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Eu-ropa, Eu-ropa...

L’idea di Europa, in gioco a Beirut ma anche a Lampedusa! Una nota di Ida Dominijanni

mercoledì 30 agosto 2006 di Federico La Sala
[...] Non solo a Beirut ma anche a Lampedusa è in gioco l’idea di Europa. Non solo nel «peace making» in medioriente ma anche nell’accoglienza dell’altro sul continente si misura la civiltà europea. Non solo sulle navi dei «nostri soldati» ma anche sulle carrette del mare si riformula l’immaginario europeo: non diversamente da come sulla navi dei nostri emigranti, nelle traversate transatlantiche d’inizio secolo, si riformulò l’immaginario dell’America [...]
RIPENSARE L’ EUROPA!!! CHE COSA (...)

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> L’idea di Europa, in gioco a Beirut ma anche a Lampedusa! Una nota di Ida Dominijanni

giovedì 31 agosto 2006

L’America cambia idea di Siegmund Ginzberg *

Fin imbarazzante. Era da molto tempo, forse dai tempi di Cavour e di Garibaldi, che la politica estera dell’Italia non veniva elogiata coi toni usati l’altro giorno dal New York Times. «Kofi Annan ha ringraziato l’Italia. Ma lo ha fatto anche George W. Bush...», è il modo in cui esordisce l’articolo. Ed è già presentata come una notizia clamorosa, perché non succedeva da anni, al punto da suonare ormai come una contraddizione in termini. Altra novità che fa scalpore: «Usa e Israele sostengono entrambi la missione in Libano...», che pure era stata sollecitata dal Libano e non ha un veto nemmeno da parte di Hezbollah.

E cosa ancora più stupefacente, ringraziano malgrado (o proprio perché) è stata proposta dal governo italiano in termini duramente, apertamente critici della politica sinora seguita da Stati Uniti e Israele nella regione, come via d’uscita alternativa. L’articolo ricorda il precedente di un altro capo di governo italiano, Berlusconi, che invece aveva detto: «Sto dalla parte dell’America, prima ancora di sapere da che parte stia», e non era riuscito ad ingraziarsi nemmeno l’America, figurarsi chiunque altro. Mentre «Prodi e il suo governo sembrano avere una certa libertà di prendere le distanze da Washington... senza pagare un prezzo all’amministrazione Bush». Altra ragione di meraviglia: che tutto questo non venga fatto, come ci si era abituati, per acquistare benemerenze a destra o a sinistra, per calcoli elettorali, o per grandeur di parrocchia, ma nel quadro di una precisa scelta politica di più ampio respiro: sì certo, perché non si può più solo stare a guardare quel che succede in Medio Oriente, ma anche per «riportare l’Italia nel campo dell’Europa», di un’Europa che non si limiti più a dire sì o no, o ni agli Usa in modo sparpagliato, ma sappia esprimere di concerto una propria iniziativa politica autonoma, su cui poi lavorare «mano nella mano» anche con l’America e gli altri. «Non penso che qualunque paese europeo da solo possa avere un ruolo mondiale, perciò voglio creare una sorta di co-azione europea», il modo in cui gliel’ha messa Prodi.

Quanto tempo è che l’Italia e o suoi governanti non venivano presi così sul serio? Mussolini, che pure era un genio dell’autopromozione propagandistica, si giocava i giornalisti stranieri da mago, era oggetto anche di lazzi e derisione. Cavour e Garibaldi venivano presi sul serio, ma con riserve. Sfogliando L’Italia giudicata di Ernesto Ragionieri, accanto a entusiastici giudizi americani, ho trovato anche un osservatore liberal britannico che mette i suoi lettori in guardia sul fatto che «Cavour si burlava della verità e Garibaldi della legge. Una notevole dose di duplicità di comportamento e di spirito d’avventura, come per gli antichi filibustieri, furono gli strumenti principali grazie ai quali gli italiani raggiunsero le loro mete oneste e legittime». Più tardi avrebbero parlato con simili riserve e arrier-pensèes di altri premier e ministri degli esteri italiani, specie quelli colpevoli di aver preso iniziative politiche, come Craxi o Andreotti.

Perché invece in questo momento Prodi e D’Alema sembrano godere di migliore stampa? E, soprattutto, come mai una posizione che in altri momenti avrebbe arruffato le penne oltre Atlantico, evocato spettri di multilateralismo antiamericano, invise velleità di fare da contrappeso alle potenza Usa, sembra passarla così liscia? Grazie solo al fatto che, dopo l’esperienza con Berlusconi quasi chiunque verrebbe preso più sul serio. D’Alema ha una risposta elegante: «Per essere onesti, Berlusconi era in una situazione diversa, con un’Europa più divisa e un’America unilaterale. Noi viviamo una fase diversa, e in questo siamo fortunati, perché oggi l’unilateralismo è chiaramente in crisi, è finito».

Una possibile spiegazione è che ci prendono sul serio anche perché le circostanze si sono evolute in modo tale che non gli è più possibile prendere sul serio le certezze con cui si erano in questi anni buttati. Le cose non sono andate nel modo in cui la Casa bianca pensava quando hanno deciso di fare la guerra in Iraq, non sono andate nel modo in cui Olmert pemsava quando ha ordinato di intervenire in Libano per estirpare Hezbollah, non nel modo in cui Nasrallah pensava potessero andare quando hanno provocato a freddo la guerra col rapimento dei soldati israeliani. Si comincia a sudare freddo all’idea che possano andare a finire male con l’Iran, come non è finita per nulla con la Corea del nord, che a differenza di Saddam l’atomica ce l’ha davvero.

C’è chi nota che è il tempo delle autocritiche. Bush lo scorso aprile aveva già ammesso «errori» nella guerra in Iraq, la settimana scorsa ha dovuto ammettere che sta «stressando» i nervi degli americani. Olmert, pur esorcizzando una «autoflagellazione collettiva», ha dovuto ordinare una commissione d’inchiesta. Il portavoce di Hamas a Gaza, Ghazi Hamad, ha ammesso pubblicamente che «Gaza soffre sotto il giogo dell’anarchia e delle spade dei briganti (e chiaramente non si riferisce all’arcinemico israeliano, ma a briganti di casa sua)», la lamentato: «siamo stati tutti attaccati dal batterio della stupidità... abbiamo perso il senso di orientamento». Persino il capo di Hezbollah, Nasrallah, ha fatto quella che è suonata come un’autocritica, forse si è accorto di non esserne uscito poi così vincente come proclamano gli striscioni dei suoi miliziani. Che qualcuno gli proponga una via d’uscita diversa può fare comodo anche a loro. Quando D’Alema dice che Hamas e Hezbollah non sono Al Qaeda, che ci sarebbe tutto da guadagnare ad aiutarne la metamorfosi in organizzazioni politiche, che una politica diversa in Medio Oriente potrebbe ottenere quel che non hanno ottenuto le politiche dure, oggi in Libano, domani a Gaza, forse dopodomani con l’Iran, dice qualcosa che vorrebbero poter dire, e ancora non possono, anche i leader a Gerusalemme e a Washington. Forse è questa la «fortuna» sua, nostra, di tutti. Speriamo duri.

* www.unita.it, Pubblicato il: 31.08.06 Modificato il: 31.08.06 alle ore 10.51


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