Il Ghetto dell’Identità
di Jean-Paul Fitoussi (l`Unità, 02.01.2008)
Una volta andai a prendere al suo albergo il Nobel per l’economia Amartya Sen e l’addetta alla reception mi chiese se ero il suo autista.
Dopo un momento di esitazione, feci un cenno di assenso con il capo. Quel giorno, tra le mie varie identità, la più ovvia per l’addetta alla reception era quella di autista.
Questa sensazione dell’identità multipla è un qualcosa che lo stesso Sen ha sottolineato maliziosamente nel suo libro «Identità e violenza»: «La stessa persona può essere, ad esempio, un cittadino britannico, di origine malese, con caratteristiche razziali cinesi, un agente di borsa, un non vegetariano, un asmatico, un linguista, un culturista, un poeta, un nemico dell’aborto, un amante degli uccelli e uno che crede che Dio ha inventato Darwin per mettere alla prova i creduloni».
Appena un minimo di introspezione basta a dimostrare che la nostra difficoltà a rispondere alla domanda «chi sono?» deriva dalla complessità insita nel distinguere tra le nostre molte identità e nel distinguerne l’architettura.
Chi sono, in realtà, e perché dovrei accettare che altri riducano ad una sola delle sue dimensioni la mia persona e la ricchezza della mia identità?
Eppure in questo riduzionismo si nasconde uno dei concetti dominanti del mondo contemporaneo: il multiculturalismo, secondo cui una delle nostre identità deve prevalere su tutte le altre e deve fungere da unico criterio per organizzare la società in gruppi distinti. Oggigiorno ci viene detto spesso che le persone dispongono di soli due modi per integrarsi in una società: il modello “britannico” del pluralismo culturale e il modello “francese” basato sull’accettazione dei valori Repubblicani e, soprattutto, del concetto di uguaglianza.
Secondo il comune buon senso, il modello sociale della Gran Bretagna si fonda sulla coesistenza tra comunità diverse, ciascuna delle quali continua ad osservare le sue convenzioni e tradizioni nel rispetto delle leggi del Paese - una informale federazione di comunità. Ma il comune buon senso è completamente in errore in quanto le leggi britanniche riconoscono agli immigrati provenienti da tutti i Paesi del Commonwealth una cosa straordinaria: il diritto di votare persino alle elezioni politiche generali. I cittadini sanno per esperienza che la democrazia non consiste nel solo suffragio universale, ma comporta anche che ci sia una sfera pubblica aperta indistintamente e paritariamente a tutti.
In Gran Bretagna, pertanto, un gruppo numerosissimo di immigrati condivide con i cittadini nati nel Paese il diritto di partecipare al dibattito pubblico su tutte le questioni di interesse generale, sia di carattere locale che nazionale. Dal momento che l’uguaglianza fondamentale è garantita in questo modo, il sistema britannico riesce ad affrontare meglio di altri l’espressione delle diverse identità.
Oggi, tuttavia, lo stesso governo britannico sembra dimenticare le condizioni di fondo del modello britannico cercando di soddisfare il desiderio di riconoscimento pubblico di alcune particolari comunità attraverso la promozione ufficiale di cose come le scuole confessionali sovvenzionate dallo Stato.
Secondo Amartya Sen, questo comportamento è deplorevole in quanto porta le persone a privilegiare una delle loro identità - diciamo quella religiosa o culturale - su tutte le altre in un momento in cui è essenziale che tutti i bambini allarghino il loro orizzonte intellettuale. Abbracciando questa sorta di separatismo che queste scuole rappresentano, è come se la Gran Bretagna dicesse «questa è la vostra identità e non potete avere null’altro». Questo approccio si traduce in comunitarismo non in multiculturalismo.
Negli ultimi anni anche il modello “francese” è stato oggetto di errate interpretazioni dovute alla confusione sul suo principio portante - l’autentica inclusione nella vita della società che significa autentica uguaglianza sotto il profilo dell’accesso ai servizi pubblici, al sistema dello Stato sociale, alle scuole e alle università, all’occupazione e via dicendo.
Il repubblicanismo riconosce a ciascun individuo, a prescindere dalla sua identità, parità di diritti per arrivare all’uguaglianza universale. Non nega le varie identità e garantisce a ciascuna di esse il diritto di esprimersi nell’ambito della sfera privata. La tentazione del comunitarismo, intorno al quale in Francia va avanti il dibattito da almeno un decennio, origina dal desiderio di trasformare il fallimento della vera uguaglianza in qualcosa di positivo. Il comunitarismo offre l’integrazione nell’ambito dello spazio differenziato delle varie comunità - una sorta di reclusione ad opera della civiltà, direbbe Amartya Sen.
Ma non si può travestire il fallimento da successo. Fintanto che le aree urbane saranno socialmente ed economicamente depresse, il comunitarismo servirà solamente a mascherare la violazione del principio di uguaglianza. I gruppi sociali vengono di conseguenza misurati sotto il profilo delle differenze “etniche” o “razziali”.
Proprio in quanto sono state trascurate le condizioni sociali del “modello francese”, il modello è allo stato attuale una contraddizione vivente del suo principio di fondo: l’uguaglianza. Per invertire la tendenza, il repubblicanismo francese deve, al pari del multiculturalismo inglese, contraddire se stesso per realizzare se stesso. I francesi debbono riconoscere che l’uguaglianza davanti alla legge è un principio fondante, ma debole; deve essere integrato da una più rigorosa visione del modo in cui si arriva all’uguaglianza.
Questa visione dovrebbe rendere gli sforzi repubblicani proporzionali all’importanza della condizione di svantaggio della gente proprio per liberarla dal peso delle condizioni di partenza. Una vera uguaglianza nella sfera pubblica - che è diversa a seconda dei valori e della storia di ciascun Paese - implica un livello minimo di accettazione della storia e dei valori di un Paese.
Dice Amartya Sen che ciò che si accetta in tal modo è in realtà l’identità nazionale. Ma questa identità deve essere aperta. È una identità che condividiamo vivendo insieme e attraverso quanto abbiamo in comune, a prescindere dalle differenze tra le nostre identità multiple. Il grande romanziere britannico Joseph Conrad, nato Jozef Teodor Konrad Korzeniowski da genitori polacchi nell’Ucraina governata dalla Russia, disse che la parole sono il principale nemico della realtà.
Il richiamo alla “identità nazionale” non va trasformato in una collettiva cortina fumogena dietro la quale l’inclusione diventa un sogno immateriale che coesiste con il comunitarismo che sta ora emergendo dal suo fallimento.
Jean-Paul Fitoussi
è professore di economia all’Istituto
di studi politici di Parigi e presidente dell’Ofce (l’Osservatorio francese
della congiuntura economica)
sempre a Parigi.
© Project Syndicate/Institute
for Human Sciences, 2007
Traduzione
di Carlo Antonio Biscotto