Berlusconi e i quattro conflitti di interessi di Francesco Pardi*
Ha ragione Furio Colombo a ricordare nel suo editoriale di ieri sul conflitto d’interessi l’importanza del Palavobis e di Piazza San Giovanni. Infatti già in quelle grandi discussioni popolari del 2002 era perfettamente individuata la natura della questione. È vero: il problema del conflitto d’interessi esiste anche senza Berlusconi. Ma Berlusconi gli ha dato proporzioni gigantesche. Dovremmo poter discutere del conflitto d’interessi indipendentemente dal suo, ma non possiamo proporre soluzioni valide per tutti se non si affronta anche quello. Berlusconi è titolare di quattro diverse anomalie che è utile tenere distinte. La prima riguarda l’imprenditore divenuto capo del governo: come evitare che egli usi il suo ruolo per favorire le proprie imprese? E che le sue imprese gli diano un vantaggio nell’attività politica? L’interrogativo, in questa forma, è ora superato ma in mancanza di una legge seria potrebbe riproporsi. E ha comunque un carattere generale: riguarda qualsiasi soggetto che nell’esercizio di una funzione pubblica possa favorire il proprio vantaggio privato a danno dell’interesse pubblico. Qui siamo nel vero problema del conflitto d’interessi: si tratta di stabilire una norma valida per tutti che impedisca a chiunque di piegare l’interesse generale a vantaggio della propria utilità particolare. La seconda anomalia riguarda il duopolio televisivo. Perché mai un solo imprenditore privato deve avere una dotazione di reti pari a quelle dell’ente pubblico? La parità produce una finta concorrenza dualistica che è in realtà spartizione forzosa del mercato: è la negazione del capitalismo. Il rimedio è elementare: ridurre il numero delle reti in possesso ai singoli operatori privati e creare le condizioni per una competizione pluralistica a parità di mezzi. E allo stesso tempo ridare alla Rai il ruolo ormai perduto di servizio pubblico e di ente culturale.
La terza anomalia è la più smaccata. In nessun paese democratico si può essere monopolisti televisivi e stare al vertice del sistema politico. Poiché la legge del ’57, che stabiliva l’ineleggibilità dei titolari di concessioni d’interesse pubblico, riguarda Confalonieri, va fissata con definitiva chiarezza l’ineleggibilità, o almeno l’assoluta incompatibilità con ruoli di governo, dei proprietari di mezzi di comunicazione. Su Repubblica Passigli sostiene che la legge deve individuare i principi fondanti. Eccone uno difficilmente confutabile: non può essere eletto chi ha, da solo, lo strumento principale per influenzare il suffragio elettorale. La quarta anomalia è il contrasto tra l’ex presidente del Consiglio e la magistratura. È uscito da processi per reati infamanti solo grazie a numerose leggi ad personam letali per la salute istituzionale del paese. Questo malinconico retaggio deve semplicemente essere eliminato con la abrogazione di quelle leggi, prima fra tutte quella sull’ordinamento giudiziario con cui il governo passato regolava i suoi conti con la magistratura.
La sconfitta del centrodestra ha solo tolto drammaticità alle quattro anomalie, ma non le ha affatto annullate. Esse lavorano come insidiose metastasi nel tessuto della repubblica. La seconda è ancora intatta: nella televisione pubblica continua a comandare il padrone di prima. Basta vedere l’informazione che ne esce. Anche la quarta anomalia resiste. I lettori dell’Unità continuano a chiedere: perché l’Unione non cancella la legge sull’ordinamento giudiziario? Perché sono stati negati i motivi d’urgenza a un decreto legge che doveva sospendere l’entrata in vigore di una pessima legge?
Ma delle quattro anomalie solo la prima rientra in pieno sotto le prerogative di una legge sul conflitto d’interessi efficace per tutti. Le altre sono distorsioni eccezionali della democrazia che vanno semplicemente tolte di mezzo. La seconda con lo scioglimento del duopolio televisivo, la terza con l’ineleggibilità o l’incompatibilità dei proprietari di mezzi di comunicazione, la quarta con l’abrogazione delle leggi ad personam e dell’ordinamento giudiziario.
La legge specifica sul conflitto d’interessi ha un campo d’azione molto più esteso e riguarda tutte le situazioni in cui l’interesse privato di coloro che svolgono funzioni pubbliche entra in conflitto con l’interesse generale. Certo deve anche risolvere il molteplice conflitto d’interessi che ha inquinato la vita politica italiana nell’ultimo decennio. Ma dalle informazioni circolate non sembra vicina una legge rigorosa per tutti e capace di recidere le metastasi del caso più pericoloso. Sembra invece che queste vengano affrontate nel modo più inoffensivo, mentre l’efficacia della legge verso tutti rimane nel limbo. Di ineleggibilità, incompatibilità e, ora, incandidabilità si parla solo per dire che non sono praticabili perché «punitive».
Restano così in piedi solo misure inconcludenti. Il blind trust, o fondo cieco, funziona solo per le ricchezze finanziarie ed è del tutto inefficace per le reti televisive. La credibilità delle Authority, dopo l’esperienza di quella sulle telecomunicazioni, è a dir poco assai scarsa. E temibile è l’artificio che ora viene messo in primo piano come soluzione maestra: la sterilizzazione del voto al detentore del pacchetto di maggioranza. Siamo chiari: si vuol far credere che Berlusconi sarebbe compatibile con la guida di un governo solo perché formalmente non potrebbe votare nel consiglio di amministrazione delle sue aziende? Ci vuole un ottimismo sfrenato per credere che le sue imprese non gli obbediscano.
Chi ha votato per la vittoria dell’Unione si aspettava non solo un avvicendamento del personale politico ma soprattutto una capacità di affrontare alla radice i problemi del paese. Già l’indulto per chi ha rovinato i piccoli risparmiatori non era un buon segno. Ma se sul conflitto d’interessi non ci sarà una soluzione davvero incisiva la delusione nell’elettorato sarà enorme e se ne avvertiranno dure conseguenze alle prossime elezioni. Da parte sua, la cittadinanza attiva, che ha già dato un contributo insostituibile a salvare la Costituzione, è pronta a elaborare una proposta di legge di iniziativa popolare per riaprire un largo dibattito nella società e nel Parlamento. Ma non basta. È necessaria subito una nuova fase di mobilitazione corale per una legge rigorosa.
* www.unita.it, Pubblicato il: 04.09.06 Modificato il: 04.09.06 alle ore 6.35