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Storia e Letteratura ...

POTENZA, SASSO DI CASTALDA: alla figura e all’opera di don GIUSEPPE DE LUCA il terzo Parco Letterario della BASILICATA.

venerdì 15 settembre 2006 di Federico La Sala
[...] Don De Luca soleva ripetere di essere interessato non alla politica, ma ai politici, che invitava a tenere alta la bandiera della ricerca intellettuale, tralasciando le barriere tipiche e caratteristiche di ogni ideologia. Fu amico di Papini, Ungaretti, Prezzolini, Palmiro Togliatti e soprattutto di Papa Montini e Papa Roncalli. Nutrì interesse per la situazione del clero nei paesi dell’Est e memorabile fu il contributo che apportò a favore dell’avvicinamento tra Urss e Santa Sede. (...)

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> DON GIUSEPPE DE LUCA ---- FRANCO RODANO. La speciale laicità del cattolico comunista (di Marcello Musté)

lunedì 22 luglio 2013

Rodano, la speciale laicità del cattolico comunista

di Marcello Musté (l’Unità, 21 luglio 2013)

A distanza di trent’anni dalla morte (21 luglio 1983), l’opera di Franco Rodano potrebbe apparire inattuale, o persino superata. Inattuale, perché costituita da pensieri, sì politici, ma sorretti da ardue meditazioni filosofiche e da ampi squarci storiografici, a cui un po’ tutti ci siamo disabituati; e superata perché testimone di un mondo che non è più il nostro.

Ma per la sostanza dei problemi evocati (la questione cattolica, la democrazia, il capitalismo), e per la qualità delle analisi, certe sue pagine sembrano scritte ieri e continuano a parlarci.

IL CONFRONTO CON TOGLIATTI

Al centro della sua riflessione restò la ricerca di un altro modo di intendere la laicità. Questa fu la forma specifica in cui (oltre Gramsci e Togliatti, ma mantenendone viva la «lezione») ripensò la «questione cattolica».

Rodano recuperava, per esempio attraverso le lettere di san Paolo, il valore di una positiva accettazione del limite, della finitezza dell’uomo, e di conseguenza vedeva nella tesi della «negatività del finito» (da Parmenide a Hegel, fino alla frase di Engels per cui «tutto ciò che esiste merita di morire») la sorgente di una confusione fatale tra sfera di natura e sovrannaturale. La sua idea di laicità aveva conseguenze importanti sul modo di concepire la cultura cattolica e quella comunista. A differenza di quanto si è affermato, non fu l’ispiratore (o l’«architetto») del compromesso storico. Questa strategia trovava radici nella storia del comunismo italiano, specie nel periodo togliattiano. Ma Rodano (anche con gli appunti che, attraverso Tatò, fece pervenire a Berlinguer) cercò di conferirvi ampiezza e spessore, fino a considerarla come una trasformazione delle correnti ideali della repubblica.

Questo fu il suo massimo sforzo teorico e il momento di maggiore notorietà. Con il compromesso storico si dava l’occasione per oltrepassare i limiti che avevano segnato sia l’esperienza del partito cattolico che di quello comunista. L’interpretazione del compromesso storico richiamava l’analisi che aveva condotto sulla storia dei due maggiori partiti italiani.

Nei saggi dedicati al partito cattolico, che partivano da Lamennais e De Maistre, aveva contestato il carattere aclassista e integralista di quel partito, fino ad auspicarne il superamento. Indagini non meno acute aveva rivolte al pensiero di Marx, non solo distinguendo (fin dagli scritti giovanili, dialogando con Felice Balbo) il materialismo storico e il materialismo dialettico, ma sottolineando il «residuo signorile» dell’ideale del comunismo, nonché l’insufficienza del modo di concepire il conflitto di classe e la rivoluzione. In definitiva, al fondo del pensiero cattolico e di quello comunista riposava lo stesso difetto di laicità: la logica dell’incontro avrebbe dovuto operare una critica, persino un trascendimento, delle rispettive «ideologie», riconducendole a una visione pienamente laica della politica e della storia.

Naturalmente Rodano conservava molta fiducia nell’idea di rivoluzione, sia pure ripensata (come fece in alcuni articoli pubblicati nel 1963 sulla «Rivista trimestrale») oltre la formulazione marxiana. Era un problema che lo impegnò a lungo, con forti discontinuità. Dopo uno scritto del 1957 sul «neocapitalismo, tra il 1962 e il 1965 riconsiderò (sulla scia di Galbraith) la forma stessa del capitalismo maturo, attraverso la categoria di «società opulenta»: una società dominata dal principio di efficienza e dall’inedita figura del «servo-signore».

GRAMSCI E L’EGEMONIA

Alla fine degli anni settanta corresse questa lettura, introducendo il tema (fondamentale anche per intendere il compromesso storico) dell’antitesi di democrazia e capitalismo: di fronte alla tendenza disgregativa del capitalismo contemporaneo, la democrazia (dimensione «permanente ed essenziale » della politica, oltre la visione togliattiana della «democrazia progressiva »), in quanto aspirazione di eguaglianza universale, ne avrebbe superato la «forma individuale del vivere». Idea che si reggeva sul recupero del concetto gramsciano di egemonia, quale iniziativa politica destinata a innervare e promuovere il valore democratico, e su una politica economica centrata sulla conversione in senso sociale del consumo e non più (come ancora in Marx) sul primato della produzione.

Dopo il 1978, Rodano avviò un riflessione sulle radici della crisi. Riflessione che restò incompiuta, anche di fronte agli sviluppi della politica comunista, che lo impegnarono, nel 1982, nella discussione sul così detto «strappo» dall’Urss: nella quale sembrò a molti quasi un apologeta del modello sovietico. In verità, anche negli articoli che allora scrisse per « Paesesera », volle sottolineare che, con la «negazione semplice» della «seconda fase», non si sarebbe entrati nella «terza fase», quella della laicità della politica, come il compromesso storico sembrava invece consentire, ma in un periodo di ripiegamento e, forse, di confusione.

Pessimismo e lucidità, errori di valutazione e intuizioni feconde, si unirono, senza ben saldarsi in un pensiero coerente, nelle sue ultime, drammatiche meditazioni.


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