la teoria economica diventa primariamente un processo di elaborazione e di connessione di concetti da cui e’ stato espunto ogni contenuto specificamente sociale.

Nell’applicazione effettiva, l’elemento sociale puo’ essere introdotto (e normalmente lo e’, in quanto Robinson Crusoe e’ molto utile e interessante soprattutto nelle fasi preliminari della teoria) per mezzo di ipotesi ad hoc, specificanti il campo di applicazione.

Cerchiamo di rendere chiaro cio’ che intendiamo dire, con l’esaminare il concetto particolare di "salario" che compare in tutte le moderne teorie economiche. Il termine e’ tratto dal linguaggio usuale, nel quale significa le somme di denaro pagate a breve intervallo da un datore di lavoro ai lavoratori ingaggiati. La teoria economica, tuttavia, ha svuotato questo contenuto sociale e ha ridefinito il termine per significare il prodotto, vuoi espresso in valore vuoi espresso in termini fisici, che e’ imputabile all’attivita’ umana impegnata in un processo produttivo in generale. Cosi’, in questo senso, Robinson Crusoe, l’artigiano autoimpiegato e il piccolo proprietario agricolo non meno che il lavoratore di una fabbrica industriale guadagnano tutti salari, sebbene nel linguaggio comune soltanto l’ultimo tipo di lavoratore debba propriamente essere considerato come percettore di salario. In altre parole, il "salario" diventa una categoria universale della vita economica (cioe’ della lotta per superare la limitazione dei beni), anziche’ una categoria propria di una particolare forma storica della societa’.
-  Nell’analizzare il sistema economico attuale, gli economisti introducono, sia esplicitamente che implicitamente, quelle ipotesi istituzionali e sociali necessarie affinche’ i salari prendano la forma di pagamenti in denaro, effettuati dai datori di lavoro ai lavoratori ingaggiati. Cio’ che sta dietro questa forma e’ peraltro desunto dai teoremi della produttivita’ i quali in se stessi sono completamente vuoti di contenuto sociale. Da questo punto di vista, diventa facile e naturale passare a considerare i salari come "in realta’" o "nella sostanza" espressione della produttivita’ marginale del lavoro e a considerare la relazione fra datore di lavoro e lavoratore, espressa nell’effettivo pagamento di salari, come incidentale e in se stessa di nessuna particolare importanza. In tal modo il professor Robbins afferma che "la relazione di scambio (in questo caso fra datore di lavoro e lavoratore) e’ un incidente tecnico... accessorio al fatto fondamentale del carattere limitato dei beni" (p. 19).

Ne’ si finisce qui. Una volta adottato il punto di vista ora illustrato, e’ straordinariamente difficile, anche per i piu’ cauti, evitare di prendere l’abitudine di considerare il "salario-produttivita’" come in certo senso il salario giusto, vale a dire il reddito che il lavoratore dovrebbe ricevere in un ordine economico giusto. Non ci si vuole qui riferire alle giustificazioni dell’attuale sistema economico che gli economisti del passato usavano formulare nei termini della teoria della produttivita’. Essi erano troppo declamatori e ovvi e sono passati di moda da lungo tempo. Ci si vuole invece riferire a un uso molto piu’ sottile della teoria della produttivita’ quale metro di desiderabilita’ da parte dei critici dello statu quo. Sia il professor Pigou che la signora Robinson, per esempio, sostengono che il lavoratore e’ sfruttato se riceve quale salario meno del valore del prodotto fisico marginale del suo lavoro. In tal guisa l’attuale sistema economico e’ implicitamente criticato, nella misura in cui esso non si conforma a un modello costruito con deduzioni da concetti che sono completamente sprovvisti di contenuto sociale. Qualcosa che presenta una sorprendente rassomiglianza col modo giusnaturalistico di giudicare la societa’, prevalente nel secolo XVIII, viene cosi’ contrabbandato attraverso la porta di servizio da coloro che eviterebbero con ogni cura di farlo passare apertamente per l’ingresso principale.

Sarebbe possibile eseguire altre analisi del genere e giungere a risultati in larga misura simili, se si dovessero esaminare altri concetti centrali della teoria economica quali la rendita, l’interesse, il profitto, il capitale, ecc. Ma il metodo e’ con probabilita’ gia’ sufficientemente chiaro. In ogni caso, i concetti sono presi in prestito dal parlare di ogni giorno, il contenuto sociale ne e’ pero’ eliminato, e le categorie universali che ne risultano sono indifferentemente applicate a tutti i tipi di sistemi economici. Questi sistemi sono poi considerati come differenziati l’uno dall’altro, per quanto riguarda l’economista, soprattutto per elementi formali non essenziali. Puo’ perfino accadere, come si e’ visto, che essi siano valutati non in termini sociali ma con riferimento a modelli astratti, che sono ritenuti di importanza logica primaria.

Appare ovvio come in questo modo l’economista eviti una sistematica indagine di quelle relazioni sociali che sono cosi’ universalmente considerate rilevanti per i problemi economici da essere profondamente incorporate nel linguaggio usuale del mondo degli affari. Ed e’ ancor piu’ ovvio come il punto di vista che l’economia moderna ha adottato come fondamentale, la renda inadatta al compito di piu’ vasta portata di chiarire la funzione dell’elemento economico nella complessa totalita’ di relazioni fra individui e individui i quali compongono cio’ che si chiama societa’.

Sembra ragionevole supporre che la situazione sopra brevemente delineata sia in buona parte responsabile di cio’ che si puo’ giustamente designare come un diffuso sentimento di insoddisfazione verso gli economisti e le loro opere. Cosi’ stando le cose, potrebbe sembrare che il metodo piu’ proficuo fosse quello di impostare un’analisi particolareggiata dei dogmi e delle credenze centrali dell’economia moderna, dal punto di vista delle loro deficienze come scienze veramente sociali delle relazioni umane. Un’analisi critica di questo genere e’ tuttavia, nella migliore delle ipotesi, un compito ingrato, ed e’ comunemente esposta alla giustificabile accusa di impotenza a offrire qualcosa di costruttivo in luogo di cio’ che si respinge. Noi abbiamo percio’ deciso di abbandonare il terreno della dottrina ufficiale, nella convinzione che essa non sia affatto soddisfacente, e tentare invece un’altra impostazione per lo studio dei problemi economici e, precisamente, quella che e’ associata con il nome di Karl Marx. Di consegnenza, nelle pagine che seguono, noi ci occuperemo assai estesamente dell’economia marxiana.

Cio’ non significa che sia nostra intenzione rivelare "cio’ che Marx ha veramente voluto dire". In proposito, noi partiamo dall’ipotesi semplice, sebbene forse non ovvia, che egli volle dire cio’ che disse, e ci proponiamo il compito piu’ modesto di scoprire cio’ che puo’ essere imparato da Marx, se qualcosa da imparare esiste.

*

-  Autore Paul M. Sweezy
-  Titolo La teoria dello sviluppo capitalistico
-  Edizione Bollati Boringhieri, Torino, 1970 (1951),
-  Universale scientifica 52-53 , pag. 616, cop.fle., dim. 130x192x33 mm
-  Originale The Theory of Capitalist Development (1942)
-  Prefazione di Claudio Napoleoni

B)

-  Humberto Maturana
-  Ximena Davila,
-  Emozioni e linguaggio in educazione e politica

Fondamento emozionale del sociale *

L’emozione fondamentale che rende possibile l’ominazione è l’amore. So che quanto dico può risultare scioccante, ma insisto, è l’amore. Non sto parlando da un punto di vista cristiano. Devo anzi dire che, malauguratamente, la parola amore è stata snaturata, e a furia di ripetere che l’amore è qualcosa di speciale e difficile, si è svigorita anche l’emozione che connota. L’amore è costitutivo della vita umana, ma non è niente di speciale. L’amore è il fondamento del sociale, ma non tutta la convivenza è sociale. L’amore è l’emozione che costituisce l’ambito di comportamenti in cui ha luogo l’operatività dell’accettazione dell’altro come altro legittimo nella convivenza. Ed è questo modo di convivenza quello che intendiamo quando parliamo del sociale. Per questo dico che l’amore è l’emozione che fonda il sociale: senza accettazione dell’altro nella convivenza non c’è fenomeno sociale.

In altri termini, dico che sono sociali soltanto le relazioni che si fondano sull’accettazione dell’altro come altro legittimo nella convivenza e che tale accettazione è ciò che costituisce un comportamento di rispetto. Senza una storia di interazioni sufficientemente ricorrenti, coinvolgenti e prolungate, in cui ci sia accettazione reciproca in uno spazio aperto alle coordinazioni di azioni, non possiamo sperare che nasca il linguaggio. Se non vi sono interazioni nella reciproca accettazione, si produce separazione o distruzione. In altre parole, se nella storia degli esseri viventi c’è qualcosa che non può nascere all’interno della competizione, questo è il linguaggio.

*

-  Autore Humberto Maturana
-  Coautore Ximena Davila
-  Titolo Emozioni e linguaggio in educazione e politica
-  Edizione Eleuthera, Milano, 2006, didascabili , pag. 128, cop.fle., dim. 11x18x0,9 cm , Isbn 88-89490-26-8
-  Originale Emociones y lenguaje en educación y politica (2006)
-  Traduttore Luisa Cortese
-  Lettore Corrado Leonardo, 2007


Sul tema, nel sito, si cfr.:

"CHI" SIAMO NOI, IN REALTÀ. RELAZIONI CHIASMATICHE E CIVILTÀ: UN NUOVO PARADIGMA. CON MARX, OLTRE.

lL "LOGO" DELLA SAPIENZA, L’UMANITA’, E L’ACQUA...

GUARIRE LA NOSTRA TERRA: VERITÀ E RICONCILIAZIONE. Lettera aperta a Israele (già inviata a Karol Wojtyla) sulla necessità di "pensare un altro Abramo"

Federico La Sala


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