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FILOLOGIA E ANTROPOLOGIA. Ma quale differenza?! E dov’è l’identità?!

UOMO-DONNA: "I SOGGETTI SONO DUE, E TUTTO E’ DA RIPENSARE" (Laura Lilli, 1993)!!! A Mantova, Luce IRIGARAY rilancia la questione, ma - incompresa - viene "snobbata"!!!

“In tutto il mondo siamo sempre in due”. "La questione è: dobbiamo sfruttare il respiro degli altri o condividere il respiro con gli altri?"
venerdì 8 settembre 2006 di Federico La Sala

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> UOMO-DONNA ---- Siamo stati educati a seguire modelli culturali preesistenti piuttosto che a edificare insieme un nuovo mondo grazie alle fecondità delle nostre differenze (di Luce Irigaray - Paura. Le nostre vite espsote all’incertezza).

mercoledì 1 aprile 2009


-  Paura
-  Le nostre vite esposte all’incertezza

-  Un sentimento che oggi ha preso il sopravvento

-  La filosofa e psicoanalista francese: non riguarda solo i bambini, è la vita reale che spaventa gli adulti
-  Ed è dentro di noi che dobbiamo trovare la causa del suo potere
-  È indispensabile tornare a una cultura più complessiva del nostro essere
-  Essere fedeli alla nostra singolarità esige di sviluppare le relazioni con l’altro, gli altri

-  di Luce Iragaray (la Repubblica, 01.04.2009)

La paura è sempre esistita, ma essa assume caratteri particolari nella nostra epoca. Anzitutto la paura è generale e ovunque. La paura di respirare un’aria inquinata e di mangiare un cibo tossico; la paura di essere contaminati da qualche virus, sennò da qualche ideologia; la paura di perdere il lavoro ma pure i beni acquisiti grazie al lavoro; la paura che non ci sia un domani: per la salute, per l’amore, per i viveri o l’acqua, per il pianeta; la paura di stare a casa ma anche di uscire di casa dove una qualsiasi violenza potrebbe colpirci.

La paura, quindi, non è solo un affare di bambini non ancora cresciuti e che hanno bisogno di adulti per essere aiutati a entrare nella vita reale. La stessa vita reale oggi spaventa prima gli adulti che sono consapevoli del carattere precario e pericoloso della nostra esistenza attuale, che sono pure capaci di prevedere l’incertezza dell’avvenire per l’umanità. La paura non è più un problema che si può curare con l’età, nemmeno con una terapia.

Risulta da fenomeni oggettivi che si sommano e creano un ambiente di vita che ci rende vulnerabili e in un certo modo malati. Ma si tratta di una malattia che nessun medico né nessuna medicina possono guarire? Certo, ci sono medici che prescrivono neurolettici o antidepressivi, ma non curano perciò la paura. Ci sono anche persone che fanno uso di droghe meno legali per trovare conforto, ma diventano tossicodipendenti senza aver superato la soggezione alla paura, piuttosto l’hanno raddoppiata.

Superare la paura generalizzata che corrisponde ormai all’atmosfera della vita quotidiana richiede il passaggio a un’altra epoca. Cerchiamo ancora di imputare qualche altro - individuo o cultura - della causa della paura. Questa risulterebbe da una certa sorta di terrorismo, dalle forme assunte da tale e tal altra religione, o dal modo di comportarsi di un altro popolo o di un’altra generazione.

Addossare a qualcun altro la responsabilità della paura non ci può aiutare a superarla. È piuttosto in noi stessi e nel nostro modo di vivere che dobbiamo trovare la causa dell’onnipresenza della paura e del suo potere. Se la nostra tradizione si fosse curata un po’ meglio di coltivare il respiro e l’energia, saremmo più capaci di rimanere in noi e di resistere alla paura. Ci siamo tanto allontanati da noi che non abbiamo un luogo in cui ripararci, qualcosa in noi a cui appoggiarci per sfuggire alla pressione ambientale. La quale incita una gran parte di noi a rifugiarsi nel divertimento, come accade spesso nei tempi incerti. Ma un simile comportamento, che corrisponde a una sorta di droga, contribuisce ad alimentare l’incertezza!

Tornare a una cultura più complessiva del nostro essere è indispensabile, non solo per sopravvivere ma anche per tentare di aprire nuovi orizzonti. Oltre al fatto che sia stata una cultura del fra simili, che affronta le differenze in un modo quasi soltanto quantitativo e gerarchico, la nostra tradizione ha favorito un’educazione delle facoltà mentali a discapito di una formazione più globale. Questi caratteri culturali ci hanno resi abbastanza deboli e poco capaci di convivere nella differenza, cioè di adattarci alle realtà del nostro tempo.

Siamo stati educati a seguire modelli culturali preesistenti piuttosto che a edificare insieme un nuovo mondo grazie alle fecondità delle nostre differenze. Ora, questo è il lavoro che spetta a noi di compiere oggi. Un tale lavoro esige da noi di essere più autonomi e creativi di quanto siamo.

Infatti, abbiamo ancora da superare la dipendenza da quelli che crediamo conoscano meglio di noi quali siano il nostro bene o il nostro male. Adulti, restiamo anche bambini a causa di una simile aspettativa riposta in quelli che sostituiscono l’autorità parentale. Fidarci del loro parere e della loro parola senza rimanere all’ascolto delle nostre percezioni e della nostra esperienza, ci rende fragili e recettivi alla paura, di cui, per altro, certi usano per stabilire un loro potere. Ci fanno credere che se non rispettiamo i loro consigli, rischiamo di danneggiare il nostro corpo, il nostro statuto sociale, perfino la nostra anima.

Sfortunatamente non ci svelano che cosa perdiamo fidandoci della loro autorità senza essere fedeli al nostro proprio sentire. Una condizione necessaria per costruire una vita adulta autonoma.

Essere fedeli alla nostra singolarità e incaricarci di farla fiorire deve accompagnarsi con il rispetto della singolarità dell’altro e l’aiuto portato al suo proprio compimento. Questo ci richiede di crescere come adulti autonomi capaci di proseguire il proprio cammino senza rinunciare a esso per qualsiasi paura. Esige anche di sviluppare le relazioni con l’altro, gli altri, non solo in quanto figli di una stessa particolare famiglia - naturale, culturale, politica, nazionale, eccetera - i figli che sono radunati in nome di una specifica appartenenza, e che formano un tutto che, almeno in parte, si richiude a partire dall’esclusione dell’altro in quanto differente. Figli che sono più o meno in competizione per essere il capo, il primo, il più bravo, il più competente, il più amato eccetera. Abbiamo piuttosto da crescere fino a raggiungere una maturità che ci consenta di comporre una famiglia umana di fratelli e di sorelle di cui le differenze si intrecciano e si fecondano in nome di un’appartenenza naturale universale e della libera volontà di ciascuno e di ciascuna di costruire insieme un mondo che corrisponda all’epoca in cui viviamo e abbiamo da convivere nella dignità, nella pace e, per quanto difficile questo talvolta sia, nella felicità.


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