QUEL 3 SETTEMBRE IN VIA CARINI A PALERMO
di Lara Sirignano*
Fecero a gara a chi sparava più colpi. "Me li avete fatti trovare morti", disse ai complici Pino Greco Scarpa, killer del gruppo di fuoco di Cosa nostra, rammaricato di essere arrivato quando il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, prefetto di Palermo per 100 giorni, e la moglie, Emanuela Setti Carraro, erano già morti. Respirava ancora, agonizzante, l’autista, Domenico Russo. Lo finì Pino Greco. Il 3 settembre del 1982 la guerra che la mafia aveva dichiarato allo Stato segnò uno dei momenti più tragici. Sotto una pioggia di piombo cadde un simbolo delle istituzioni, costretto, negli ultimi giorni della sua vita, ad affidare al giornalista Giorgio Bocca l’amaro sfogo di chi ha capito di essere solo.
"Un uomo viene colpito quando viene lasciato solo", disse. Parole che descrivevano le condizioni difficili in cui il generale svolgeva il compito di superprefetto contro la mafia. Nell’ uccisione di Dalla Chiesa, massacrato a colpi di kalashnikov in via Isidoro Carini, mentre era in auto con la moglie, seguito dall’alfetta di scorta dell’autista, il ruolo esecutivo della mafia è ormai accertato. A distanza di 25 anni dall’eccidio, però, restano intatte le zone d’ombra di cui parlano gli stessi giudici di Palermo che hanno condannato i killer. Le sentenze sottolineano l’ "coesistenza di specifici interessi - anche all’ interno delle istituzioni - all’ eliminazione del pericolo costituito dalla determinazione e dalla capacità del generale".
La giustizia si è fermata ai mandanti mafiosi, dunque, e agli esecutori materiali. All’ergastolo sono stati condannati i killer Raffaele Ganci, Giuseppe Lucchese, Vincenzo Galatolo, Nino Madonia e a 14 anni i collaboratori di giustizia Francesco Paolo Anzelmo e Calogero Ganci.
Gli uomini della "cupola", Totò Riina, Bernardo Provenzano e Michele Greco, erano già stati condannati al maxiprocesso, nato proprio da un rapporto di Dalla Chiesa contro 162 esponenti di Cosa nostra. Quello che accadde la sera del 3 settembre in via Carini ha provato a descriverlo la Procura, attraverso una simulazione dell’eccidio realizzata dagli esperti della scientifica.
L’ A112, su cui si trovavano il prefetto e la moglie, venne affiancata e superata da una Bmw 518. A bordo c’erano Antonino Madonia e Calogero Ganci. A fare fuoco con un kalashnikov fu Madonia che sparò dando le spalle al parabrezza. Una seconda vettura, guidata da Anzelmo, seguiva il prefetto, pronta ad intervenire per bloccare l’ eventuale reazione dell’ agente di scorta. La A112, dopo essere stata investita dal fuoco del kalashnikov, sbandò, costringendo l’ auto dei killer a sterzare bruscamente a destra.
Dal giorno del suo insediamento erano passati poco più di 3 mesi, 100 giorni. Il 30 aprile 1982 Dalla Chiesa era giunto in Prefettura a bordo di un anonimo taxi. Durante i giorni che precedettero la strage di via Carini cercò di rispondere allo strapotere delle cosche e di spezzare il legame tra mafia e politica. Le iniziative di Dalla Chiesa furono frenate da ostilità politiche ambientali e da una ridotta capacità di intervento. Il prefetto reclamò continuamente la concessione di poteri di coordinamento che solo dopo la sua morte, però, vennero formalizzati
Per approfondimenti, si cf.: