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ITALIA ... E "Forza ITALIA"! Il conflitto del conflitto d’interessi, nella riflessione di Furio COLOMBO

domenica 3 settembre 2006 di Federico La Sala
[...] Domanda: - Che cos’è il conflitto di interessi?
Risposta: - È il sommarsi dell’interesse privato (la mia ricchezza, le mie aziende) con l’interesse pubblico (il potere di governare e dunque di dettare le regole che valgono anche per il mio interesse privato).
D.: - Perché è pericoloso il conflitto di interessi?
R.: - Perché è umano, naturale e probabile che io usi il potere pubblico di cui dispongo come governante per recare benefici al mio interesse privato che durerà ben più a (...)

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domenica 10 giugno 2007

America e Italia

di Furio Colombo *

Quello che sto per scrivere è la registrazione di alcuni fatti avvenuti nelle stesse ore e negli stessi giorni (mercoledì, giovedì, venerdì) a Washington e a Roma.

La conoscenza attenta e accurata di questi due gruppi di fatti dice con chiarezza, anche a coloro che si sono sentiti in dovere di dimostrare contro l’America, che il pericolo che stiamo correndo è qui, è adesso, è in Italia e occorre una certa cecità selettiva per non vedere che un dramma pericoloso si sta svolgendo intorno a noi. Mi riferisco all’estremo rischio per una repubblica democratica: spingere le Forze armate allo scontro con le istituzioni elette, puntare sulla rivolta dei generali, che la stampa berlusconiana, infatti, chiama a raccolta con un linguaggio grave e irresponsabile.

Tutto ciò non ha a che fare con la rigorosa lealtà dei militari italiani che restano fermamente legati al giuramento costituzionale. Ma è la peggior prova che una classe politica (in questo caso tutta l’opposizione inclusi i presunti moderati di Casini) possa dare di sé. Credo di poter riassumere così, per condividere con i lettori il senso di allarme.

* * *

Primo. Per una giornata intera (mercoledì 6 giugno) quasi tutti i senatori italiani che fanno riferimento a Berlusconi (in questo non si nota alcuna differenza importante fra uomini di azienda, affiliati e presunti indipendenti) hanno spiegato a lungo che i politici eletti sono esseri inferiori ai generali e che il vice-ministro Visco è una spregevole creatura indegna anche solo di porsi accanto al generale Speciale, figuriamoci di dare su di lui un giudizio negativo e una decisione di congedo.

A lungo i senatori eletti dell’opposizione si sono impegnati a superarsi l’un l’altro nella denigrazione e nel ridicolo della politica a confronto con l’onore dei generali. «Un generale non può mentire», è stato declamato. E anche: «come può un vice-ministro osare di contrapporsi a un soldato?». Tutto ciò prima che il ministro Padoa-Schioppa, titolare della Economia e a cui risponde il corpo di polizia (tecnicamente non militare) della Guardia di Finanza, prendesse la parola per dare le sue spiegazioni, assumersi la responsabilità della destituzione di un comandante di quel corpo (che non viene dai ranghi di quel corpo e dunque, nel bene o nel male, rappresenta prima di tutto, se stesso e la sua storia) e offrire motivate ragioni.

Vorrei chiarire al lettore. Non sto tentando di discutere o di sostenere quelle ragioni. Non è questo che è avvenuto in Senato, che avrebbe avuto tutto il diritto di rivedere i particolari e le svolte decisionali della vicenda.

No. Quello che è accaduto è stata una pioggia di insulti infamanti lanciati al colmo della voce (alcuni erano afoni, quando è scesa la notte) non da tutti ma purtroppo da moltissimi membri del Senato che (fanno fede i verbali) sono incorsi anche in sgrammaticature tremende pur di superare ad ogni intervento, gli insulti di chi li aveva preceduti.

Secondo. L’intento non era - e tutt’ora non è - in questa importante e delicata vicenda, la discussione parlamentare. L’intento, fin troppo vistosamente proclamato e francamente vergognoso da parte di membri autorevoli di un Parlamento, è di tentare lo scontro, montando la scena macabra dell’offesa alle Forze armate e, dunque, di un presumibile diritto di risposta.

Se mi riferisco alla esperienza giornalistica posso dire che soltanto nel Parlamento di Atene, nel maggio del 1967, mentre ero nella tribuna stampa insieme ad Alberto Ronchey, Bernardo Valli, Luciana Castellina, ho assistito allo stesso spettacolo di denigrazione violenta di un governo e della politica. Ma eravamo a poche ore da un colpo di Stato.

Se mi riferisco a quella incredibile profezia che è stato a volte il cinema italiano, ricorderò la scena finale di «Cadaveri eccellenti», di Francesco Rosi, le urla dei dimostranti, il rombo minaccioso di motori militari.

Spesso la realtà è più squallida del cinema (almeno di quel cinema, che prefigurava tragedie civili con impressionante bellezza). Ma alcune cose, se non da cinema certo da tragico avanspettacolo, erano state previste, come le gigantografie di Visco sventolate in Aula per mostrare alle telecamere il volto ignobile di un pericolo che deve essere eliminato. Come l’idea non riuscita (c’è stata anche una protesta formale per gli intoppi burocratici che casualmente l’hanno impedita) di riempire di militari della Guardia di Finanza le gallerie del Senato, e di organizzare di fronte al Senato una manifestazione di giovani con striscioni inneggianti al generale, giovani che (avrebbero voluto farci credere) erano militari in abiti civili “decisi a difendere il loro onore”.

Terzo. La giornata del dibattito, che sarebbe stata comunque tesa e difficile anche fra parlamentari disposti, e anzi decisi, a discutere una situazione comunque complessa, comunque bisognosa di chiarimenti, è stata preceduta da una opportuna serata della Tv di Stato, nel talk show «Porta a porta». In esso il conduttore, in preda a particolare concitazione, si è assunto il compito di accusatore dei due parlamentari dell’Unione, Violante e Russo Spena presenti in studio, sopravanzando spesso in precisazioni ostili, difese dei generali e confutazioni delle affermazioni di Violante e Russo Spena, i pur abili e implacabili senatori Schifani e Castelli, portando così a tre, nel programma, il numero di militanti fermamente schierati nella stessa parte politica.

Esagero? La Rai può fugare ogni dubbio in proposito facendo pervenire (anche a spese del ricevente) un Dvd di «Porta a porta» di martedì 5 giugno. Nessuno dirà una parola perché la rappresaglia, come è noto, è non essere più invitati nel prestigioso talk show. Ma almeno potremo mettere quel Dvd nell’archivio del Senato per sapere con quale cura, la sera di martedì 5 giugno, è stata preparata la tensione che si sarebbe dovuta scatenare il giorno dopo, mercoledì 6 giugno, nell’Aula del Senato in luogo della normale discussione parlamentare.

* * *

Ma adesso vediamo il confronto con corrispondenti eventi della vita politica americana. Se i giornali e le Tv italiane ne parlassero in luogo delle avventure carcerarie di Paris Hilton, alcune marce contro l’imperialismo Usa, munite anche di autorevoli presenze politiche, diventerebbero eventi in difesa della democrazia e delle istituzioni adesso, qui, in Italia.

Ecco, siamo nel Senato degli Stati Uniti. Parla il senatore Carl Levin: «Generale, ma le sembra possibile che proprio lei riuscirà a portare un minimo di coerenza a una politica militare del tutto incoerente, una politica incerta e vacillante dopo quattro anni di morti e di guerra?».

Senatore Jack Reed: «Generale, se lei va avanti ha un compito impossibile. Se lei fa un passo indietro dimostrerà in modo devastante che l’apparato politico e di sicurezza nazionale della Casa Bianca non esiste».

Senatore Carl Levin: «Ma generale, non si è accorto che Baghdad brucia? Non vede che la stanno mettendo in una situazione impossibile, di inevitabile fallimento?».

Racconta il «New York Times» (8 giugno): «Il generale Lute (definito “zar della guerra” per i compiti di completa revisione della strategia americana che gli sono stati affidati) ha risposto con candore: «Siamo in un vero rischio. Non sono certo contento di come vanno le cose. Temo anch’io che il governo iracheno non sia in grado di rispondere. Le soluzioni di rigido antiterrorismo in Afghanistan non sono la risposta giusta. Dobbiamo tentare altre strade».

* * *

Ho citato una buona pagina di civiltà democratica. Prima di assumere un incarico cruciale in due guerre in atto, il generale Lute, che ha fama di intellettuale perché, oltre a West Point, ha anche una laurea ad Harvard, si presenta ai senatori, che sono il potere politico eletto del suo Paese, per essere interrogato, valutato discusso, invitato a rispondere a domande imbarazzanti, richiesto di esporre piani e idee, di confrontarsi con il netto e diverso parere di alcuni senatori, per ore, per giorni, fino a quando la commissione Difesa del Senato non si sarà persuasa che il Presidente ha scelto l’uomo giusto per “il compito impossibile” di cui parla il senatore Levin, uno dei legislatori più risolutamente contrari alla guerra. S’intende che i senatori sanno in ogni momento di essere anch’essi sotto esame sia perché i giornali danno di queste audizioni resoconti precisi, non folkloristici, non piegati a tifoserie occasionali. Sia perché - attraverso la buona informazione che in modo assoluto evita il filtraggio di “talk show” di partito - l’opinione pubblica, in caso di errore, non fa sconti né ai senatori né ai generali. Non tollera ombre e pretende il meglio da entrambe le parti. Ma sa che tocca ai politici eletti dire l’ultima parola per poi risponderne col voto. È la condizione assoluta, ma anche la definizione, della democrazia.

È esattamente ciò che le scomposte urla in Senato, il lancio di manifesti e gigantografie insultanti, il progetto di riempire di militari - che per fortuna non sono venuti - le gallerie del Senato, hanno tentato in tutti i modi di danneggiare. È un peccato che - fra coloro che volevano dimostrare contro il “pericolo americano” - nessuno, neppure parlamentari che ormai vivono questa esperienza ogni giorno, abbia visto in tempo che il pericolo è italiano, è qui, è adesso. E non sappiamo neppure se è un pericolo scampato.

furiocolombo@unita.it

* l’Unità, Pubblicato il: 10.06.07, Modificato il: 10.06.07 alle ore 14.14


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