PIERROT FUMISTA*
Per il compiersi della risolutezza suprema
serve una certa inclinazione all’ebbrezza
e soprattutto dei gran pasticci alla crema
L.S.
Notte di gala e gran chiasso al ballo degli Impiccati
fan piroette e balzi quei roridi monconi ritorti
- do, mi, sol - allegri festanti ubriachi e sfangati
girano in tondo, davvero non pare sian morti!
Vino e cervello guasto canto, del lor Fattore la morte,
l’ultimo ideale sospiro e singhiozzo nel gozzo,
gancio pendente dal culo e braccia contratte ritorte;
"Io son Pierrot fumista di foriere morte scagnozzo!"
Solo professo l’ordire da Nesso e fianco d’Impero,
fiera farsa d’addobbo e inguantata sozzura,
insensato torpore in gola vibrante e sonoro.
Il mio è sarcasmo d’ubriaco, squarcio che non sutura.
Ho il cuore impotente all’amore e la bocca sporca.
Fantoccio e prodromo d’imbroglio a spessi catenacci
imbriglio la rima e faccio alla mia maniera scartafacci,
oltraggi al regale banchetto. Son pendaglio da forca!
Gran baccano di giga! Piegati ad un riposo straziante
quegli esuli ingrati tra piroette e balzi danno fondo
ai boccali, schiumando la bocca alla luna calante.
Non paiono morti davvero e rigirano in tondo!
Perché io traggo dal niente qualche cosa e non da qualche cosa niente?
A. ARTAUD, Vie et mort de Satan le feu
- Chi è lo stronzo al tavolo con quel prete Pierrot?
- Ti ho schifosamente tradito. - Non ho capito.
Siete due gocce d’acqua. - E’ il mio doppio Poirot.
Il decalogo che scrivo è a un punto morto, finito!
I morti puzzano! Ed è un odore che non va via...
Mettere insieme qualche supplica, dei muti sospiri
per i tuoi peccati un padre nostro e un ave maria.
Gendarmi del rancore ragiono su Poteri e raggiri!
Ecco che spalancan le bocche alle ostie consacrate.
Sono i fedeli! Meritano un posto e tutti i permessi.
Agli Scorticati in Terra Santa addolorate sciancate
fate un florilegio che l’altro mondo li ha sfiancati.
Notarono quelli a stento giunti venire ammassati:
- Morirete uno ad uno, un pò alla volta e genuflessi!
INVITO ALLA PENOMBRA
E’ dolce lo scuro stanotte, nemica ormai la luna.
Vieni come sei, prepara gli aghi e le bende mio Signore.
L.S.
Noi così simiglianti ai nostri fieri antenati:
dissoluti, despoti travolti dalle congiure.
Demonio e Fattore ci prescrivono sciagure
veniam sì emendati dall’espiare i peccati!
Penetrati da un veleno bruciante e armati
fino ai denti, siam d’ogni vuota credenza
emblema risaputo e come pazzi forsennati,
danziam sui corpi, a revoca d’ogni essenza!
Siam noi stessi una curiosa bugia ben nota,
per tutto ciò che svanisce abbiam rancore,
e ci calza a pennello questo sbiadito colore.
Sradicati e maledetti, si sa al nulla votati!
Ah! Prodigi della Falsità! Dall’Arte braccati,
ci fa eco in un rintocco l’Agonia immota.
* Luca Salvatore, Fumisteria Ermeneutica, Edizioni Joker, Novi Ligure (Al) 2006, p. 24, p. 36, e p. 43. Luca Salvatore (Potenza, 1978) studia discipline filosofiche.
La ’’fumisteria ermeneutica’’ di Luca Salvatore
Il neo-poèta Luca Salvatore si consegna al pubblico con la plaquette ‘’Fumisteria ermeneutica’’ che, già nel titolo, indica una linea di percorso tanto sul piano tematico, quanto linguistico. Intanto l’allusione ad una sorta di gusto di giocare con le parole, le immagini, i sentimenti, e in qualche modo di sbalordire, nel rimando a situazioni di tipo moralistico-satirico, non viene tradita anzi, fin dai primi versi, si coglie bene nella tensione, che viene mantenuta pressocché costante e intatta, così come permane il bisogno, da parte del lettore, di ricorrere alla interpretazione non semplice, talvolta addirittura complicata da un generale clima di ermetismo che domina e rende ambigua la comunicazione. Dunque si tratta di poèsia di non facile o immediato approccio nel suo ricorso ad un linguaggio assai articolato, nella robustezza della costruzione che cede poco all’orecchio e al compiacimento, nel suo innervarsi intorno ad un narrato ben costruito e talora dissolutore o tendente alla dissoluzione e allo scompaginamento dell’orizzonte di attesa. Poèsia fortemente pensata e da pensare e dunque da leggere e da rileggere con sempre la sensazione di non cogliere in toto la molteplicità delle inferenze suggerite ed alluse, di afferrare momenti con alto valore connotativi con il rischio di vederli sfuggire per ricostringersi a nuovi abbozzi di percorsi destinati, a loro volta, al franamento consapevole dell’insieme e alla frammentazione comprensiva. E torna ancora il miracolo della poèsia nel suo saper essere diversa da situazone a situazione e da momento a momento con la straordinaria modalità della personalizzazione e della originalità. L’autore fugge dalla consuetudine e dalla scontatezza, dall’usualità quotidiana, ed è sempre vigile ponendosi in chiave contrastiva o in opposizione e rifuggendo da ogni tentativo di insabbiamento, di irreggimentazione e di ‘’impaludamento contemporaneo’’ come annota, in prefazione, Cesare Oddera. Ne consegue che forma, stile linguistico, modulo espressivo, finiscono per formare una sorta di unicum con le indicazioni tematico-contenutistiche; non ci sono concessioni facili né tentativi di edulcorazioni, pure sempre possibili, ma dichiarazioni forti consegnate spesso alla durezza della lingua:
‘’Sono il penultimo di na razza umiliata, baldracca dedita allo smercio, alla lotta impari, allo scherno’’
E non inganni la scelta dell’autore di collocarsi al penultimo posto e non alla scontata ultima posizione (dopo l’ultimo può anche accadere che si ricomincia daccapo), né suoni come una possibilità, sia pure molto vaga o una speranza ( meglio penultimo che ultimo) che non sembra profilarsi nemmeno all’orizzonte lontano a meno che non la si voglia ritrovare nel ‘’trionfio dell’ opera postuma’’ o nei ‘’contraltari’’ o ancora ‘’nello splendore incomparabile dei morti’’. E così dalla collocazione emarginata, stabilita, acclarata, al Pierrot più in generale al pagliaccio, il passaggio non solo è breve ma inevitabile quasi nel rimando indiretto, ma non meno efficace, del saltimbanco palazzeschiano. Allo stesso modo il passaggio dall’’’Acqua sporca’’ all’’’Acqua santa’’ diviene quasi del tutto naturale così come appare ovvio che Pierrot possa sbronzarsi al bancone e infischiarsene, almeno sul piano della pura apparenza o della finzione o dell’’’ermeneutica’’ e della ‘’Fumisteria’’. E così il mondo poetico diventa pullulante di rimandi, appoggiati lievemente ad altri richiami, di leggerezze gravi, di figure lungo una linea di demarcazione che può essere superata solo a certe condizioni. E ci sono stamberghe e boudoir, boia mentitori del niente, corsari e predoni, relitti, lestofanti, riottosi e ancora Pierrots-paria. E tutti costoro, manco a dirlo, sono amici del poèta nella dichiarazione aperta dell’appartenenza con il senso ogoglioso della stessa in una condizione che, a tratti, si carica di sordidezza e di canagliume. E tuttavia tale situazione non impedisce, per qualche fugace momento, che affiori, sia pure nella forma interogativo-dubitativsa, troncata dal successivo diniego, una qualche vaghezza di speranza-illusione, magari in parte inconsapevole:
‘’Se credo all’amore? Spiacente quello è ancora proibito’’
Lo stesso può cogliersi in altre situazioni di tipo ottativo:
‘’Luna compari ed esca pure l’Amore, certo saprà liberarmi, o ridurmi in catene’’
Non è un caso che se il richiamo alla morte è pressante, non manca qualche spunto alla vita e che se la notte ritorna sovente, talora compare la luna e, se intorno ci sono sonagli d’impiccato, bari, sgualdrine e tanto ancora, il poèta è autorizzato a violare tutto. Forse è ancora troppo piccolo lo spiraglio che consente alla luce di baluginare ed è ancora tale da non addolcire la condizione pessimistica che domina, accentuata anche dagli esergo con la loro portata carica di voluta ambiguità e di indicazioni sinistre nella sinteticità espressive e della orientalizzazione del verso, pur con qualche eccezione e con orecchiamenti alla rima. Ma il cammino poetico di Luca salvatore è appena all’inizio e dunque molta è la strada da compiere ed altre prove lo attendono e siamo certi di rileggerlo e di ritrovare, nell’identico carico di tensione emotiva, qualche asperità ammorbidita sulla linea di aperture minime sempre nel gioco abile di incastro della parola.
Mario Santoro
Nota sugli strati e sugli intenti.
Non esiste alcun manuale di istruzioni per la crezione poetica. Cosa ci si può aspettare dalla poesia se non una riscrittura per quanto possibile realistica che giunga alla surrealtà della visione, al realismo degli eccessi? La questione aperta è se si possa andare a fondo e assolvere a questo compito. Si potrebbe ragionare per « sottrazione » e a stento sugli strati e sugli intenti. La Poesia è la sola tregua al supplizio dell’Essere e del Tempo, è presenza e compresenza della morte e del nulla. Il solo tempo realmente possibile è quello della scrittura mentre si sta facendo, il tempo sufficiente a rendere la beffa. È la ribalta dei possibili, è mancanza di senso a cui attingere, il nuovo venuto fuori a gomitate. È il balenare di un nuovo inizio a cui soccombere, un ritorno al tempo in cui le parole erano libere dalle prese inconfutabili dei reconditi, da seggi ed onori. Il Poeta, fatto della stessa sostanza di cui si nutre il Niente, è cercatore e « ladro » di ciò che è morto, di aspetti mostruosi, delle vere memorie d’oltretomba, senza la presunzione e certezza dell’approdo. La poesia è solo transito e vertigine, dove spezzoni di fatti fin troppo evidenti, allegorie, ambigue forme vaganti senza ruolo e regia, allusioni stravolte in rime appena accennate, vanno a fondo per giungere oltre il concreto all’indicibile e all’ineffabile. Da questa costrizione a recitare piú parti in una ingannando, da questo ossessivo ragionare « attorno a» e insufficienza del Vero emergono corpi senz’organi e una sete implacabile, una malinconia ‘’cifrata’’, come Benn ebbe a dire, che trova l’estro di sorridere, emerge una moralità messa alle strette e incurante di tutto che vive solo per i principi della forma e dell’espressione. Di verso in verso, di frammento in frammento, di conclusione in conclusione, il poeta appare teso alla conquista della perdita definitiva della parola, del verbo conclusivo che includa e presupponga un’intera esistenza, un intero discorso. Luca Salvatore.