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SCIOPERO DEI GIORNALISTI ...LIBERTA’ DI STAMPA E DEMOCRAZIA IN PERICOLO. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “Il rinnovo del contratto dei giornalisti è un diritto primario”. Serventi Longhi: "Parole come pietre". Siddi: "Viva gratitudine al Capo dello Stato". E il grido d’allarme di Furio Colombo.

giovedì 16 novembre 2006 di Federico La Sala
[...] Se i titolari dell’imprese editoriali continueranno a negare non solo il diritto alla contrattazione ma anche il diritto al confronto tra parti sociali, anche a fronte dell’alto messaggio del Presidente della Repubblica, vorrà dire che occorrerà aprire una seria e severa riflessione nel Paese sul venir meno di una funzione fondamentale degli editori che, in tal caso sarebbero avviati verso la via, pubblicamente insostenibile, dell’irresponsabilità sociale.
La tutela di un bene (...)

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> SCIOPERO DEI GIORNALISTI ... E DEMOCRAZIA IN PERICOLO. Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: “Il rinnovo del contratto dei giornalisti è un diritto primario”. Serventi Longhi: "Parole come pietre". Siddi: "Viva gratitudine al Capo dello Stato". E il grido d’allarme di Furio Colombo.

sabato 14 aprile 2007

Il parto difficile della libertà di stampa

di Tonino Cassarà *

A notte fonda, in un’Aula drammaticamente spaccata a metà, il 14 aprile 1947, veniva approvato l’Art. 16, attuale Art. 21, della Costituzione. Nella storia dell’Assemblea Costituente, per nessun altro argomento, neppure nel caso del famigerato Art. 7, si assisterà alle polemiche e alle lacerazioni che caratterizzarono il dibattito e l’approvazione all’articolo che avrebbe sancito la Libertà di stampa. D’altra parte, che i lavori relativi ad un tema così delicato sarebbero stati segnati da aspri scontri, lo si era capito già il 26 settembre del ’46 quando per la prima volta l’Assemblea aveva trattato dei princìpi che avrebbero regolato la libera espressione del pensiero. Sin da quel momento era stata infatti palese la contrapposizione fra chi, le destre e una parte della democrazia cristiana, sosteneva il mero principio ottocentesco, basato su quella che la giurisprudenza definisce «libertà negativa», di una stampa libera e di una legge che ne reprime gli abusi, e chi al contrario, la quasi totalità della sinistra e democristiani di grande prestigio come Fanfani e Gronchi, riteneva irrinunciabile far prevalere i princìpi di «libertà positiva» perché, come ebbe a dire Togliatti nella seduta del 27 settembre: «L’astratto principio della libertà di stampa non può più essere accettato.

Il principio della libertà di stampa mette sullo stesso piano l’onesto organo di informazione e lo strumento che viene creato da colui che ha accumulato ricchezze, e si serve di queste ricchezze per disorganizzare la vita economica e sociale del paese... Ormai si è usciti dal periodo del liberalismo ed è bene che si introduca nella Costituzione una formula che dia al legislatore la possibilità di disporre cautele finanziarie e controlli sugli organi di stampa». Per i sostenitori degli aspetti di «libertà positiva» si trattava insomma di affiancare alla dichiarazione di principio anche una serie di garanzie affinché vi potesse essere un controllo sulle fonti di finanziamento e sulla veridicità delle notizie, che impedisse a gruppi finanziari di manipolare il mondo dell’informazione e al contempo assicurasse a tutti l’effettiva possibilità di godere del diritto sancito. A questo proposito è significativo l’emendamento, rigettato dall’Assemblea, presentato da Fanfani e Gronchi nella seduta del 14 aprile ’47: «Per garantire a tutti i cittadini l’effettivo esercizio di questo diritto, la legge può regolare l’utilizzazione delle imprese tipografiche e di radiodiffusione». E l’Unità di martedì 15 aprile, commentando l’articolo appena approvato, scriveva: «La libertà di stampa deve significare la possibilità completa e reale per tutti di elevare una libera voce», e per «proteggere la nuova democrazia italiana dal pericolo d’una stampa che tenti di trarla nelle tenebre» è necessario «che la carta e gli impianti tipografici non siano monopolio di pochi».

L’Azionista Schiavetti, nella seduta del 28 marzo, era andato oltre, sottolineando come le forme di tutela della stampa non potessero però prescindere dall’indipendenza della professione: «Una tutela che può essere esercitata in certi casi dagli stessi organismi del giornalismo organizzato; la stampa deve difendere la propria indipendenza e la propria dignità anche contro la potenza del denaro, contro le minoranze plutocratiche faziose». Dall’altra parte c’era però chi, come Andreotti, riteneva che dal punto di vista economico «il controllo finanziario» era da considerarsi un assurdo e per questo «i finanziamenti delle banche o dei privati» non dovevano essere letti come «un’offesa alla libertà di stampa, bensì come una sua forma di tutela».

Lo scontro più duro si ebbe però sul quarto comma, quello relativo al sequestro di polizia. Fu su questo punto che saltarono infatti i tradizionali schemi fra gli schieramenti e ci si trovò di fronte ad un’Assemblea dove non era più possibile, anche fisicamente, distinguere la destra dalla sinistra. Tanto che La nuova Stampa, il giorno successivo titolava: «Le alleanze dei partiti nella battaglia per la stampa»: «Per quanto riguarda il quarto comma abbiamo avuto i democristiani ed i comunisti uniti contro il resto dell’Assemblea. Questa divisione è stata materialmente evidente perché la votazione è avvenuta per separazione ed i democristiani hanno dovuto abbandonare il proprio settore per unirsi ai comunisti, mentre i socialisti si sono spostati vero la destra. L’opposizione occasionale formata dai socialisti fusionisti, saragatiani, azionisti, repubblicani e demolaburisti, oltre ai monarchici, liberali e qualunquisti, ha mal sofferto l’approvazione di questo comma ed ha voluto continuare a sedere sui banchi della destra durante il proseguimento della discussione».

Era successo che nella seduta antimeridiana, da ogni settore dell’Assemblea era stata presentata una lunga serie di emendamenti sul quarto comma. La Commissione ne aveva quindi accettato la soppressione, ma un gruppo congiunto di sei commissari democristiani e cinque comunisti aveva presentato al presidente un ulteriore emendamento che venne sottoposto dell’Assemblea; evidentemente si trattava di un estremo tentativo, poi riuscito, di salvare quel comma che avrebbe dovuto permettere la possibilità del sequestro non solo all’Autorità giudiziaria. La vittoria democristiana e comunista aveva però scatenato le ire del resto dell’Assemblea e una dura polemica che si sarebbe trascinata per mesi sulla stampa. Sul Corriere della Sera del 16 aprile, in un articolo di durissimo attacco a comunisti e democristiani, si legge: «Hanno vinto con 189 voti... dopo aver suscitato una reazione che non prevedevano, hanno l’aria di volersi far perdonare la loro vittoria. Forse è esagerato dire, come qualcuno disse alla Camera che la libertà di stampa era stata uccisa. Certo è stata, e seriamente, ferita».

Il 18 aprile il Popolo Nuovo, rispondeva alle critiche con un editoriale: «Si accusa un preteso connubio democristiano-comunista, si oppone un fronte liberale ad una pretesa coalizione illiberale dei due partiti “sfondo apertamente confessionale”, si tenta di trasformare un fondamentale problema di libertà in un complesso di manovre di partiti, che ne rimpiccioliscono il valore». Il quotidiano della Dc sottolineava come i grandi problemi della stampa stessero sì nel salvaguardare la libertà e nel reprimere gli abusi, ma essi stavano anche nel cercare una salvaguardia dal capitale, nel cercare di dare a tutti la possibilità di far sentire la propria voce e non ultimo nel cercare di limitare il potere dei gruppi finanziari nella manipolazione delle opinioni. Nel leggere gli atti dell’Assemblea Costituente relativi a quel dibattito, si ha come l’impressione che democristiani, comunisti e socialisti fossero spesso guidati dal timore che in futuro qualsiasi tipo di regime avrebbe potuto servirsi dell’eventuale genericità della norma per violare il diritto. Un fatto questo che li spinse probabilmente ad operare una scelta di libertà rinchiusa entro il recinto della paura della piena libertà. In sostanza si preferì una sicura libertà limitata ad una forse più ampia ma meno certa. Eppure malgrado quelle scelte sofferte non sembra che a sessant’anni di distanza quelle garanzie tanto care ai costituenti abbiano trovato effettivo riconoscimento.

* l’Unità, Pubblicato il: 14.04.07, Modificato il: 14.04.07 alle ore 12.19


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