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Al di là della “concezione edipica del tempo”(Vattimo).

LA FENOMENOLOGIA DELLO SPIRITO DEI "DUE SOLI". Con la morte di Giovanni Paolo II, il Libro è stato chiuso. Si ri-apre la DIVINA COMMEDIA, finalmente!!! DANTE "corre" fortissimo, supera i secoli, e oltrepassa HEGEL - Ratzinger e Habermas!!! MARX, come VIRGILIO, gli fa strada e lo segue. Contro il disfattismo, un’indicazione e un’ipotesi di ri-lettura. AUGURI ITALIA!!!

Solo con Giuseppe, Maria è Maria e Gesù è Gesù. Questa la fine della "tragedia", e l’inizio della " Divina Commedia"!!! LA "SACRA FAMIGLIA" DELLA GERARCHIA CATTOLICO-ROMANA E’ ZOPPA E CIECA: IL FIGLIO HA PRESO IL POSTO DEL PADRE "GIUSEPPE" E DELLO STESSO "PADRE NOSTRO" ... E CONTINUA A "GIRARE" IL SUO FILM PRE-ISTORICO PREFERITO, "IL PADRINO"!!!
domenica 24 giugno 2007 di Federico La Sala
[...] Per chi è diventato come Cristo, un nuovo re di giustizia e un nuovo sacerdote, non resta che denunciare tutta la falsità (non della donazione, ma) delle fondamenta stesse dell’intera costruzione teologico-politica della Chiesa di Costantino - e re-indicare la direzione eu-angélica a tutti gli esseri umani, a tutta l’umanità!!! Per sé e per tutti gli esseri umani, Dante ha ri-trovato la strada: ha saputo valicare Scilla e Cariddi, andare oltre le colonne d’Ercole ... e non restare (...)

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> DANTE "corre" fortissimo, supera i secoli, e oltrepassa HEGEL - Ratzinger e Habermas!!! --- Quando Benedetto XV disse: “Riabilitiamo Dante è il sommo poeta cattolico” (di Lucio Villari).

sabato 8 novembre 2014

Quando il Papa disse

“Riabilitiamo Dante è il sommo poeta cattolico”

In un’enciclica del 1921, Benedetto XV rivendicava la fede della “Commedia”, nonostante le dure critiche alla Chiesa. Anticipando alcune aperture di Bergoglio

-  Oggi alle 11 alla Casa di Dante (Roma)viene presentata la Comedia di Dante con figure dipinte della Casa di Dante (editrice Salerno)
-  Presente Gianfranco Ravasi
-  Domani alle 11 Lectio Dantis e conferenza di Massimo Cacciari

di Lucio Villari (la Repubblica, 08.11.2014)

IL 30 aprile 1921, in un dopoguerra di inquietudini, fu resa nota agli italiani una enciclica dal contenuto inatteso. Era dedicata a un poeta ed era firmata da Benedetto XV, un pontefice di grande intelligenza politica (aveva denunciato «l’inutile strage» della Prima guerra mondiale). Il poeta era Dante, che, dopo secoli di dissenso, la Chiesa intendeva riabilitare. L’enciclica In praeclara summorum è un inedito omaggio alla religiosità cattolica di Dante, ma con allusioni precise alla forza intellettuale della critica dantesca ai poteri della Chiesa, la volontà di potenza dei papi, del clero corrotto.

Era una riappropriazione, forse sperata da tempo in qualche segmento del cattolicesimo, ma rinviata dopo la piena rivendicazione dell’opera teorica e della poesia di Dante, vettori di libertà e verità per la “nazione” italiana, da parte della cultura liberale e democratica e di tutte le strutture ideali del Risorgimento. La nuova libertà d’Italia era modellata anche sul rifiuto di Dante dei tanti poteri fraudolenti della Chiesa, temporale e non.
-  Benedetto XV non sapeva che otto anni dopo, nel 1929, il suo successore avrebbe firmato cinicamente con lo Stato fascista un patto illiberale. Ma da uomo di cultura Benedetto XV - che per qualche aspetto pare precorrere le aperture di papa Francesco - aveva intuito che un eventuale superamento di quel dissidio non poteva non passare attraverso un dialogo con Dante.

Il papa parla di un uomo che crede in Dio e in una Chiesa degna del suo ruolo universale, ma che apre un varco alla critica storica della Chiesa. Dante lascia nel canto XI del Paradiso il più grande elogio della povertà e della “mirabil vita” di san Francesco e nel XXVII la più veemente invettiva di san Pietro contro le degenerazioni della Chiesa e della figura stessa del papa.

L’enciclica non poteva ignorare tutto questo, ma il testo rivela una certa sofferenza di composizione. “Oltre” l’ideologia c’è, secondo il pontefice, nel solo valore estetico della poesia di Dante il varco aperto verso la dottrina cattolica: «Mentre non è scarso il numero dei grandi poeti cattolici che uniscono l’utile al dilettevole, in Dante è singolare il fatto che, affascinando il lettore con la varietà delle immagini, con la vivezza dei colori, con la grandiosità delle espressioni e dei pensieri, lo trascina all’amore della cristiana sapienza. [...]. Perciò egli, quantunque separato da noi da un intervallo di secoli, conserva ancora la freschezza di un poeta dell’età nostra, e certamente è assai più moderno di certi vati recenti».

In questo tentativo vi erano delle intenzioni precise. Le parole dell’enciclica riguardavano proprio il clima filosofico e politico italiano di quegli anni, contrassegnati non solo dal superstite Modernismo ma dalla sempre più incisiva presenza del pensiero di Benedetto Croce e della progressiva laicizzazione della pubblica istruzione. Il confronto culturale tra la cultura cattolica e quella liberale e laica stava dunque per divenire una sfida ai più alti livelli. Dante poteva perciò essere una prima trincea della dottrina cristiana posta sul terreno fino a quel momento occupato da un Dante laico e risorgimentale.
-  Bisognava fare della Divina Commedia una testimonianza di fede. Di qui l’affondo operativo: «Poiché sebbene in qualche luogo il “poema sacro” non sia tenuto lontano dalle scuole pubbliche e sia anzi annoverato fra i libri che devono essere più studiati, esso però non suole recare ai giovani quel vitale nutrimento che è destinato a produrre, in quanto essi, per l’indirizzo difettoso degli studi, non sono disposti verso la verità della fede come sarebbe necessario».

Pochi mesi prima della pubblicazione dell’enciclica, nel settembre 1920, Croce dava alle stampe La poesia di Dante. Questo saggio sarà per anni al centro di ampie discussioni critiche, ma quel che contava in quel momento per la Chiesa è che Croce era ministro della Pubblica istruzione e che il metodo crociano apriva prospettive pedagogiche molto diverse da quelle sperate da Benedetto XV. Le istruzioni alla lettura di Dante del ministro Croce erano nette.

L’enciclica avrebbe dovuto essere una prima, immediata risposta a queste istruzioni? C’è da pensarlo. Soprattutto leggendo questo passaggio: «La sua Commedia, che meritatamente ebbe il titolo di divina, pur nelle varie finzioni simboliche e nei ricordi della vita dei mortali sulla terra, ad altro fine non mira se non a glorificare la giustizia e la provvidenza di Dio». Al contrario di quanto si possa immaginare, questo discorso così problematico intorno a Dante è ancora aperto, nella ricerca storica ed estetica e in quella teologica. L’umano e il divino dantesco si fronteggiano sempre e attendono risposte rinnovate.


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