ITALIA: NAPOLI, “PER UN FUTURO OLTRE QUESTA NOTTE” (2)
Dove sta “la fiera della volgarità”? A “Napoli” o a “Roma”?!
a c. di Federico La Sala
Ma non si può buttare il bambino e l’acqua sporca, come si suole dire! La logica politica ed economica di lunga durata interna ed esterna (con le loro egemonie - in cui è stata progressivamente trascinata anche la sx) hanno “compromesso” e fatto pagare (e non è affatto ancora finita!) un caro-prezzo (“caritas”) a Napoli e all’intero Sud!!! Pur, nella condivisione delle cose dette da D’Avanzo, mi sembra che abbia peccato proprio di poca sensibilità e di poca intelligenza nell’analisi. “Miseria e Nobiltà”: il collegamento di Eduardo De Filippo con Mario Merola è nella realtà e nella storia delle “due” Napoli, a partire almeno da Vincenzo Cuoco. D’Avanzo, mi sembra che abbia fatto come i rivoluzionari napoletani (del ’99) che amavano guardare solo all’Europa e, con le idee dell’ Europa, “negavano” e si impedivano di conoscere la loro stessa “altra” Napoli.
Oggi la realtà è cambiata: e non è più il tempo della “camorra”, ma del “Sistema”! “Gomorra” di Saviano insegna ... se si vuoi capire un po’ di più la globalizzazione, le trasformazioni avvenute e in atto, ecc. ... Contrariamente a quanto si pensa, NAPOLI ha fatto resistenza .... e la Resistenza (anche al berlusconismo) !!! E sono convinto che, pur condividendo molta parte del discorso di D’Avanzo, che il "Mario Merola" da lui tratteggiato (se non sbaglio e se non abbiamo la memoria cortissima) è più simile a chi è diventato un eroe .... a ROMA - in ITALIAndia, ma non a NAPOLI e nemmeno in ITALIA!!!
A Napoli, Mario Merola era, è stato, ed è Mario Merola ... e ha saputo conquistarsi non solo fiducia e apprezzamento non solo dai “suoi”, ma ha anche saputo aprirsi al dialogo con l’ “altra” parte della città e della società!!! Se è così, come mi pare e forse ... è, dove è stata e dove sta "la fiera della volgarità"?!
A “Napoli” o a “Roma”?! (Federico La Sala, 18.11.2006)
La fiera delle volgarità
di Furio Colombo *
Non so se sia vero che Vannino Chiti ha offerto un dialogo alla Lega, la Lega Nord, quella di Bossi e del tricolore nel cesso, quella di Calderoli e delle forbici da giardiniere per immigrati, quella di Borghezio, che ha dato fuoco a dei poveretti che dormivano sotto i ponti a Torino, quella di Gentilini, sindaco e prosindaco della ricca ma disonorata Treviso, dove va parlando di vagoni piombati e di trattamento da cacciagione per i lavoratori che a lui non sembrano veneti. Non so se sia vero che ha detto, come riporta La Padania del 16 novembre in prima pagina, «spero che diventi come il partito catalano. Utile al Paese e anche al centrosinistra».
So, per testimonianza oculare, che quello stesso 16 novembre, al Senato, i due leghisti Castelli e Calderoli si sono impegnati a staffetta per mostrare quanto si possa essere volgari nei confronti del Premio Nobel Senatore a vita Rita Levi Montalcini e dei due ex Presidenti della Repubblica Ciampi e Cossiga. Sia chiaro che i due non erano isolati in un’aula in cui destra e sinistra condividevano costernazione per un simile comportamento, molto al di là di ogni possibile polemica o scontro parlamentare, una vera piazzata.
Lo spettacolo era questo. Buona parte della intera ex Casa delle Libertà era in piedi a urlare insulti ai Senatori a vita (il grido più mite era «vergogna, vergogna»), salvo alcuni di cui vedevi bene disagio e imbarazzo e la voglia di essere altrove.
Vorrei spiegare la ragione del senso di disorientamento che si prova in un Senato che diventa improvvisamente violento, mentre sono disponibili tutte le possibilità espressive, incluso, ovviamente, il più netto dissenso.
Nonostante l’ordine del giorno recasse l’approvazione urgente di una legge (che infatti non si è potuta approvare), il presidente Marini ha dato la parola a ciascun gruppo (misteriosamente, due per i leghisti).
Nonostante il livello imbarazzante del comportamento, non c’è stato, anche per l’esperienza ormai maturata nel centrosinistra, alcun tentativo di cadere nella trappola della controdimostrazione.
Nonostante la clamorosa divaricazione fra le opinioni dei Senatori comizianti e quanto è scritto nella Costituzione e nel regolamento del Senato, le disperate corde vocali dei nostri oppositori continuavano a urlarci che i Senatori a vita non hanno diritto di voto, come se fossero privi dei diritti civili.
Nonostante l’intervento netto di Anna Finocchiaro, capogruppo dell’Ulivo, avesse fatto notare che i nostri oppositori erano stati battuti anche senza contare gli onorati e graditissimi voti dei Senatori a vita, la manifestazione di alta inciviltà è continuata a lungo mentre dalle tribune il pubblico (di solito scuole e visitatori stranieri) si affaccciava incredulo o temeva il colpo di Stato.
Ci sono in questa storia alcuni dettagli particolarmente sgradevoli. Uno è che, più ancora di quanto non si noti in televisione, l’aula del Senato è piuttosto piccola. I Senatori a vita siedono davanti, in un banco nell’emiciclo. In questo modo, come in un film espressionista, le facce stravolte di coloro che gridano e conducono l’insensata rivolta ti appaiono di fronte e a pochi metri, aggiungendo alla scena sgradevole uno spunto di particolare imbarazzo.
Scene del genere erano tipiche ai tempi del "Teatro dell’assurdo" da Genet a Pinter, dal Living Theatre all’Open Theatre. Raramente (diciamo pure: mai) avvengono in quella Camera Alta che esiste in molte democrazie e che si chiama Senato. Che sia per questo - ovvero, conoscendo se stessi - che gli uomini di Berlusconi si erano dati da fare per ridurre il Senato a un accampamento di leghisti?
Ma c’è un fatto in più e vale la pena di ricordarlo. Il Senatore di An Ramponi aveva chiesto fin dall’inizio della seduta di parlare a proposito di allarmanti notizie sul riarmo del Libano. Quando ha parlato, si è capito che si trattava di una comunicazione importante. Ma ha parlato alla fine della mattina. Il rischio del Libano e la notizia di nuovi passaggi di armi ha dovuto aspettare che, da Storace in là, quella parte del Senato esponesse, con strati di urla sovrapposte, il concetto che i Senatori a vita non devono sapere, pensare. Possono, eventualmente, parlare nelle ricorrenze.
Purtroppo le televisioni dipendono, per le riprese, dalle telecamere di tipo bancario del Senato. Altrimenti sarebbe stato interessante suggerire un montaggio in cui le immagini della manifestazione urlata che si è autonegata ogni buon senso, si alternano con i volti di Rita Levi Montalcini, di Carlo Azeglio Ciampi, di Francesco Cossiga.
Erano tre espressioni diverse. Cossiga appariva ironico e aveva infatti di riserva un breve discorso per ciò che pensava dello "happening". Ciampi era incredulo. Rita Levi Montalcini sorrideva, non tanto agli urlatori stremati quanto a qualche suo pensiero un po’ più meritevole di attenzione.
Ma resta la frase attribuita a Chiti. A chi avrà pensato parlando di "partito catalano" e dunque di persone che erano già attive negli ultimi anni del franchismo, uniti dall’impegno di creare insieme democrazia e autonomia?
Quelli di noi che li hanno conosciuti ai tempi in cui il Gruppo 63 si riuniva a Barcellona, ricordano ammirazione e invidia. Cosa c’è di catalano nel gridare «vergogna» a Rita Levi Montalcini?
S’intende che capisco l’ansia di Chiti. È - come accade nei brutti momenti - la speranza di un miracolo. Questo miracolo in Senato, finora, non è accaduto.
* l’Unità, 17.11.2006