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Nell’ anniversario dell’assassinio del generale Dalla Chiesa...

CHIESA, POLITICA, E ... "MAMMASANTISSIMA". INTERVISTA AL CARDINALE PAPPALARDO di Ariel Levi di Gualdo

domenica 3 settembre 2006 di Federico La Sala
[...] «Non basta osservare la legalità, se il
senso del dovere morale e della giustizia
non forma prima le coscienze.
Tutto passa per la rottura d’equilibri
di collusione tra politica e Cosa Nostra,
ma purtroppo è sempre diffusa
un’ idea letale: "Se le cose non possono
esser cambiate vanno lasciate
come sono". Così si accetta che la
politica sia stata scissa dall’etica, se
non peggio fusa talora al malaffare.
Per i cristiani, la rottura d’equilibri
perversi, è in mano all’uomo sin da (...)

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martedì 12 dicembre 2006

IL PROFILO

Già nunzio in Indonesia,ha guidato la Chiesa del capoluogo siciliano dal 1970 al maggio 1996

Voce coraggiosa nell’ora più difficile

Da Palermo Alessandra Turrisi (Avvenire, 12.12.2006)

Siciliano di nascita, il cardinale Salvatore Pappalardo seppe interpretare la voglia di riscatto di una regione che si è trovata a subire per decenni la violenza mafiosa, con decine di vittime eccellenti, fra cui il sacerdote don Giuseppe Puglisi.

Il cardinale Pappalardo nacque a Villafranca Sicula, in provincia di Agrigento, il 23 settembre 1918, figlio di un maresciallo dei carabinieri. Dopo la maturità classica, l’arcivescovo di Catania lo inviò nel Seminario romano maggiore. A Roma seguì i corsi di filosofia e teologia dell’Università Lateranense; qui fu ordinato sacerdote il 12 aprile 1941 da Luigi Traglia e incardinato nella diocesi di Catania. Giovane sacerdote entrò nella Pontificia Accademia ecclesiastica, seguendo contemporaneamente i corsi della facoltà Utriusque iuris della Lateranense, presso la quale si laureò in teologia. Nel 1947 fu chiamato in Segreteria di Stato, dove fu addetto alla sezione degli affari ecclesiastici straordinari, nella quale rimase fino al 1965.

Paolo VI lo nominò pro-nunzio apostolico in Indonesia il 7 dicembre 1965; venne consacrato vescovo il 16 gennaio 1966 dal cardinale Amleto Giovanni Cicognani. A Giacarta, dove rimase per quattro anni, visitò e sostenne l’opera dei missionari operanti nell’arcipelago indonesiano. Al suo rientro a Roma, nel 1969, fu incaricato della direzione della Pontificia accademia ecclesiastica.

Il 17 ottobre 1970 la nomina ad arcivescovo di Palermo, dove entrò solennemente il 6 dicembre successivo. Paolo VI lo creò cardinale il 5 marzo 1973. Da allora a oggi la sua storia è anche quella di Palermo. In questa terra «dedicò speciale attenzione alle innovazioni post conciliari e, particolarmente, al rinnovamento liturgico, alla promozione del laicato, alla pastorale degli emigranti, dando nuovo impulso alle organizzazioni sorte dalla base per il servizio e la pastorale fra gli emarginati» si legge nel rogito che verrà inserito all’interno della sua tomba.

Un’opera pastorale che si è intrecciata costantemente con la condanna della cultura e della violenza mafiose. Il cardinale Pappalardo provava un moto di ribellione quando i cronisti sintetizzavano il suo lungo episcopato solo con i suoi discorsi contro la mafia. Ma ammetteva che nei suoi 26 anni di episcopato alla guida della complessa diocesi di Palermo si trovò ad affrontare la sfida di una società colpita dalla stagione delle stragi.

Faceva molto caldo quel giorno di settembre del 1982, quando il cardinale Salvatore Pappalardo, durante l’ultimo saluto al prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa e alla moglie Emanuela Setti Carraro, appena assassinati da Cosa Nostra, pronunciò l’omelia che divenne celebre: «Mentre a Roma si discute, la città di Sagunto viene espugnata dai nemici». Era una denuncia forte contro l’assenza dello Stato in una Palermo insanguinata. Vennero altre morti: il cardinale Pappalardo fu costretto a seppellire uno dei suoi sacerdoti, don Giuseppe Puglisi, il parroco di Brancaccio ucciso da Cosa Nostra nel settembre del 1993. «Coloro che uccidono i propri fratelli sono cristiani ma traditori, sono cristiani ma disonorati in se stessi. La città di Palermo, la Chiesa di Palermo non si fermeranno, ma dal sangue sparso da altri cittadini e funzionari dello Stato, e ora da questo ministro della Chiesa, sapranno assumere nuova determinazione e nuovo vigore - disse nell’accorata omelia dei funerali -. Non si può combattere e sradicare la mafia se non è il popolo tutto che reagisce alla sua presenza e prepotenza».

Il cardinale Pappalardo non ha mai temuto di farsi voce dello smarrimento e dell’indignazione dei cittadini. In una recente intervista ad InformaCaritas (la rivista della Caritas palermitana), in occasione dei 40 anni di episcopato, chiariva: «Toccò alla Chiesa interpretare il risentimento, la paura, lo sdegno, l’appello ad una maggiore consapevolezza tanto della Chiesa quanto pure della società civile». Cercando, però, anche di non far passare l’equazione Palermo uguale mafia: «In occasione del maxiprocesso ho voluto, ad ogni costo, difendere Palermo dal rischio che venisse processata dinanzi all’opinione pubblica». In quel periodo, però, si prese coscienza che per la Chiesa «le azioni mafiose non sono solo crimini, ma peccati. E che la mafia costituisce un problema per la pastorale, che deve interessarsi della formazione dei fedeli. Bisogna parlarne nel senso che, se la gente capisce appieno il messaggio evangelico, capisce anche che la mafia è antievangelica».

Nell’83 il presidente Sandro Pertini lo nominò Cavaliere di Gran Croce al merito della Repubblica Italiana per l’impegno profuso nell’azione sociale, soprattutto nella sollecitazione delle coscienze contro la criminalità mafiosa. Ricoprì la carica di presidente della Conferenza episcopale siciliana e di vicepresidente della Conferenza episcopale italiana. Fu il padrone di casa del Convegno delle Chiese d’Italia del 1995, che si tenne a Palermo. Pappalardo lasciò la guida della diocesi il 24 maggio 1996, ritirandosi nell’oasi di pace della casa diocesana di Baida.


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