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Storia e Letteratura ...

POTENZA, SASSO DI CASTALDA: alla figura e all’opera di don GIUSEPPE DE LUCA il terzo Parco Letterario della BASILICATA.

venerdì 15 settembre 2006 di Federico La Sala
[...] Don De Luca soleva ripetere di essere interessato non alla politica, ma ai politici, che invitava a tenere alta la bandiera della ricerca intellettuale, tralasciando le barriere tipiche e caratteristiche di ogni ideologia. Fu amico di Papini, Ungaretti, Prezzolini, Palmiro Togliatti e soprattutto di Papa Montini e Papa Roncalli. Nutrì interesse per la situazione del clero nei paesi dell’Est e memorabile fu il contributo che apportò a favore dell’avvicinamento tra Urss e Santa Sede. (...)

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> don GIUSEPPE DE LUCA ---- L’archivio di don De Luca (di Gianfranco Ravasi).

lunedì 2 novembre 2009

L’archivio di don De Luca

di Gianfranco Ravasi (Il Sole 24 Ore, 01.11.2009)

Se nella pur sempre preziosa Garzantina della Letteratura si va a cercare la voce "De Luca", l’unico a venirci incontro è "Erri De Luca", il noto scrittore e traduttore di testi biblici. È una lacuna l’assenza di don Giuseppe De Luca, uno straordinario personaggio lucano trapiantato a Roma, ove morrà a 64 anni nel 1962 (cinque giorni prima del decesso persino il Papa, Giovanni XXIII, s’era recato al suo capezzale all’ospedale dell’Isola Tiberina). Don De Luca è stato un protagonista del dialogo tra cultura religiosa e laica, non esitando ad avventurarsi anche nel terreno della politica, ove gli scontri allora erano, sì, aspri ma di alto tenore ideale. Quel sacerdote era, però, soprattutto un eccezionale studioso di fenomeni culturali, uno dei quali era l’ambito della religiosità popolare e colta, un campo scarsamente dissodato.

Era nato, così, quell’“Archivio italiano per la storia della pietà” che ha continuato a vivere anche dopo la sua morte e che, sia pure a fatica, è giunto ora al suo ventesimo volume. Un testo che offre in apertura una memoria testimoniale plurima su Maddalena De Luca, la sorella altrettanto geniale benché più discreta di don Giuseppe, scomparsa nello scorcio del 2007. Le pagine, però, si allargano a orizzonti più ampi dai quali vengono fatte emergere altre figure emblematiche. Noi ne vogliamo evocare un trittico, lasciando tra parentesi profili altrettanto sorprendenti, come quello di una mistica quasi contemporanea, la lucchese Gemma Galgani (1878-1903) della quale viene studiato - in un saggio imponente di Elisa Tola - il «modello di italiano colloquiale riportato».

Noi, invece, poniamo sulla ribalta innanzitutto una discepola di don De Luca, Romana Guarnieri (1913-2004), una donna dalla biografia stupefacente, iniziata in Olanda e sotto un cielo spoglio di divinità, ma destinata ad approdare all’identificazione con lo stesso oggetto della sua ricerca spirituale. Sì, perché la Guarnieri si autodefinirà, si sentirà e vivrà come una «beghina» (uno dei suoi scritti, pubblicato nel 2003, s’intitola appunto Con occhi di beghina), ossia una di quelle figure misticocaritative, entrate in scena a partire dal XII secolo in Belgio e Olanda e divenute espressione di un cristianesimo creativo, provocatorio, originale, non di rado represso dall’ufficialità ecclesiastica.

A Romana, alla sua fisionomia spirituale e letteraria unica, è stata dedicata una giornata di studio nel 2006 i cui atti sono appunto qui pubblicati. La seconda personalità femminile che appare nel volume è l’indimenticabile Cristina Campo, alias Vittoria Guerrini (1923-1977), un’intelligentissima «vergine quattrocentesca», come l’aveva definita Citati.

A studiare la sua concezione del sacro nell’arte è Alessandro Giovanardi, con un vasto saggio che prende le mosse dall’ultimo libro pubblicato in vita dalla poetessa, Il flauto e il tappeto (1971), e che riesce a svelarci come pietas e bellezza si debbano necessariamente incrociare, perché l’estetica è tale in quanto inabitata dalla verità ultima e ogni perfezione stilistica è indissolubilmente vincolata con l’affinamento etico e spirituale.

Il suo, però, fu un itinerario tutt’altro che pacato e placato, anzi, fu autenticamente "drammatico", e ci sia permesso qui citare pochi versi di Cristina: «Oh quanto ci sei duro / Maestro e Signore! / Con quanti denti il tuo amore / ci morde!». E su questa scia giungiamo alla terza tavola del nostro ideale trittico, desunto dal volume ultimo dell’Archivio italiano per la storia della pietà: sulla scena ora è lo stesso fondatore De Luca, uomo passionale e curioso. Qui lo vediamo all’interno di un groviglio non facilmente dipanabile, quello tra lui, padre Pio e padre Gemelli, ovvero l’incrocio - come scrive già nel titolo del suo saggio Giuseppe M. Viscardi - «tra santità, scienza e intelligenza».

Sappiamo, infatti, che nel 1934 il sacerdote si recò in pellegrinaggio a san Giovanni Rotondo e di questa esperienza egli interloquì a lungo con l’amico Giovanni Papini (una lettera di 12 pagine!), con Prezzolini, Buonaiuti e altri. «Padre Pio, caro Papini, è un cappuccino malingre [gracile] e ignorante e molto meridionalmente grosso e tuttavia ha con e in sé Iddio, quel Dio tremendo che noi intravediamo in fantasia, e lui ha nell’anima e nella carne». Ma a questo punto entra in azione, su incarico del S. Uffizio, p. Gemelli per una verifica "psicologica" sul frate cappuccino, con un esito negativo perentorio e durissimo. Lasciamo al lettore di seguire la vicenda non priva di colpi di scena, anche per l’apparire di Giovanni XXIII.

Noi, invece, vogliamo ora concludere ricordando che a Don De Luca dobbiamo anche la nascita delle Edizioni di Storia e Letteratura che hanno pubblicato testi di grande rilievo.

Ne segnaliamo solo l’ultimo, un importante e suggestivo volume dedicato al Tetravangelo di Rabbula, uno dei tesori della Biblioteca Laurenziana di Firenze, l’unico ampio manoscritto miniato della Siria paleocristiana. Redatto nel 586 in un monastero di quella terra dal monaco copista Rabbula, il codice, coi suoi 291 fogli pergamenacei, conserva i quattro Vangeli nell’antica versione siriaca detta Peshitta (cioè la "Vulgata" di quella lingua), preceduti da un’incomparabile sequenza di miniature a piena pagina che qui si possono ammirare, lasciandosi conquistare dal realismo figurativo che non risparmia un Cristo giovane e semplice dai capelli ricci color ruggine e dalla corta barba crespa.


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