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Al di là dell’ordine simbolico di "mammasantissima" ...

FORUM DELLE DONNE, a Palermo (Mondello), DAL 2 ALL’ 8 SETTEMBRE. Il programma

domenica 3 settembre 2006 di Federico La Sala
[...] Le donne mettono al mondo e curano quei corpi che la globalizzazione destina ogni giorno di più ad un mondo senza pianeta, ad un domani senza futuro.
La contraddizione di genere, che informa le relazioni tra uomini e donne, offre chiavi d’interpretazione fondamentali per capire i problemi della contemporaneità. Il conflitto di genere, se attivato consapevolmente e responsabilmente, modifica alla radice il modo di pensare e agire il cambiamento.
Pensiamo che la politica ne abbia un (...)

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lunedì 4 settembre 2006

Il Forum donne Prc dedica la Scuola di politica a “Laicità e spazio della polis” Il nesso tra patriarcato e sacro va spezzato. La laicità è donna

di Imma Barbarossa (Liberazione, 03.09.2006)

Può sembrare una civetteria la scelta, quest’anno, da parte del Forum delle donne, di tenere il campeggio della scuola di politica a Palermo (dal 2 all’8 settembre) sulla laicità. Può sembrare una forma intellettualistica e persino snobistica di mettersi “a lato” della “grande politica”, ai margini del “cuore della politica”, occupato dalle grandi questioni delle missioni italiane all’estero, della finanziaria, del lavoro, dell’immigrazione. Ma qualora sembrasse così, davvero saremmo lontanissimi proprio dal cuore della politica. In realtà il tema della laicità entra direttamente nello spazio della politica, anzi direi nel vuoto della politica, si spinge a declinare in forme inedite non già (o non solo) l’indipendenza dello Stato dalle Chiese, ma l’intreccio tra politica ed etica, tra politica e vita, tra politica e libertà. » entrata in crisi la politica concepita come funzione del potere; chi non se ne accorge continua a celebrare stanchi rituali avvolti dall’incenso di un’autosufficienza rinsecchita e sorda a quella progettualità di trasformazione che solo sulle soggettività può trovare il suo ancoraggio. Una politica senza etica ci tocca di vivere e quando è così, è la religione (o le religioni) che si fa etica sì che l’etica sacralizzata dalla religione si propone come agenzia morale e comincia a parlare in nome di Dio a tutti e a tutte (Galimberti).

A parlare delle donne e degli uomini, a nome delle donne e degli uomini, a dettare norme di convivenza privata e pubblica, a suggerire modalità di costruzione di leggi e forme statuali. Ma soprattutto ad invadere la libertà sessuata delle donne, a considerare le donne funzionali, complementari, curatrici “naturali” e forzate dispensatrici di benessere. La vicenda del referendum sulla legge 40 da questo punto di vista è esemplare. Enzo Mazzi in un articolo sul “Manifesto” del 3 luglio 2005 notava come, al di là della santificazione degli embrioni, ci stava davanti il rapporto tra etica e potere, tra l’affidarsi al potere del sacro legalizzato dallo Stato o invece alla responsabilità umana (e femminile). Gli elettori e le elettrici si gettarono nelle “braccia paterne” e rassicuranti di chi, come la Chiesa cattolica, si mostrò capace di coniugare etica e potere, nel vuoto della politica laica.

Molti editorialisti considerano positiva la formazione agostiniana (non tomistica) di papa Ratzinger, ma sta proprio in questa formazione la subordinazione della città terrena alla città celeste, una città terrena in cui tutti/e saremmo funzionali a una salvezza ultraterrena; in particolare alle donne toccherebbe il compito gratificante di facilitare la salvezza degli uomini. Il sacro si espande sulle donne, le avvolge, le cattura, le mette in soggezione; e questo sacro viene officiato da ministri di culto e - per loro conto - dagli “uomini colti” (V. Woolf), a cui le donne vengono affidate in una forma di perenne tutela.

» il patriarcato in tutte le sue forme, occidentale, capitalistica, liberista, islamista, proletaria, sottoproletaria. Le donne sono quote nei governi, nei parlamenti, nelle assunzioni, negli eserciti, tutt’al più vittime degli islamici. La polemica di questi giorni agostani sulla vicenda della ragazza pachistana (articolo di Merlo e dintorni) la dice lunga: i maschi occidentali e “democratici” respingono l’oppressione feroce delle donne verso l’altra parte del mondo, verso quegli islamici invasori (Merlo arriva persino a scrivere le «nostre donne», nostre di chi?). A Merlo è stato risposto quasi sempre in maniera politically correct che i reati sono individuali e che i “nostri uomini” uccidono e stuprano un giorno sì e uno no, in casa e per strada, da singoli o in branchi (efficace l’elencazione di Emanuela Moroli su questo giornale). Ma non basta. » vero, tuttavia, che il possesso del corpo delle donne in Occidente (per semplificare) non è istituzionalizzato in codici e leggi: la forza dei movimenti delle donne ha spazzato via dai codici delitti d’onore e forme legalizzate di possesso e dominio maschile sulle donne. Almeno formalmente, ma le forme sono importanti, sulle forme possono poggiare nuovi diritti e diritti sessuati.

Ma che ha a che fare con tutto questo la laicità? Ha a che fare, nelle forme in cui il pensiero e la pratica politica delle donne hanno decostruito il nesso tra genere maschile e potere, tra genere maschile e costruzione/occupazione dello spazio pubblico della polis. Stiamo zitte - secondo certe accuse - davanti agli stupri “stranieri”? Ma quando mai! Fu la terza sezione della Corte di Cassazione a scovare attenuanti per stupratori che vivevano in una situazione di degrado! Per quanto ci riguarda, in primo luogo rifuggiamo dall’estendere alle comunità straniere il reato dei singoli, in secondo luogo non abbiamo mai smesso di costruire relazioni con donne che criticano i codici patriarcali delle loro comunità, ma in terzo luogo vorremmo invitare i “nostri” maschi occidentali a mettere in discussione i loro codici culturali espliciti o impliciti.

Già, il femminismo ha rappresentato una rottura teorica fondamentale, ha insegnato alle donne a “sputare su Hegel”, ossia a demistificare l’assoluto maschile, il maschile che si astrae e si assolutizza come genere umano. La laicità nelle mani delle donne è/può essere un formidabile strumento di riapropriazione di sé, del proprio corpo, delle proprie scelte, di essere o non essere madri, di amare uomini o donne, di decidere di partorire con l’aiuto della scienza. E soprattutto la laicità nelle mani delle donne diventa un potente strumento critico nei confronti di quella icona in cui le donne sono state collocate come madri, figlie e spose, custodi dell’unità familiare, contenitori del seme maschile e dei valori tradizionali, nastri di trasmissione di un patriarcato che tende a considerarle “altro” rispetto all’“uno”. La famiglia dunque, anche nella prudente e democratica presentazione della Ministra Bindi, sotto gli aspetti sociali e di tutela dei deboli, è riconosciuta di fatto come il luogo - forse l’unico - della pratica sociale e personale delle donne. Bambini e anziani (rigorosamente de-sessuati) popolano una famiglia che, per essere perfetta e funzionale a una società buona, ha bisogno di far leva su donne responsabili e servizievoli. Lo stereotipo da famiglia del Mulino bianco resiste, magari con un po’ di bambini di colore perfettamente inseriti e con anziani che si rendono utili. I Pacs? Perché no, purché siano unioni legate da vincoli di solidarietà: come se le unioni benedette dalla Chiesa e (per concessione) dal sindaco debbano essere unioni litigiose. Ebbene dall’interno del centrosinistra c’è chi dice “i Pacs mai”. Ci chiediamo perché? Perché tutto ruota intorno alla famiglia come modello di normalizzazione e di regolamentazione di comportamenti e convivenze, e perché della famiglia le donne sono una funzione, a cui viene affidato quasi naturaliter il compito di fare da ammortizzatrici della crisi dei valori, degli impoverimenti, della precarietà di lavoro e di vita dei/delle giovani, della inquietudine degli/delle infanti. Su questo hanno scritto molto bene recentemente Lea Melandri e Bianca Pomeranzi. Come pure le analisi e le preoccupazioni che circolano in varie forme nel composito e importante movimento “Usciamo dal silenzio” ci aiutano e ci orientano. Qui credo sia fondamentale che le varie articolazioni del movimento (“storiche”, giovani, giovanissime, sindacaliste, donne di associazioni, politiche) continuino a vedersi e a confrontarsi non per tentare unificazioni fuori tempo, ma per ri/conoscersi valore e reciprocità.

E la sinistra? Le sinistre? Gli uomini di sinistra? Le donne politiche dei partiti? Ahi, ahi! C’è sicuramente una sorta di consapevolezza che “organizzazioni” senza la presenza delle donne sono monche, a tratti c’è una sorta di sospirosa quanto però rassegnata vergogna per l’assenza delle donne, persino una civetteria nella citazione del femminismo, che diventa cifra culturale e persino letteraria, così come per laicità s’intende complesso di valori e non invece ricerca di un’etica pubblica.

Nelle ultime elezioni politiche il Prc ha dato prova di “apertura” soprattutto per il lavoro incessante e le relazioni di alcune compagne con esponenti del femminismo e del movimento delle donne. Ma basta? I dirigenti regionali spesso hanno subìto le candidature di donne da parte della Direzione nazionale, prova ne sia che nelle successive elezioni amministrative la lotta furiosa per le preferenze ha coronato il successo di candidati uomini che sono più bravi a farsi avanti. In genere si riconosce il femminismo come una cultura critica indispensabile alla sinistra, ma quasi come un capitoletto a parte. E poi? Capigruppo parlamentari, presidenti e vicepresidenti non sono forse uomini? E le decisioni non si prendono fra uomini, dove ci si capisce meglio, più velocemente e gli accordi sono più lineari, più facilmente iscrivibili in codici già dati?

Ecco, questo è il nocciolo del problema, qui sta la capacità di un’innovazione vera, qui anche la possibilità che, ad esempio, la Sinistra Europea non sia un’aggregazione già data. Si dice da parte di qualcuno (Smeriglio tra gli altri): «non deve essere un’operazione da ceto politico». Giustissimo. Ma perché non lo sia, il rimescolamento delle soggettività deve cominciare attraverso la sessuazione dei soggetti e della politica. D’altronde, non possiamo (non dobbiamo) formare coordinamenti o esecutivi basati sul sex balance, importante ma sufficiente e tutto racchiuso nell’ottica del politically correct e delle pari opportunità. Ne è un esempio il Partito della Sinistra Europea, politically correct, ma dove le proposte della rete femminista incontrano spesso perplessità e/o indifferenza non solo tra gli uomini. Occorre davvero che tutti insieme voltiamo pagina: come agli uomini si chiedono competenze e relazioni con i movimenti o con pezzi dei movimenti, così per le donne non si dica «mettiamo qui una donna»(o, peggio, «purtroppo non abbiamo potuto mettere una donna»), ancora di più, se si crede che davvero la rottura teorica del femminismo abbia attraversato criticamente (e positivamente) la tradizione della sinistra e del movimento operaio, a maggior ragione se si vuole segnare in modo sessuato la pratica politica della sinistra, occorre che le donne e le femministe possano sentire la casa della sinistra come un luogo di agio, uno spazio di vita.

Non cooptate né ospiti.

Ancora una volta, che c’entra la laicità? C’entra, c’entra. Come strumento eversore in mano alle donne, essa ci domanda rigore e impegno, ci ricorda che spezzare il patriarcato e il nesso tra patriarcato e sacro è il compito primario di questo XXI secolo. La crisi della politica va affrontata con un’altra politica, quella dei soggetti sessuati e del loro libero dispiegarsi. Uguaglianza e differenza, uguaglianza e libertà non sono astrazioni, ma possono vivere nella relazione politica sessuata.

Lea Melandri si chiedeva tempo fa come fosse possibile che chi si batte per la giustizia sociale e l’umanizzazione del rapporto tra diversi possa immaginare un altro mondo possibile se non si sottraggono all’insignificanza storica le pulsioni e le componenti più elementari della vita psichica. Ed Enzo Mazzi si chiedeva quasi incredulo perché il grande movimento contro la globalizzazione non sia mai intervenuto nella questione del referendum sulla legge 40, e concludeva: «Il dominio patriarcale cova nel profondo di tutti noi e continua a generare mostri». Soprattutto ad apparire come l’ordine naturale del mondo. Continuo a chiedermelo anch’io, ma non si tratta di una rivendicazione. La mia domanda è: nell’agenda della sinistra, nella nostra agenda, possiamo permetterci di accantonare il cuore della politica? Possiamo permetterci di aggirare le questioni della libertà e laicità - intese come ho cercato di dire - come questioni parziali? Non ci rendiamo conto che senza il nesso tra vita e politica la politica diventa funzionale ad un potere sempre più “autonomo” e sacralizzato, vero e proprio concentrato delle “eterne” aspirazioni e autoposizioni maschili?


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