Inviare un messaggio

In risposta a:
Visita pastorale del Papa a Napoli ....

ALLARME: "CAMORRA"!!!, "MAMMASANTISSIMA"!!! CAMBIARE ROTTA!!! PER L’ITALIA, PER NAPOLI, RIPARTIRE DALLE RADICI MODERNE, EU-ANGELICHE E FRANCESCANE - dal "presepe"!!! A tutta NAPOLI e al coraggioso Cardinale SEPE un augurio e una sollecitazione, a camminare insieme sulla strada della civiltà del dialogo e dell’amore. W o ITALY !!!

martedì 23 ottobre 2007 di Federico La Sala
TUTTO A "CARO-PREZZO": QUESTO "IL VANGELO CHE ABBIAMO RICEVUTO". IL VANGELO DI RATZINGER, BERTONE, RUINI, BAGNASCO E DI TUTTI I VESCOVI.
PER L’ITALIA E PER LA CHIESA: LA MEMORIA DA RITROVARE. L’"URLO" DI DON PEPPINO DIANA. «La camorra ha assassinato il nostro paese, noi lo si deve far risorgere, bisogna risalire sui tetti e riannunciare la "Parola di Vita"».


L’Italia ripudia la guerra! Ed è per lo (...)

In risposta a:

> ALLARME: "GOMORRA"!!! "Dio sembra quasi disgustato dalle azioni dell’umanità" (K. Wojtyla). Stato e Chiesa: RIPARTIRE DALLE RADICI, EU-ANGELICHE E FRANCESCANE - dal "presepe"!!! A tutta NAPOLI e al coraggioso Cardinale SEPE un augurio e una sollecitazione, a camminare insieme sulla strada della civiltà del dialogo e dell’amore - in modo deciso e nuovo!!!

domenica 12 novembre 2006

Bagnoli, dopo la Fabbrica niente

di Enrico Fierro *

Quando a Napoli c’era lei, la fabbrica. E il popolo era «classe», operaia, s’intende. E le famiglie vivevano di un salario che certo non bastava mai, ma c’era. Era pane sicuro. I figli vedevano i padri svegliarsi all’alba per andare a fare quel lavoro duro, tra i fumi e le fiamme della colata, e sognavano di poter entrare anche loro, un giorno, «dentro la fabbrica». E i padri, invece, si «facevano nu mazzo accussì» per farli studiare i figli. Anche all’università. La fabbrica vomitava ogni giorno 800mila tonnellate di ghisa e 820mila di acciaio. Un mostro. Che divorava la spiaggia, ammorbava l’aria di un fumo grigio e fetente, impestava il dolce mare flegreo. Eppure nonostante quelle acque scure e l’aria nera, gli altoforni hanno sfamato famiglie per decenni, formato generazioni di operai e tecnici, plasmato un quartiere, Bagnoli. La fabbrica, l’Italsider o Italsidèr (con la lingua che batte forte sulla "e", come usa da queste parti) per tutto il Novecento è stata l’anima civile di Napoli. La forza della sua democrazia. Una parte fondamentale della sua cultura migliore. Il muro più solido contro il dilagare di quell’anima plebea, disperata e pronta a tutto che oggi terrorizza i napoletani onesti (la stragrande maggioranza) e rischia di uccidere il futuro della città. Una barriera invalicabile contro «’o sistema», la camorra, la sua ideologia predatoria, la sua cultura che «con la fatica non si fanno i danari. Con la droga sì, e tanti».

Era il 19 giugno del 1910 quando venne acceso il primo altoforno del "mostro", ottanta anni dopo quei forni si spensero per sempre. L’acciaio non era più competitivo, la grande industria neppure. La cultura della deindustrializzazione era diventata Vangelo per economisti e politici. Napoli perdeva un pezzo importante di sé. Alla città sconvolta dalle guerre di camorra, quando i morti si contavano a centinaia, piegata dall’ignavia e dalla immoralità delle sue classi dirigenti, fu amputato un arto. Gli operai, i tecnici vennero strappati dal lavoro. Prepensionati. In mobilità. La fabbrica era morta. Nelle grandi manifestazioni civili per le strade di Napoli non si sarebbero visti mai più i caschi gialli degli operai dell’acciaio. Una storia era finita. La città perdeva il suo pilastro.

Abbiamo incontrato persone che hanno vissuto quella esperienza e ce la raccontano. Si tratta di gente comune. Gente di Napoli che nessun media in questi giorni ha chiamato a parlare di Napoli. Com’era e come è diventata. Com’era la città una volta. Ai tempi dell’Italsidér (con la lingua che batte sulla e).

PIETRO: «Quando nel 1962 venni assunto all’Italsider mio suocero mi disse che ero fortunato. Sei entrato nella ferriera e mo chi ti caccia più. Il mio primo stipendio era di 60mila lire. Io ero impiegato, gli operai guadagnavano di meno e non gli pagavano i primi tre giorni di malattia. Ho visto uomini che stavano di fronte alla colata venire a lavorare con la febbre. Poi facemmo gli scioperi e conquistammo il diritto alla malattia. Per me la fabbrica era una cattedrale, io la vedevo così. Il lavoro degli operai era infernale, i turni con il caldo e il fumo che ti bruciavano i polmoni. Ma era la vita: negli anni d’oro a Bagnoli lavoravano 10mila persone. Ventimila con l’indotto. Decine di migliaia di stipendi sicuri. Di famiglie che avevano poco ma avevano. Io non ho mai mitizzato i caschi gialli, per carità. Mi iscrissi al Pci nel ‘68 e la fabbrica è stata la mia scuola di formazione politica. Ma dico che chi lavorava all’Italsider aveva una identità forte che riusciva a trasmettere al quartiere di Bagnoli e alla città intera. Certo che anche negli anni Sessanta, Settanta, c’era la camorra, ma era un’altra cosa. Non debordava come oggi. Non era quella sorta di fiume che allaga l’intera città senza trovare un argine. Noi eravamo l’argine. Quando parlo di identità penso alle case costruite per gli operai, al fatto che le famiglie vivevano tutte insieme, penso alle sedi dei sindacati, ai partiti, al nostro circolo aziendale. Quando nel ’90 la fabbrica ha chiuso ho visto operai piangere. Ci guardavamo negli occhi e sapevamo che da quel momento non sarebbe stato più lo stesso. Ho perso il lavoro che avevo 50 anni. Mi si è stretto il cuore ma ho guardato avanti. Spero che lo faccia anche Napoli». Pietro Postiglione è stato per trent’anni impiegato all’Italsider. Vive a Napoli.

TANIA: «La grande fabbrica è entrata nella mia casa quasi trenta anni fa, portandosi dietro il nero negli occhi di mio padre per le colate di acciaio, la tranquillità del lavoro fisso e la sensazione di appartenere a qualcosa di grande e di importante. Mio padre senza la fabbrica non avrebbe imparato la disciplina, la solidarietà e il senso di appartenenza di classe. Questo lo ha potuto apprendere giorno dopo giorno seguendo i ritmi disumani di una fabbrica che produceva acciaio per costruire la nuova Italia. La dignità, il rispetto del lavoro altrui, la condivisione per affrontare meglio i problemi, mio padre li ha imparati in fabbrica e li ha trasmessi a noi. Quattro figli in un vicolo assediato da contrabbandieri, papponi e ladri. Eravamo intoccabili dal marcio e dal corrotto che ci circondava perché il rispetto superava le insidie. Noi vivevamo come protetti da un’aura particolare: papà faticava all’Italsider. Usciva alle 4,30 di mattina. Faceva le notti. A volte lavorava per 16 ore continue; e me le ricordo tutte le manifestazioni contro le "16 ore". È cominciata la cassa integrazione. E i silenzi tristi di mio padre. Non era la preoccupazione per il "posto". Nessuno si è chiesto quanto stesse perdendo in realtà della sua vita. È un uomo fortunato, mio padre, la sua semplicità non ha permesso che venisse amputato l’amore per la vita, anche senza la "sua" fabbrica». Tania Melchionna si occupa di comunicazione. Rimase colpita dalla lettura del bel libro di Ermanno Rea, «La dismissione», e decise di scrivere questa lettera pubblica a suo padre.

GUGLIELMO: «Lo vuoi vedere l’ultimo reparto della fabbrica ancora in funzione? Eccolo: il Circolo dell’Italsider. L’Italsider ha chiuso, il circolo aziendale no. Qui, nella vecchia sede di Coroglio, abbiamo ancora duemila iscritti, organizziamo di tutto, sport, teatro, gite, siamo una realtà solida. Quando c’era la fabbrica non c’era delinquenza a Bagnoli. Poca roba, un po’ di contrabbando di bionde, ma niente di più. Certo, erano altri tempi, ma quando in una famiglia il figlio vedeva il padre uscire alle 4 del mattino, rientrare la sera, rispettare orari e tempi, beh era difficile che sbagliasse strada. Oggi, ci sono intere famiglie dove il padre non ha un lavoro, la tv bombarda i ragazzi con l’ideologia del danaro facile, i "renari" a tutti i costi, e allora vince la cultura del malaffare. Ha ragione Rea: la fabbrica ha bonificato i quartieri di Napoli, poi c’è stata la dismissione, e i quartieri di Napoli hanno bonificato la fabbrica. L’Italsider ha preservato l’area flegrea dalla speculazione edilizia, la fabbrica non c’è più puntiamo sul risanamento del territorio, progettiamo nuove occasioni di sviluppo e di lavoro. Napoli ce la farà. Non mi piacciono i Gava e i Pomicino che in questi giorni parlano e danno lezioni. Io me le ricordo le facce che giravano al Comune e alla Regione nei loro anni. Oggi no, alla Iervolino e a Bassolino si possono fare miliardi di critiche, ma oggi la camorra è fuori dalle nostre istituzioni. La sindaca e ’o Presidente sono autorità morali sulle quali Napoli può contare». Guglielmo Santoro, figlio di un operaio dell’Italsider, ha lavorato in quella stessa fabbrica per 30 anni.

* www.unita.it, Pubblicato il: 12.11.06 Modificato il: 12.11.06 alle ore 7.24


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: