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Per una buona economia - domestica....

GOVERNO-PRODI : UNA FINANZIARIA PER L’ITALIA E PER L’EUROPA. Un "segnale" (piccolo, ma segnale): il premier e i ministri si sono ridotti del 30% le loro indennità.

domenica 1 ottobre 2006 di Federico La Sala
[...] Il premier ha parlato della "più grande redistribuzione di risorse mai fatta da un governo: i poveri - ha spiegato - diventeranno un po’ meno poveri. Il contrario di quello che stava accadendo. Aiuteremo chi ha meno". Padoa Schioppa l’ha spiegata, più tecnicamente, così: "Abbiamo puntato su tre obiettivi: portare i conti dello Stato fuori dalla zona di pericolo, ridistribuire risorse e aprire una prospettiva di sviluppo. Le mani nelle tasche degli italiani? Non è vero: c’è una (...)

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mercoledì 25 ottobre 2006

Sacco e Vanzetti a Palazzo Chigi *

di Furio Colombo *

La sinistra italiana ha i suoi punti forti. Quando si tratta di Resistenza (che vuol dire la Liberazione del Paese dal fascismo e da tutti i«valori» del fascismo) che aveva degradato l’Italia e gli italiani, può contare su Giampaolo Pansa.

La sua collezione di malefatte dell’antifascismo è così ricca che avremo presto il cofanetto con le tre opere complete, note a piè di pagina e tutto (anche se ci sono dei «massimalisti» dell’antifascismo, che preferiscono tenersi accanto «Il libro della Memoria» di Liliana Picciotto Fargion).

Quando si tratta di economia, la sinistra può fare affidamento su Luca Ricolfi, che userà due espedienti. Il primo è di dire «noi», per dire «noi di sinistra». Il secondo è di elencare tutte le cose sciagurate, sbagliate, disastrose che noi di sinistra stiamo facendo. Prima (ai tempi dell’opposizione) per dire al popolo di sinistra (soprattutto quello dei girotondi) che «così con l’antiberlusconismo non vinceremo mai».

Poi, una volta al governo, per proporre severe domande, tipo «come possiamo credere nelle promesse di modernizzazione del Paese se, una volta giunti al governo, i modernizzatori non colgono l’occasione per passare dalle parole ai fatti?» (La Stampa, 22 ottobre).

Ricolfi si rende conto che deve stare al gioco, e che è un gioco non facile. Se per Pansa un bel po’ di partigiani ci hanno fatto credere che si facevano torturare per liberare l’Italia ma invece erano assassini belli e buoni di preti e di brave famiglie, Ricolfi ti fa notare che la maggioranza è zavorrata di teste calde di sinistra che fanno blocco contro la modernizzazione. Qui non si tratta di avere dubbi o riserve su una Finanziaria che non conosci e che si sta ancora componendo. Qui si tratta di sparare subito, prima di fare domande. E infatti: «Merito, rischio, responsabilità, individuo, mercato, liberalizzazioni, concorrenza. Come non vedere che le parole chiave sono ignorate, calpestate, umiliate dall’impianto della Finanziaria?».

Ricolfi ha il merito di condurci nel cuore del più straordinario dibattito che si sia mai scatenato intorno a una legge finanziaria che non c’è ancora, una battaglia «di sinistra» così vigorosa da spiazzare la nostra pur accanita opposizione. Infatti, per quanto si scateni la piazza di Vicenza con i suoi diecimila indomiti (finora la piazza più piccola che sia mai stata richiamata dalla presenza di Berlusconi in persona, benché, ci assicura con un tocco di volgarità Umberto Bossi, sia una piazza di gente «dura») la botta è modesta rispetto alla danza delle cinque posizioni che si rianima continuamente intorno a Prodi, a Padoa-Schioppa, a Visco, a Bersani, che nella vita sono persone moderate che più moderato non si può; ma che ci vengono descritte come parecchio più a sinistra del subcomandante Marcos. A confronto con loro il movimento del Chapas è un seminario vescovile, e Hugo Chavez è un pacato borghese.

I protagonisti delle cinque posizioni prendono lo slancio dal testo Bibbia di Angelo Panebianco, un politologo che vede tra le cose ciò che gli altri non vedono. Per esempio: «Per capire la Finanziaria bisogna sempre rammentare che la maggioranza (cioè quel «noi» angosciato di cui ci parla Luca Ricolfi) ha un baricentro interno fortemente spostato a sinistra (...). E quando le componenti moderate si indeboliscono troppo, il sistema bipolare finisce per autodistruggersi. Credo anch’io che sia in atto un complotto. Nasce dalla natura delle cose, dalla perversa conformazione degli attuali equilibri politici».

In un normale giornalismo ci sarebbe un problema: su quali fatti basare questi commenti. Da noi la preoccupazione su questo argomento non è che una lagna dei fanatici del giornalismo americano. E comunque ci siamo abituati, in cinque anni di berlusconismo, che quello che conta è dire e far dire le cose che vuoi in tutte le occasioni e in tutte le televisioni possibili, finché sempre più gente ci crede. Lo scostamento dei fatti ormai non preoccupa più nessuno. Primo esempio, ovvero, prima posizione: Basta tasse. Non possiamo avere una Finanziaria tutta di tasse. Giornalisticamente, prima ancora che politicamente la domanda è: tasse? Si potrebbe avere un elenco, una indicazione del dove, come, quando, del perché risulta un aumento della imposizione fiscale sugli italiani?

Invece, insieme a Ricolfi, siamo «noi», l’indomito centrosinistra a dire che la Finanziaria ci porterà «troppe tasse». Sacrosanta preoccupazione. Ma si potrebbe avere un elenco di queste tasse? E come averlo prima di avere il testo della Finanziaria? E come mai diciamo con foga le stesse cose di Berlusconi, Tremonti e Brunetta?

La seconda posizione è quella che tiene lezioni all’aperto sulla modernizzazione. È una strana parola, che non è mai ambientata in un prima o in un dopo. È più moderno avere un posto di lavoro o non averlo? È più moderno avere una vita da precario o una attività con qualche realistica prospettiva di continuità? È più moderno che i lavoratori siano rappresentati da solidi sindacati (come datori di lavoro) o che ognuno se la veda da solo, uno contro tutti?

Gira e rigira, la parola modernizzazione sembra sempre voler dire che un bravo minatore è più moderno se va in pensione a 70 anni che a 65, e se ci va due o tre anni dopo, è ancora più moderno.

La terza posizione fa capo al seminario Glocus di Linda Lanzillotta. È una brava, competente in tante cose, ma come lasciarsi sfuggire l’occasione per mostrare quanto sia amputata di valori moderni la Finanziaria dei nuovi Sacco e Vanzetti, noti alla polemica giornalistica italiana come i massimalisti Prodi e Padoa-Schioppa? E qui si apre il festival della meritocrazia. Come è noto Prodi, all’Università quando insegna, era solito dare agli studenti il "voto proletario", 30 per tutti. E Padoa-Schioppa è arrivato dove è arrivato per scorciatoie e favoritismi.

Perciò i due, aiutati dai malintenzionati Bersani e Visco, a cui il merito e il valore individuale un po’ fa schifo, hanno scritto una legge che sta tutta dalla parte dei mugiki e mette alla fame la borghesia produttrice.

È vero, la sinistra non si priva di niente, neppure dell’intelligentissimo appello «Facciamo piangere i ricchi», tanto per dare un fondamento alle tesi di Luca Ricolfi e persino al più distante Angelo Panebianco.

Però è qui, nel Glocus di Lanzillotta, che avviene il «Renaissance Festival» dove danzano le parole merito, rischio, responsabilità, individuo, mercato, liberalizzazioni, concorrenza.

Infatti diventa interessante chiedersi: dove, in che punto, nel mondo devastato da Berlusconi, Sacco e Vanzetti detti anche Prodi e Padoa-Schioppa, sono venuti meno al merito o alla responsabilità? Di sicuro i due mencevichi hanno notato il rischio che è quasi l’unica cosa che ci ha lasciato l’economia di Tremonti. Rischio di bancarotta.

La quarta posizione è Montezemolo. Quando ha visto che a sinistra, in tanti, anche con nome e prestigio, si stavano dando da fare nella danza intorno alla Finanziaria della sinistra radicale, ha alzato la voce. E qui, a una persona rispettabile come lui (impossibile dimenticare che un giorno non lontano in quel posto, a nome e per conto di Berlusconi c’era Antonio D’Amato che organizzava direttamente comizi per l’uomo di Arcore in Confindustria) diventa inevitabile domandare se non sapeva che la sera di lunedì 23 ottobre si sarebbe incontrato con Sacco e Vanzetti e anche con i sindacati di Lenin-Epifani, per siglare insieme un grande e pacifico accordo. Non lo sapeva e ha fatto un discorso da ultimo giorno? Eppure l’accordo era già pronto. Avrà pensato: se fanno lo spettacolo fior di ministri, come se non fossero stati presenti alla discussione sulla legge, perché non lo dovrei fare io? Ormai si è capito che chi non dice le cose peggiori, non solleva i peggiori sospetti e non lancia adeguati insulti contro questa Finanziaria di tasse-rovina, non conta nulla.

Bisogna attaccare da amici e da vicino. «Noi», come dice Ricolfi. Altrimenti sarebbe come tentare di demolire la Resistenza dalla parte di Tremaglia. Che gusto c’è? Non fai notizia e non fai il best seller.

La quinta posizione è la sola che mi sembra civile e utile. È quella del «tavolo dei volonterosi» messo su da Daniele Capezzone, perché si tratta di una destra pulita e decente che, per poter vivere e funzionare e far valere le proprie idee, si è messa a sinistra. Come testimonianza sul nostro tempo non è poca cosa e meriterebbe ben altra attenzione.

Capezzone tenta di correggere un problema enorme: come fa a esserci una sinistra solida, coraggiosa, orgogliosa di se stessa e carica di idee di sinistra, se non c’è una destra altrettanto coraggiosa, solida e rispettabile? Capezzone sta tentando il miracolo. E proprio per questo non capisco perché sia andato a cercare il confronto con la Casa delle Libertà, proprio nella stagione in cui del «dialogo» ti parlano tutti, ma poi li trovi in strada a Vicenza a fischiare Mameli, il capo dello Stato, l’unità d’Italia, e a fare l’elogio delle parti dure dei leghisti.

Proprio l’impegno dei Radicali nella Rosa nel pugno li vincolerebbe, secondo me, alla loro straordinaria intuizione: la destra in questo Paese, dopo Berlusconi, si può fare solo a sinistra, per far rinascere coerenza e decenza e stare alla larga dal conflitto di interessi. Poi si vedrà come ridefinire i ruoli e le parti, una volta pulito l’orizzonte dalla montagna di scorie ancora attive lasciate da quell’altra destra che non esiste altrove nel mondo. Infatti Berlusconi è unico e nessuno in Europa si farebbe vedere in giro con lui, con Calderoli e Castelli.

Quanto a Sacco e Vanzetti e Lenin, travestiti da Prodi e Padoa-Schioppa ed Epifani, intenti a nazionalizzare tutto e a tassare tutto, sarà interessante (e anche tristemente divertente) notare come si riorganizzeranno gli editorialisti quando la Finanziaria sarà stata conosciuta dagli italiani, approvata in Europa e l’Italia comincerà a risalire dalla fossa.

Immagino che Ricolfi comincerà così: «Noi della sinistra non siamo di certo fra coloro che pensano che una buona legge fa un buon governo. Eh, cari miei, non basta. Un buon governo dovrà smettere di calpestare merito, rischio, responsabilità, individuo, mercato, liberalizzazioni, concorrenza...». Quando si è così fieramente di sinistra non c’è bisogno di ulteriori precisazioni. Prima o poi, infatti, arriverà il coraggioso editoriale di cui tutti siamo in attesa per cominciare la Modernizzazione. Titolo: «Adesso per favore basta col Primo Maggio».

*

www.unita.it, Pubblicato il: 25.10.06 Modificato il: 25.10.06 alle ore 10.06


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