Zapatero il precursore
di BARBARA SPINELLI (La Stampa, 9/3/2008)
Scrive El País, giornale fiancheggiatore di José Zapatero nelle elezioni che si svolgeranno oggi in Spagna, che ancora una volta il terrore e la militarizzazione del pensiero hanno soppiantato il pacifico duello democratico, esattamente come accadde quattro anni fa, quando un attentato islamico colpì Madrid seminando 191 morti: ancora una volta è la pistola contro il voto, l’irrazionalità violenta contro la razionalità della meditazione cittadina. L’editorialista del quotidiano parla di maledizione: ieri fu l’Islam radicale a colpire, oggi è stata l’Eta a uccidere un ex consigliere comunale, il socialista basco Isaias Carrasco.
L’attentato è vissuto come una maledizione perché sembra fatto apposta per screditare e distruggere la svolta che Zapatero da tempo impersona: svolta di natura politica e culturale. La maledizione è spagnola ma non solo. È come se qualcuno avesse deciso che si torna alla casella di partenza, prima che l’alternativa-Zapatero s’imponesse: qualcuno che ripropone la complicità fra nuove destre e terrore.
Questa volta Zapatero non osserva da fuori gli eventi, è dentro il tifone. Sotto tiro c’è quel che incarna da quando, il 14 marzo 2004, sconfisse Aznar: la grande e prima alternativa nella lotta antiterrorista inaugurata dopo l’11 settembre 2001. Per questo il voto spagnolo di questa domenica è così importante, per l’Europa e l’America. Quando negli Stati Uniti ancora non era apparso Obama, fu Zapatero infatti il primo segno che la democrazia può produrre qualcosa di diverso dalla politica della paura e delle menzogne, dall’arroccamento che consiste nel dare più sicurezza e meno libertà, meno diritti. Zapatero è precursore, è il primo a mostrare come sia possibile contrastare lo Spirito dei Tempi, la rivoluzione conservatrice americana culminata nell’esperienza Bush.
C’è lo stesso elemento gioioso, in Zapatero e Obama, lo stesso sprezzo verso alcune certezze dell’establishment: la certezza che la democrazia vada ristretta, che il politicamente corretto sia una minaccia, che lo Stato perda forza morale se è pienamente laico. Un evento analogo ha fatto nascere la risposta di Zapatero, e poi quella di Obama: l’attentato madrileno dell’11 marzo 2004 nel primo caso, l’11 settembre e la guerra in Iraq nel secondo. Li accomuna anche lo sguardo fiducioso verso il futuro: senza cedimenti all’apocalittico, cupo pensiero dominante.
Anche di Zapatero, nel 2004, Hillary Clinton e McCain avrebbero detto: quest’uomo non ha esperienza, è troppo nuovo per i nostri paesi, quel che ci vuole non è lo sperimentale ma il collaudato. Aznar, che aveva l’esperienza ma cui mancava tragicamente la capacità di giudizio, vedeva nell’avversario una nullità, debellabile con qualche furbizia. Il nomignolo che veniva dato a Zapatero è significativo. Per aver teorizzato un’Oposición Tranquila lo soprannominarono Bambi, o peggio Sosoman. A differenza di Superman, quest’ultimo era un irrimediabile soso: un insipido, senza sale. Accuse simili colpiscono oggi Obama, o Veltroni in Italia. Non sono ritenuti abbastanza aguzzi, aggressivi. Non condividono quello che fino a ieri sembrava il moderno ma che Zapatero ha d’un colpo fatto invecchiare: l’arroganza bellicosa, l’apocalittismo politico, il terrore usato per aumentare i poteri dei governanti. Prima di Obama, fu Zapatero a insorgere contro i mali che l’apocalittismo secerne: l’uso cinico della paura. Il pessimismo sprezzante con cui si guarda al cittadino-elettore, spaventato e infantilizzato.
Egualmente significativo è che Zapatero sia divenuto bersaglio tra i più temuti delle gerarchie cattoliche: soprattutto da quando Ratzinger è Papa. Con Benedetto XVI una parte della Chiesa ha scoperto l’utilità della paura, dello sguardo aggrondato e disastroso sul mondo e sulle libere coscienze. In fondo si è congedata da Giovanni Paolo II, che fu un conservatore sulle questioni morali ma che aveva saputo dire: «Non abbiate paura», come se identificasse in questa passione paralizzante, rattristante, uno dei mali contemporanei maggiori. A loro modo Zapatero e Obama hanno ripreso quell’appello, e fa impressione vedere come la Chiesa oggi li avversi, interferendo nelle loro politiche.
La presa di posizione della Conferenza episcopale spagnola contro Zapatero è netta, soprattutto da quando Rouco Varela, arcivescovo di Madrid e molto conservatore, è stato eletto il 4 marzo presidente della Conferenza al posto del più moderato vescovo di Bilbao, Ricardo Blázquez. Ma già prima, il 30 gennaio, la Conferenza episcopale aveva diffuso una nota in cui il cittadino veniva invitato a punire chi aveva screditato la Chiesa nazionale con la legge sulla memoria franchista, l’aveva offesa con i matrimoni gay e il divorzio facile, aveva pensato di poter dialogare con l’Eta se l’Eta avesse rinunciato alla violenza. Se gli attacchi a Zapatero sono stati così diffusi in Spagna ed Europa vuol dire che non era così Sosoman, insulso. Che indicava una via temibile, perché praticabile. Come Obama dopo di lui, come Prodi e poi Veltroni, egli impersonava quel che sembrava improponibile a tanti: la possibilità di avere speranze anche se l’insperabile dilaga; di rispondere con più democrazia alla democrazia inferma; di integrare immigrati e diversi; di governare con pazienza e non in continua tensione.
Non stupisce che Zapatero sia un estimatore di Borges, perché la grande letteratura aiuta ad avere un sguardo meno momentaneo: che adori in particolare il Libro di Sabbia. Juan Cruz, condirettore del País, ricorda il racconto sull’Utopia di un uomo che è stanco, che narra dell’incontro con un probabile uomo del futuro e gli fa dire: «I fatti non interessano più nessuno. Sono semplicemente dei punti di partenza per l’invenzione e il ragionamento. Nelle scuole ci insegnano il dubbio e l’arte dell’oblio. La stampa, ora abolita, è stata uno dei peggiori mali dell’Uomo, giacché la sua tendenza è stata quella di moltiplicare fino alla vertigine testi inutili».
Zapatero qualche esperienza nel frattempo la possiede. Non pochi elementi della sua alternativa si sono rafforzati (separazione ferrea Stato-Chiesa, legge sulla memoria franchista, educazione civica insegnata a scuola, riformismo nei costumi) ma ha fatto anche concessioni. Contrariamente a quel che vien detto in Italia, ha concesso molto anche alla Chiesa: troppo, secondo suoi estimatori. Soprattutto quando ha cercato di ammansirla finanziariamente, o ha patteggiato sull’insegnamento, inviso a tanti vescovi, dell’educazione civica. Nell’accordo col Vaticano del dicembre 2006, in cambio dell’impegno del clero a pagare l’Iva, la quota versata alla Chiesa dal contribuente viene aumentata, passando dallo 0,52 allo 0,7 per cento.
L’opposizione del Partito popolare è stata singolare, in questi anni. Nominato da Aznar, Mariano Rajoy ripete i suoi slogan, ne è inerte prigioniero: stesso catastrofismo, stessa strumentalizzazione della paura, stessa incapacità ad accettare la perdita del potere (un’incapacità condivisa con la destra italiana: anche in Spagna il potere di sinistra è giudicato illegittimo, innaturale). Rajoy ripete Aznar, sposa addirittura i suoi fallimenti, compresa la guerra in Iraq. Anche dopo l’attentato Eta reagisce slealmente: invece di solidarizzare con i governanti, Rajoy ha subito intravisto un profitto. Ha chiesto che nel comunicato congiunto di venerdì venisse revocata la decisione approvata dal parlamento, favorevole a futuri negoziati con l’Eta. Può darsi che la maledizione avvantaggi stavolta i Popolari, dando loro un’inaspettata vittoria. Tutto è possibile, quando la cultura dell’accountability del render conto viene applicata ai governanti e non vale per chi ha fatto l’opposizione più o meno onestamente. Tutto è possibile, quando la politica della paura torna a occupare il palcoscenico, senza alternative.
Sul tema, nel sito, si cfr.:
SPAGNA: RADICI CRISTIANE E RADICI CATTOLICO-ROMANE...
ZAPATERO E LA "LEY DE IGUALDAD". DONNE E UOMINI: "NOI "GENEREMOS ACCIONES"...
Eu-ropa. Che cosa significa essere "Eu-ropeuo"...
UOMINI E DONNE... SULL’USCITA DALLO STATO DI MINORITA’, OGGI
Spagna, verso il nuovo governo Sanchez: 11 donne e 6 uomini
Vicepremier Carmen Calvo, c’è anche un astronauta
di Redazione ANSA *
MADRID. Il premier spagnolo Pedro Sanchez ha annunciato nella sua prima dichiarazione ufficiale dal Palazzo della Moncloa che nel nuovo governo di Madrid "per la prima volta dal ritorno della democrazia ci sono più donne che uomini, 11 su 17". L’Uguaglianza, di responsabilità della vicepremier Carmen Calvo, sarà una "autentica priorità del governo", ha aggiunto.
Questi secondo la stampa i nomi dei probabili nuovi ministri: - Presidente del governo, Pedro Sanchez. - Vicepremier, Carmen Calvo, ministro dell’Uguaglianza. - Giustizia, Dolores Delgado. - Finanze, Maria Jesus Montero. - Economia, Nadia Calvino. - Esteri, Josep Borrell. - Interni, Margarita Robles. - Difesa, Constantin Mendez - Amministrazione Territoriale, Meritxell Batet. - Investimenti, José Luis Abalos. - Educazione, Isabel Celaà. - Scienza, Università, Pedro Duque. - Lavoro, Magdalena Valerio. - Sanità, Carmen Monton. - Ambiente, Teresa Ribera. Mancano i nomi del nuovo responsabile della Cultura e del Portavoce del governo.
* ANSA 06 giugno 2018 (ripresa parziale, senza immagini).
Don Sturzo, la Chiesa e la guerra civile spagnola
di Fulvio Cammarano (il Messaggero, 22 gennaio 2013)
La guerra civile spagnola è ancora oggi considerata un conflitto strettamente associato all’idea di guerra di religione. E non può essere altrimenti dato che entrambi i fronti utilizzano la religione come simbolo delle loro ragioni.
Se la Chiesa è in quegli anni interessata ad accreditare l’idea di una guerra come reazione alla persecuzione religiosa dei repubblicani, è però vero che non poche, ma comunque minoritarie, voci del cattolicesimo politico si levarono per contestare tale prospettiva.
Di una delle più rilevanti di queste voci, quella di Luigi Sturzo, ci dà oggi conto Alfonso Botti raccogliendo (in un volume dell’opera omnia di Sturzo, Luigi Sturzo e gli amici spagnoli, 572 pagine, 40 euro a cura dell’Istituto Luigi Sturzo i carteggi tra il sacerdote siciliano e 37 corrispondenti spagnoli.
Si tratta di un lavoro importante non solo perché mette un punto fermo su un tema quasi ignorato dalla storiografia, ma anche perché fornisce una plausibile interpretazione dell’atteggiamento condiscendente della Santa Sede nei confronti dei ribelli franchisti.
Per Botti, non fu il timore delle persecuzioni antireligiose repubblicane a trattenere la Chiesa dal ricoprire un ruolo di pacificatore, ma «furono la benevola e fiduciosa valutazione del fascismo e il modus vivendi trovato (e comunque, anche nei momenti di attrito, auspicato) con esso a orientare la Santa Sede verso la sopravvalutazione dell’interpretazione del conflitto spagnolo come guerra di religione. Che, quindi, fu allo stesso tempo interpretazione e alibi».
FUORI DAL CORO
Sturzo, «voce fuori dal coro», contesta apertamente questa deriva e s’impegna, negli anni della Seconda Repubblica, per evitare l’identificazione tra cattolici e destre e poi, negli anni della guerra civile, opera concretamente a favore di una pace negoziata.
Pur consapevole degli errori del governo repubblicano che «rende difficile anche ai più favorevoli» difenderlo dall’accusa di persecuzione religiosa, Sturzo conferma che il suo obiettivo rimane, come scrive nell’ottobre 1936, «quello di disimpegnare la Chiesa cattolica come tale, dalla solidarietà con gli insorti. Tale accusa ripetuta dai giornali di Sinistra, è diffusa per colpa dei giornali di destra, nazionali, clericali e fascisti che vogliono confondere la causa degl’insorti con quella della Chiesa» (p.48).
Ma perché la Chiesa è in quegli anni avversata da così tanti nemici? Anche in questo caso Sturzo rifiuta la consolatoria e radicata versione del clero come vittima passiva e, con pochi altri, ne attribuisce le responsabilità al rifiuto della gerarchia iberica «alla maturazione di un laicato cattolico autonomo e sensibile alla questione sociale. In altre parole al distacco della Chiesa dal mondo popolare» (p. CXX), una colpa questa che la trasforma da vittima a corresponsabile di quella tragedia che anticipò, da ogni punto di vista, gli orrori della II Guerra mondiale
Der Tagesspiegel online - 15 maggio 2010
Spagna
Vittoria differita per Francisco Franco
(traduzione dal tedesco di José F. Padova) *
Le dittature lasciano il segno, negli animi sopra, nelle fosse comuni sotto la terra. Dopo la loro fine i conti restano in sospeso per anni e anni, o non si chiudono mai. In Spagna alla terribile Guerra civile 1936-39 ha fatto seguito la repressione, più crudele perché fatta a freddo, di “quelli della sinistra”, durata fino alla morte del despota nel 1974. I calcoli delle vittime, per forza imprecisi, superano le 100.000. Zapatero ha fatto un primo tentativo di revisione, compresa la riesumazione dei resti mortali (di moltissime fosse comuni si è perduta l’ubicazione!). Un colpo molto forte contro i simpatizzanti fascisti lo ha dato Balthazar Garzón, giudice istruttore noto per aver incriminato Pinochet e la Giunta argentina per crimini contro l’umanità. La reazione non si è fatta attendere: la Corte Suprema spagnola ha sospeso, per ora, il giudice perché avrebbe travalicato le sue competenze. La notizia in Italia non ha avuto il rilievo che merita e il perché lo possiamo ben capire. Fra i molti apparsi all’estero accludo un articolo del Tagesspiegel e un link a un altro scritto di Die Zeit del marzo 2009.(José F. Padova)
Il giudice-star spagnolo Garzón è sospeso - perché ha indagato su delitti commessi in violazione dei diritti umani. Con le sue indagini contro dittatori in tutto il mondo e anche contro l’ex despota spagnolo di destra Francisco Franco, Garzón era diventato la coscienza, proiettata sul mondo, della nazione.
http://www.tagesspiegel.de/politik/spaeter-sieg-fuer-franco/1838714.html
Il giudice delle indagini più efficiente del Paese, che ha fatto tremare terroristi, boss della mafia e criminali di stato, deve lasciare il suo posto. Così ha deciso il Consiglio Superiore della Magistratura spagnolo, che ha sospeso Garzón, 54 anni, il quale lavora da 22 anni al Tribunale Nazionale come giudice delle indagini.
Le proteste dei parenti di vittime della dittatura franchista hanno potuto fare poco e altrettanto le manifestazioni di solidarietà dei gruppi per i diritti delle persone, dei Premi Nobel e degli studiosi di diritto internazionale di molti Paesi. Nella capitale Madrid vanno sulle barricate contro il divieto, per il più famoso cacciatore di criminali di Spagna, di esercitare la sua professione: “Indagare sui delitti della dittatura di Franco non è un delitto!”, gridano. Con le sue indagini contro i dittatori in tutto il mondo e anche contro l’ex despota spagnolo Francisco Franco, Garzón era diventato la coscienza, proiettata sul mondo, della nazione.
La sua temporanea destituzione costituisce per il giurista la più grande sconfitta della sua carriera. E questo è soltanto il primo colpo contro lo scomodo giudice delle indagini, che con la sua azione imperterrita contro politici corrotti di tutti i partiti in Spagna si è fatto molti influenti nemici. Il secondo attacco è già avviato e consiste in un processo, che presto avrà inizio, per “usurpazione di funzioni pubbliche” - un procedimento giudiziario che è stato provocato da una denuncia da parte di gruppi dell’ultradestra, presenti nella sfera d’influenza dei simpatizzanti di Franco, ancora sempre numerosi.
Garzón avrebbe commesso la sua “usurpazione di funzioni pubbliche”, essi sostengono, perché avrebbe osato investigare - del resto unico giudice in tutta la Spagna -sui gravi crimini contro i diritti dell’umanità commessi dalla dittatura di Franco. Di questi crimini contro il diritto internazionale delle genti, finora inespiati, fa parte l’assassinio sistematico di più di 100.000 oppositori di sinistra durante i primi anni del regime franchista. Le loro spoglie mortali furono sotterrate in fosse comuni e fino ad oggi non sono ancora riemerse. Sorprendentemente la denuncia dei seguaci di Franco contro l’indagatore antifranchista, che all’inizio pareva assurda, ha trovato sostenitori molto influenti: nella Corte Suprema, che adesso mette Garzón sul banco degli imputati; nel maggior partito conservatore d’opposizione di Spagna, che ospita molti veterani di Franco e che ha ancora conti aperti con Garzón a causa di accuse di corruzione contro pezzi grossi del partito. E infine anche nel governo socialista - al quale non è piaciuto che Garzón abbia scosso il tabù sociale e voglia tirar fuori la salma di Franco da sotto il tappeto della storia. Una discutibile legge di amnistia del 1977 ha garantito l’impunità agli sgherri di Franco - nonostante questo contraddica il diritto internazionale, come nel frattempo ha stabilito il Tribunale europeo per i diritti dell’uomo.
Con la sua sospensione dovrebbe incontrare difficoltà anche il piano di Garzón di trasferirsi al Tribunale Penale Internazionale dell’Aja e proseguire così ancor più degnamente la sua carriera di pubblico accusatore. Il capo della Procura del Tribunale, Luis Moreno Ocampo, aveva offerto a Garzón, esperto in diritti dell’uomo, di lavorare per lui come consulente. Il Tribunale penale, di recente costituzione, ha il compito di indagare sui crimini contro i diritti dell’uomo commessi in tutto il mondo.
Garzón, che già negli anni ’90 aveva svolto indagini sull’ex dittatore cileno Augusto Pinochet e la precedente giunta militare argentina e che così divenne noto come il “cacciatore dei tiranni”, ha fama mondiale come promotore della “giustizia universale”, ovvero della punizione su scala mondiale dei crimini contro l’umanità. Nel caso dovesse essere effettivamente condannato dalla Corte Suprema della sua patria, la sua carriera come giurista potrebbe avere fine - e questo significherebbe una tardiva vittoria di Franco, i cui eredi con la liquidazione di Garzón si sbarazzerebbero del loro più pericoloso nemico in tempo di democrazia.
Ndt.: vedi anche http://www.ildialogo.org/estero/articoli_1238702409.htm
Un testo storico fondamentale è: Hugh Thomas, Storia della guerra civile spagnola, Einaudi, 1963.
* Il Dialogo, Giovedì 27 Maggio,2010 Ore: 14:19
Zapatero, dopo il giuramento al re Juan Carlos, annuncia il nuovo esecutivo
Il ministero della Difesa sarà assegnato da Carme Chacon, 37 anni, incinta
Spagna, ecco il governo Zapatero
Nove donne e otto uomini
MADRID - Il nuovo governo socialista spagnolo schiera più donne ministro che uomini: 9 a 8. Dopo aver giurato per il secondo mandato davanti a re Juan Carlos, il premier Jose Luis Rodriguez Zapatero ha presentato il suo esecutivo. E per la prima volta nella storia politica della Spagna le donne sono più numerose degli uomini.
Oltre ad essere in maggioranza, alle donne è andato anche il ministero della Difesa, che verrà assegnato a Carme Chacon, 37 anni. La donna, che aspetta un figlio, è una delle figure in ascesa all’interno del Partito Socialista. Diversi dei membri chiave del precedente governo resteranno al loro posto, come il ministro degli Esteri Miguel Angel Moratinos, il ministro dell’Economia Pedro Solbes e quello degli Interni Alfredo Perez Rubalcaba.
Sono cinque i ministri nuovi e quattro quelli non confermati, come il dicastero del Lavoro, Jesus Caldera. Fra le novità, il Ministero dell’Uguaglianza affidato a Bibiana Aido, 31 anni, il ministro più giovane della democrazia spagnola e quello delle Scienze e dell’Innovazione, ruolo che sarà di Cristina Garmendia, 45 anni.
* la Repubblica, 12 aprile 2008
VOTO IN SPAGNA
Il laico Zapatero
di GIAN ENRICO RUSCONI (La Stampa, 11/3/2008)
Una serena, ferma e dignitosa difesa dello Stato laico vince elettoralmente in una democrazia matura. Questa è la semplice lezione del successo di José Luis Zapatero.
Sappiamo che le varianti in gioco nelle elezioni spagnole erano e sono molte. Sappiamo che le differenze tra l’Italia e la Spagna sono grandi. Ce ne siamo dimenticati, anche per una certa provinciale supponenza che per decenni ci ha illuso di «essere più avanti» degli spagnoli. Adesso ci stanno dando molte lezioni: dal dinamismo economico all’impegno nelle istituzioni europee. Da qualche tempo ci offrono pure l’esempio di uno Stato che ha riscoperto il gusto della propria autonomia e dignità nel dimostrare con i fatti di essere l’unico depositario dei criteri dell’etica pubblica.
Il plusvalore della laicità ha certamente rafforzato la prospettiva «socialista» della politica zapateriana, che punta sulla valorizzazione della «cittadinanza sociale». Solo l’eutanasia del socialismo nel nostro Paese impedisce di cogliere il nesso fecondo tra socialismo della cittadinanza e diritti civili.
Nel merito si può essere d’accordo o no su questa o su quella iniziativa di legge (dalle nuove regole sul divorzio ai matrimoni gay), ma non c’è dubbio che il governo socialista sta sviluppando una strategia efficace. Consente all’opposizione cattolica ed ecclesiastica di dispiegare tutto il suo potenziale di protesta pubblica, senza farsi intimidire. Soprattutto non si lascia dettare lezioni su che cosa sia la «vera laicità dello Stato». Il risultato è che nulla fa infuriare di più i clericali spagnoli del sorriso disarmante di Zapatero quando annuncia e ribadisce le sue misure di laicità.
Con buona pace dei nostri clericali, non si può dire che «la sfera pubblica» spagnola sia condizionata dal laicismo di Stato. Nulla impedisce ai cattolici spagnoli, che seguono le direttive della gerarchia, di manifestare senza restrizioni i loro convincimenti con il massimo di pubblicità. Ma le loro ragioni non convincono la maggioranza degli spagnoli. È quindi sbagliato affermare che le iniziative di Zapatero fanno violenza alla buona popolazione spagnola. Semplicemente la gente, credente o non credente, è laicamente più matura dei suoi rappresentanti clericali.
Non so se il risultato elettorale spagnolo cambierà qualcosa nel nostro Paese nelle strategie politiche (tali sono anche quelle della Cei) in previsione di misure di legge che rientrano sotto i criteri della laicità dello Stato. Oggi in Italia è in atto una tregua elettorale, dettata dalla convenienza politica e da un calcolo di aritmetica elettorale. È il segnale di un intreccio intimo e strumentale tra i meccanismi democratici e la volontà di una parte del mondo cattolico di condizionare dall’interno (a cominciare dal Pd) i processi della decisione politica.
Non siamo dunque in una situazione spagnola, neppure per quanto riguarda «la sfera pubblica», che da noi è saldamente presidiata dalle forze cattoliche in linea con la dottrina o meglio con la strategia della Chiesa. Ma la linea intransigente dettata dalla parola d’ordine della «non negoziabilità dei valori», confondendo la dottrina della Chiesa con una strategia politica, mette in difficoltà la democrazia o quanto meno la sua funzionalità.
Non ci stancheremo di ripetere che in democrazia «non negoziabili» sono soltanto i diritti fondamentali, tra i quali al primo posto c’è la pluralità dei convincimenti, pubblicamente argomentati. Ad essa deve essere subordinato l’impulso a far valere i propri valori (per quanto soggettivamente legittimi) nei confronti degli altri cittadini. Dopo di che, evidentemente, si apre lo spazio al confronto - anche duro - delle ragioni che sono condivise o che dividono, e quindi alle regole del gioco democratico.
Non so se un futuro ipotetico governo Veltroni proporrà leggi non gradite alla gerarchia ecclesiastica, sostenendo il principio dell’autonomia dello Stato laico e il primato costituzionale del pluralismo etico. Dovrà prima fare i conti con alcune componenti interne del suo stesso partito, che non mancheranno di ricattarlo. Da questo punto di vista, anche se lo volesse, Veltroni non potrebbe agire con la fermezza di Zapatero. Si è già messo nelle condizioni politiche di non poterlo imitare, ammesso che lo voglia fare. Non aspettiamoci dunque un Veltroni-Zapatero. Non potrà e non saprà farlo. Lo apprezzerà magari a parole, ma da lontano. Nel suo stile.
La Spagna conferma Zapatero premier
«Governerò per tutti, sì al dialogo».
Ma resta l’incertezza sulle alleanze:
Pp sconfitto ma aumenta i deputati *
MADRID. José Luis Rodriguez Zapatero governerà la Spagna per altri 4 anni, ma continuerà ad avere bisogno dell’appoggio esterno di altri partiti. Le elezioni politiche spagnole di ieri hanno decretato una vittoria netta del Psoe di Zapatero, che aumenta i suoi deputati ma non riesce a raggiungere la maggioranza assoluta di 176 seggi, restando a 169 seggi; e una sconfitta chiara del Partido popular (Pp) di Mariano Rajoy, che però riesce a crescere nel numero di seggi, passando da 148 a 154.
Alta affluenza alle urne
I due maggiori partiti, Pp e Psoe, si sono affermati a scapito della sinistra di Izquierda Unida (Iu) e di alcuni dei partiti nazionalisti baschi e catalani. Il premier, parlando davanti alla folla che lo ha festeggiato nella sede del Psoe, ha voluto ricordare innanzitutto Isaias Carrasco, l’ex consigliere comunale socialista ucciso dall’Eta venerdì scorso, che «dovrebbe vivere questo momento con la sua famiglia». La morte di Carrasco sembra aver comunque favorito un’alta affluenza alle urne (il 75,3% degli aventi diritto, molto vicina a quella del 2004), decisiva per la vittoria socialista. «Governerò per le aspirazioni delle donne, per le speranze dei giovani, perché gli anziani abbiano l’appoggio guadagnatosi durante la vita», ha affermato Zapatero ricordando i punti forti della sua politica sociale.
I popolari: «Sconfitti, ma risultato storico»
Rajoy, da parte sua, ha ammesso la sconfitta ma ha sostenuto di aver raccolto «più voti che mai», con un risultato che i dirigenti del suo partito non hanno esitato a definire «storico». «Siamo il partito politico della Spagna che è aumentato di più in voti e in seggi», ha rimarcato Rajoy. Ora, Zapatero dovrà decidere con chi governare: e anche se la sua impresa in teoria dovrebbe essere facilitata dai 5 deputati in più che ha ottenuto, in pratica si trova di fronte a diverse possibili strade, nessuna delle quali appare veramente agevole. Nel suo discorso, Zapatero non ha fatto accenni chiari alle alleanze politiche che potrebbe intraprendere per la sua seconda legislatura, limitandosi a dire che «non risparmierò nessuno sforzo» per ottenere il «massimo consenso» con tutte le forze politiche.
Verso un’alleanza con i nazionalisti catalani
Una delle possibilità sarebbe governare con i nazionalisti catalani moderati di Convergencia i Uniò (CiU), un’ipotesi mai scartata dal premier durante la campagna elettorale. CiU ha mantenuto i suoi 10 seggi, e basterebbe ampiamente per avere la maggioranza assoluta. La principale controindicazione di questo scenario sta nelle implicazioni al livello locale: fra CiU e i socialisti catalani c’è grande animosità, anche a causa dell’esclusione dei nazionalisti dal potente governo regionale della Catalogna, nonostante abbiano la maggioranza relativa nel parlamento regionale. C’è poi la possibilità di un accordo con i nazionalisti baschi conservatori del Partido Nacionalista Vasco (Pnv, 6 seggi), insieme alla piccola formazione Navarra di Na-Bai (un seggio) e al Bloque Gallego. Su quest’ipotesi si staglia però l’ombra del referendum consultivo per l’indipendenza dei Paesi Baschi chiesto dal Pnv per il prossimo ottobre, a cui il Psoe è fortemente contrario.
Il crollo di Izquierda Unida
È un problema che andrà affrontato comunque da Zapatero, ma che non necessariamente sarebbe più facile da risolvere nel caso di un’alleanza esplicita con i nazionalisti baschi. Un’altra opzione sarebbe governare con la sinistra di Izquierda Unida (Iu), uscita però molto male dalle elezioni (è passata da 5 a 2 seggi) e il Bloque Nacionalista Gallego (Bng), che ha due seggi ed è alleato del Psoe in Galizia. Per raggiungere la maggioranza assoluta sarebbero però necessari gli indipendentisti di sinistra catalani di Esquerra Republicana de Catalunya (Erc), con cui i rapporti non sono buoni: inoltre questa soluzione garantirebbe appena 176 voti. Zapatero potrebbe anche decidere di non stringere alcun accordo elettorale, ricorrendo ad alleanze variabili a seconda della situazione, anche se questo rischia di esporlo a una notevole instabilità politica: la situazione davanti alla quale si trova il premier socialista appare insomma complessa, dato che i voti guadagnati dal Psoe sono stati tolti soprattutto ai partiti minori e nazionalisti e, non al Partido popular.
* La Stampa, 10/3/2008 (6:49)
In testa il partito del premier. Ai Popolari di Rajoy il 40%
gli avversari ammettono la sconfitta e si complimentano
Spagna, al Psoe il 44% dei voti
Zapatero: "Una vittoria chiara" *
MADRID - In Spagna i seggi si sono chiusi alle 20 (con un’affluenza di oltre il 73%) e da subito per il Psoe si è profilata la vittoria. I dati confermano le previsioni dei primi exit poll: con oltre l’82% dei seggi scrutinati, i socialisti ottengono il 44,03% dei voti, contro il 40.02% del Partito Popolare di Mariano Rajoy.
Mentre a Madrid, davanti al quartier generale del partito del premier, i sostenitori festeggiano e sventolano bandiere, Josè Luis Zapatero tira le somme: "Una vittoria chiara". Il Pp riconosce la sconfitta: il portavoce del partito, Pio Garcia Escudero, si è "felicitato" col Partito socialista, sottolineando comunque che "per i popolari si tratta di un grande risultato, i voti che abbiamo raccolto sono considerevolmente aumentati dal 2004, così come il numero dei seggi".
Zapatero sembra dunque avere raggiunto quell’"ampia maggioranza" che aveva chiesto agli elettori per governare da solo, o quasi, dopo una legislatura segnata da accordi e compromessi politici con i piccoli partiti nazionalisti catalani e baschi. Un voto funestato, alla vigilia, dall’assassinio, per mano dell’Eta, di Isaias Carrasco, ex assessore socialista di Mondragon, nei Paesi Baschi.
Nel 2004 il Psoe aveva ottenuto 164 seggi, con il 42,6% dei voti, contro 148 seggi del PP con il 37,6%.
L’ultimo sondaggio prima del voto non dava più di quattro punti di vantaggio al Psoe, fra le preoccupazioni per l’economia e prima dell’assassinio di Carrasco.
Ansa» 2008-03-09 21:18
SPAGNA: ETA NON FERMA VOTO, ZAPATERO VERSO VITTORIA
MADRID - I quattro exit poll diffusi dalle tv dopo la chiusura delle urne in Spagna sono concordi nel dare la vittoria al Psoe di Jose Luis Zapatero. Secondo quelli di Tve e Telecinco, i socialisti potrebbero perfino raggiungere, nella migliore delle ipotesi, la maggioranza assoluta al congresso dei deputati. L’exit poll diffuso dalla Tv pubblica Tve dà al Psoe di José Luis Zapatero fra 172 e 176 seggi su 350 con il 45% dei voti, fra 148 e 152 seggi e il 38,6% al Pp di Mariano Rajoy. Demoscopia per Antenna 3 dà al Psoe fra 163 e 166 deputati (42,64%), fra 149 e 152 al Pp (37,64%). Secondo Dermometrica per Telecinco i socialisti otterrebbero con il 45% fra 172 e 178 seggi, mentre ai popolari con il 38,6% andrebbero fra 142 e 147. L’istituto Opina per La Cuatro dà fra 168 e 173 seggi ai socialisti (44,5% voti) contro 145-149 (37,5%) ai popolari. Alle politiche del 2004 il Psoe aveva ottenuto 164 deputati e il 42,6% dei voti, il Pp 148 seggi con il 37,64%.
L’ETA NON FERMA GLI ELETTORI (di Francesco Cerri)
Per la seconda volta consecutiva gli spagnoli sono andati oggi numerosi alle urne non solo per decidere chi governerà il paese nei prossimi quattro anni, ma anche per dare una risposta collettiva di rifiuto del terrorismo dopo un attentato che ha di nuovo insanguinato il paese alla vigilia del voto. Quattro anni fa erano state le stragi dei treni di Madrid, firmate dal terrorismo islamico, l’attacco più sanguinoso subito dalla Spagna moderna (191 morti, 2000 feriti). Questa volta, venerdi, è stata l’Eta a colpire, uccidendo davanti a moglie e figlia il socialista basco Isaias Carrasco. Nei giorni scorsi José Luis Zapatero, favorito nei sondaggi, aveva lanciato ripetuti appelli agli elettori, chiedendo a tutti di andare a votare oggi. Il Psoe temeva un un forte calo dell’affluenza rispetto al 2004, una tendenza ritenuta più favorevole al Partido Popular. Dopo l’assassinio di Carrasco, un appello emotivo al voto, quale risposta al terrorismo, era venuto ieri dalla figlia del politico ucciso, Sandra, in segno di "solidarietà" con il padre, per dire ’no’ al terrorismo.
Un segnale che ha forse contribuito a ridurre l’emorragia di voti prevista da alcuni sondaggi negli ultimi giorni.
LA PAELLA DI RAJOY - Zapatero e Rajoy, i grandi protagonisti della sfida-rivincita sul 2004, hanno votato tutti e due a Madrid, in due seggi diversi. Il premier vicino al palazzo della presidenza del governo, la Moncloa, accompagnato dalla moglie la cantante lirica Sonsoles Espinosa. All’uscita dal seggio ’Zp’ ha lanciato un nuovo appello al voto di tutti: "La Spagna è più forte, la democrazia è più forte se tutti vanno a votare". Poco dopo ha votato Rajoy con la moglie Elvira Fernandez Balboa. Anche il leader del Pp ha chiesto "a tutti di votare, pensando a sé e al futuro del paese". Poi il leader dei popolari, fedele all’immagine di uomo di tradizione e buon senso che ha cercato di forgiare lungo la campagna elettorale, ha annunciato che sarebbe tornato a casa a mangiare una paella in famiglia prima di spostarsi a fine pomeriggio nella sede del partito, via Genova a Madrid, per attendere i risultati.
L’ANALISI
La Spagna alle urne sotto shock
Tensioni ai funerali di Carrasco
dal nostro inviato GUIDO RAMPOLDI
MADRID - Tramontato Blair, sconfitto Schroeder, travolta la Royal, caduto Prodi, in difficoltà Gordon Brown, l’Europa di centrosinistra si attende che oggi il vento della storia gonfi le vele dell’unico Partito socialista grossomodo ancora tonico, il Psoe di Josè Luis Rodriguez Zapatero. La vittoria di Zapatero nelle elezioni odierne smentirebbe la tendenza europea favorevole al centrodestra, e confermerebbe che un socialismo liberale può vincere anche senza sventolare bandierine a stelle e a strisce, non entrare mai in urto con i cardinali e nascondere il passato, per controverso che esso sia.
All’opposto una sconfitta suonerebbe per il centrodestra come una doppia rivincita. In quel caso, infatti, anche la rocambolesca vittoria di Zapatero nel 2004, contro Aznar e contro i pronostici, ne uscirebbe ridimensionata. Si griderebbe che a decidere l’esito delle urne fu la strage compiuta dal terrorismo islamista nella stazione di Madrid, la tesi con la quale Aznar e il suo Partido popular tuttora spiegano il loro fiasco inatteso. E molti, in primo luogo alcuni vescovi, aggiungerebbero che la Spagna ha finalmente dato il benservito a un estremista che stava minando le basi morali della società, a un nemico dell’Europa cristiana.
Nello stesso Partito socialista spagnolo, la vecchia guardia cercherebbe una rivincita contro chi l’ha emarginata ma non disarmata, quel Zapatero che essa chiama in segreto "Bambi", oppure "Harry Potter", volendo intendere un personaggio inverosimile, infantile, fiabesco come un cartone animato. Ma per la base adorante che in queste settimane affollava i raduni elettorali nelle plazas de toros, è "ZP", Zetapé, il leader più amato - su questo i sondaggi sono univoci - dalle donne e dai giovani. E Zetapé ha battuto in lungo e in largo il Paese con il suo passo da fenicottero, leggero, aereo, etereo. Ha promesso sgravi fiscali e aumenti (delle pensioni, del salario minimo), indifferente ai sarcasmi di chi ironizzava su quell’electoralismo pecuniario. E ovunque ha detto banalità ragguardevoli, ma le ha dette bene, sgranando un bel sorriso giovanile e gli occhioni azzurri che nelle elezioni del 2004 sembrarono l’icona della trasparenza in confronto allo sguardo opaco di Aznar. Altrettanto bene ha nascosto, ci pare, un’idea forte della Spagna, assente nei suoi comizi. Forse non era il caso di confondere l’elettorato con discorsi complicati, però è rimasto oscuro quale sarebbe il segno di uno Zapatero-bis. Quale modello di sviluppo per un’economia che decelera. Quale seguito alle riforme del costume che hanno entusiasmato gli uni e spaventato gli altri. E cosa voglia dire oggi essere un "democratico sociale", formula che Zapatero preferisce ad un termine più tradizionale, socialdemocratico.
Anche per queste incognite non è facile fare un bilancio di questi quattro anni, i primi, o gli ultimi, dell’era Zapatero. Secondo Marco Calamai, uno specialista della sinistra spagnola che ha discusso a lungo con lui, il premier socialista ha messo in coppia il modello socialdemocratico e la tradizione libertaria della Repubblica spenta dalla Guerra civile del 1936-1939. Così ha inaugurato la seconda fase della democrazia spagnola. La prima si aprì con la morte di Franco, nel 1975, e fu obbligata dal peso di un passato lacerante a procedere con "molta concordia e poca memoria", nelle parole di Zapatero. La seconda ha recuperato la memoria senza temere la discordia. Ma tutto questo ha il profilo debole di un progetto ancora incompiuto. E sconta la mancata soluzione di problemi giganteschi.
Il primo dei quali è un sistema di autonomie che incoraggia le ambizioni sfrenate di partitini etnici. Le regioni a statuto autonomo sono 17, e alcune stanno perseguendo una politica centrifuga apertamente anti-spagnola. In campagna elettorale ha fatto clamore il caso di un immobiliarista multato perché l’insegna del suo ufficio, a Barcellona, non era in catalano ma in castigliano, che pure è la lingua ufficiale della Spagna. La questione delle autonomie indirettamente è sfondo anche all’assassinio di un ex consigliere comunale socialista ucciso venerdì dall’Eta nelle province basche, lì dove l’autonomismo ha costruito il clima più favorevole al terrorismo secessionista. Su tutta questa materia il governo si è mostrato incerto e poco coraggioso.
Il Partido popular probabilmente ne avrebbe ricavato maggior vantaggio se anch’esso non fosse, come la destra italiana, un equivoco. Coprendo per intero l’area politica che va da una parte del centro fino all’estrema destra, obbliga a una convivenza opportunistica elettorati assai diversi tra loro, gli ex-franchisti e i liberali, i clericali e i secolarizzati, gli xenofobi e i tolleranti, gli isterici e i flemmatici, i neocon seguaci di Aznar e i realisti che detestano l’ex premier, fino allo scandaloso sindaco di Madrid, Ruiz Gallardon, popolarissimo ma estromesso dalle liste elettorali perché metà del partito lo considera grossomodo un rojo, un rosso!...
Avendo alle spalle questa babele, il capo del Partido popular, Mariano Rajoy, ha condotto una campagna elettorale inevitabilmente goffa ed è passato per quello che non è, uno sciocco. Persona corretta e dotata di senso dello Stato, a suo tempo ottimo ministro degli Interni, tuttavia Rajoy ha deluso tutti. La destra, irritata perché ha rifiutato di unirsi all’anatema contro il matrimonio gay (se diventerà premier, gli è stato chiesto, manterrà quella legge? Non lo so, ha traccheggiato). I liberali, sconcertati perché Rajoy ha scimmiottato la formula cara al nuovo moderatismo europeo, moderatissimo anche nell’uso delle meningi: gli immigrati, ha detto, dovranno fare propri "i costumi degli spagnoli" (quali costumi? La siesta, la corrida, i matrimoni tra omosessuali? E quali sono i tratti che distinguerebbero gli spagnoli, quando perfino gli elettori del Pp rappresentano tutto e il contrario di tutto?).
Tuttavia questi infortuni non impediscono a Rajoy di sperare in un buon risultato. Infatti gli spagnoli in maggioranza votano non per il partito che li convince, ma contro il partito che detestano, destra contro sinistra, come se il franchismo fosse finito ieri, non trent’anni fa. La vittoria o la sconfitta si giocano non tanto sull’abilità di attrarre elettorato fluttuante quanto sulla capacità di sottrarre la base più tiepida alla tentazione dell’astensionismo. Per riuscirvi Pp e Psoe ricorrono allo stesso messaggio: votateci oppure tornano al potere quelli. Per le stesse ragioni una Grosse Koalition in Spagna sembra a tutti impossibile. La destra della destra si ribellerebbe. E il Psoe, valuta il politologo Josep Ramoneda, commetterebbe un suicidio.
* la Repubblica, 9 marzo 2008.