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Per l’inizio del dialogo, quello vero (B. Spinelli)

ITALIA E PAKISTAN: LA DIVINA COMMEDIA (Dante Alighieri) E IL POEMA CELESTE (Muhammad Iqbal). Ri-leggiamo insieme... le due opere e i due Autori! Un’ipotesi di rilettura di DANTE .... e un appello per un convegno e per il Pakistan!!!

DANTE PER LA PACE, PER LA PACE TRA LE RELIGIONI E TUTTI I POPOLI.
venerdì 9 novembre 2007 di Federico La Sala
[...] W O ITALY ... Dopo di lui, in Vaticano, è tornata la confusione, la paura, e la volontà di potenza e di dominio. Un delirio grande, al di qua e al di là del Tevere, ma La Legge dei nostri ‘Padri’ e delle nostre ‘Madri’ Costituenti è sana e robusta ... Dante è riascoltato a Firenze, come in tutta Italia - e nel mondo. Anche nel Pakistan - memori del “Poema Celeste” (Muhammad Iqbal) - la Commedia non è stata dimenticata!!! [...]
PENSARE UN ALTRO ABRAMO: GUARIRE LA NOSTRA (...)

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> PAKISTAN ---- Intervista a Moshin Hamid. I pakistani: dosando religione e democrazia possono essere il laboratorio del mondo islamico (di Francesca Paci).

mercoledì 24 marzo 2010

“I nostri giovani islamisti? Antiamericani immaginari”

intervista a Moshin Hamid,

a cura di Francesca Paci (La Stampa, 24 marzo 2010)

Quando cinque mesi fa ha lasciato Londra per tornare a vivere nella natia Lahore Moshin Hamid ha scoperto che durante la sua assenza il paese s’era riempito di tipi come Changez, il fondamentalista riluttante protagonista dell’omonimo romanzo che l’ha reso celebre. «All’inizio vedere tante donne con il velo integrale è stato uno shock», racconta seduto al ristorante del Carlton Hotel di Karachi, dove partecipa alla prima edizione del Karachi Literature Festival. Poi si è guardato intorno: «Ci sono mille sfumature. Una donna impiegata in banca e coperta dal burqa non è necessariamente oppressa, magari utilizza quella protezione per farsi largo nella società maschilista».

Jeans abbondanti, camicia a righe, snikers, l’enfant prodige della letteratura pakistana non assomiglia affatto al giovane connazionale del libro che guarda il crollo delle Torri Gemelle scoprendosene compiaciuto. Piuttosto l’assoceresti all’altro personaggio, l’americano che ascolta in silenzio la confessione del musulmano tradito dal sogno a stelle e strisce. Ma c’è davvero contraddizione tra quelle due identità, chiede Moshin Hamid passando per un momento da intervistato a intervistatore. La risposta è fuori, nella Karachi da 18 milioni di persone in cui convivono la madrassa dove studiò il mullah Omar e l’MQP, Muttahida Qaumi Movement, l’unico partito del mondo islamico che manifestò ufficialmente per le vittime dell’11 settembre 2001.

Secondo politici, militari, analisti, i giovani pakistani sono ammalati di radicalismo e aggiungono all’antipatia nazionale per gli Stati Uniti un’allarmante sensibilità ai profeti armati. Che ne è stato del Paese più occidentale della galassia islamica?

«I giovani sono radicali per definizione, lo sono sempre stati in qualsiasi parte del mondo. Ma ce ne preoccupiamo solo quando la società intorno a loro cambia repentinamente come pare stia accadendo in Pakistan, dove, per altro, l’età media della popolazione è circa vent’anni. Il radicalismo però non è per forza religioso. In Italia, per esempio, è cool ascoltare Manu Chao o votare a sinistra. Oggi in Pakistan professarsi antiamericano è uno status symbol, ti fa sentire dalla parte giusta nonostante poi tutti vagheggino Harvard, la Columbia, Princeton. Se essere filoamericani significa preferire la costituzione a qualsiasi altra legge lo siamo, se si tratta di libertà di stampa ce l’abbiamo, se riguarda il leggendario melting pot in quale altro Paese convivono tante etnie? Il Pakistan è assai più simile agli Stati Uniti che all’Italia».

Il fondamentalismo è una proiezione paranoica del pregiudizio occidentale?

«La presenza del fondamentalismo islamico nel mio Paese è una realtà. Amplificarla però, sarebbe come sostenere che nel parlamento italiano siedono le pornostar. È successo, ma in che misura? Il problema del Pakistan è il sistema educativo scadente. Mio padre ha potuto mandarmi in una scuola privata, altri, meno benestanti, ricorrono alle madrasse che sono gratuite e funzionano spesso come centri di reclutamento. Essere una società tradizionale, conservatrice, attenta a valori religiosi, non vuol dire sponsorizzare il terrorismo».

Secondo l’«Economist» il Pakistan è oggi il Paese più pericoloso del mondo: al Qaeda, taleban, jihadisti, sono tutti qui.

«Mettiamola così, l’India è l’emblema della crescita sostenibile nonostante il 40% dei suoi bambini siano malnutriti, una situazione peggiore di molte regioni africane. In Pakistan, in piena crisi economica, la percentuale è meno del 30%. Significa che, oltre al radicalismo, esiste una rete sociale dietro cui spesso ci sono organizzazioni religiose. Pensiamo sempre l’islam in termini di fondamentalismo ma magari, è una provocazione, può essere uno strumento di lotta alle ingiustizie».

Anche contro le donne?

«Mesi fa mio zio, docente universitario, mi mostrò due foto con un gruppo di studenti, una era del 1979 e l’altra del 2008. Mi colpì che nella prima ragazzi e ragazze indossavano abiti occidentali laddove nella seconda c’erano solo veli, lunghe tuniche, barbe da mullah. Poi mio zio mi disse di contare le donne: 3 su 24 nel liberale 1979 e 20 su 24 nel 2008. Nella mia famiglia ci sono solo donne laiche e disapprovo il burqa da un punto di vista politico, poetico, culturale. Ma se per molte qui il look conservatore è servito a farsi rispettare allora, in uno strano modo, quel simbolo d’oppressione può diventare mezzo d’emancipazione. La realtà non è mai bianca o nera».

Quale minaccia teme maggiormente per il futuro del Pakistan?

«Il Pakistan è il fronte della guerra al terrorismo su cui si scontrano molti poteri esterni. Se ci fosse un altro attentato tipo Mumbai l’India reagirebbe e per noi sarebbe il collasso. L’instabilità rafforza i terroristi, signori dell’anarchia, e gli antiterroristi che, comunque agiscano, sono indispensabili. In mezzo ci sono i pakistani, una società più democratica di quella araba che rispetta la costituzione e ha aperto alle donne le porte del governo, delle forze armate, dei tribunali».

Chi vincerà?

«I pakistani: dosando religione e democrazia possono essere il laboratorio del mondo islamico. Forse il radicalismo dei giovani tradisce l’ansia d’una risposta. Io emigrando non l’ho trovata».


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