Inviare un messaggio

In risposta a:
Attenzione alla tigre con le spalle al muro (I. Wallerstein)

U.S.A.: GEORGE BUSH SI PREPARA ALLA TERZA GUERRA !!! L’appello di Dave Lindorff: FERMIAMOLO !!!!!

lunedì 2 ottobre 2006 di Federico La Sala
[...]Il problema è che Bush, il quale ha fatto spazzatura della Costituzione al punto che essa viene ora considerata poco più di un manufatto storico, non ha bisogno dell’approvazione delle Nazioni Unite o del Congresso per imbarcarsi in un’altra guerra sanguinosa ed immorale.
Secondo l’accreditato criminale che siede alla Casa Bianca (e lo dico perché Bush è stato riconosciuto colpevole dalla Corte Suprema statunitense di violazione degli Statuti sui crimini di guerra, e da una Corte (...)

In risposta a:

> U.S.A.: GEORGE BUSH SI PREPARA ALLA TERZA GUERRA !!! L’appello di Dave Lindorff: FERMIAMOLO !!!!!

lunedì 16 ottobre 2006

Il 7 novembre si vota. Repubblicani in calo

Battere Bush è la via d’uscita per l’America

di Piero Sansonetti (Liberazione, 15.10.2006)

New York . I sondaggi elettorali dicono che i repubblicani perderanno le elezioni di novembre. L’ultimo sondaggio, pubblicato un paio di giorni fa su Usa Today e curato dalla Gallup, non lascia molte speranze ai conservatori. Spiega che negli ultimi 20-25 giorni il consenso intorno al partito di Bush si è sgretolato, ridotto al minimo, tutto a vantaggio del partito democratico che - sebbene abbia pochi meriti, poche idee, pochi programmi, pochi leader - potrebbe ottenere, senza muovere un dito, una vittoria politica che gli mancava da 10 anni, cioè dall’ultima elezione di Bill Clinton, nel ’96. E addirittura, dopo 16 anni, i democratici potrebbero recuparare il controllo della Camera e del Senato che avevano perso rovinosamente nel ’94 (anno della vera e propria svolta a destra negli Stati Uniti, svolta che non si fermò, di fatto, neppure con la vittoria di Clinton del ’96, perché quella fu una vittoria del presidente e del suo carisma, ma non certo della sua politica riformatrice, cioè del vento innovatore del ’92 che fu sbarrato e cancellato insieme ai tentativi di riforma sanitaria e di sviluppo del welfare).

I dati dei sondaggi sono clamorosi: il 16 settembre repubblicani e democratici erano accreditati della stessa forza elettorale: 48 per cento ciascuno. Oggi, alla domanda classica («Se dovessi votare in questo momento per chi voteresti?») il 36 per cento dei probabili votanti risponde repubblicano mentre il 59 per cento risponde democratico. I repubblicani perdono 12 punti secchi in poco più di tre settimane, più o meno mezzo punto al giorno: una frana.

Naturalmente poi bisognerà vedere come questo orientamento si tradurrà in seggi, dato il complicato sistema elettorale americano (del quale parleremo tra poco); e perciò la battaglia è ancora aperta e i repubblicani tenteranno una rimonta almeno per difendere la maggioranza in Senato.

L’aspetto di questi dati Gallup che più ha stupito gli osservatori politici, è che la condanna nella politica di Bush è generale. Cioè riguarda tutto lo spettro delle sue scelte: l’Iraq, le capacità di governo, il programma, l’affidabilità del suo ceto politico, l’economia, la dirittura morale. In genere i sondaggi in questi casi sono sempre molto altalenanti, e mostrano dei campi nel quali i repubblicani sono considerati migliori dei democratici e viceversa. Stavolta il giudizio è netto, univoco. E’ una bocciatura solenne.

I punti dolenti, i più dolenti, comunque sono due. La guerra e la questione etica. Fino a metà settembre l’opinione pubblica americana era divisa a metà sulla questione Iraq. Una parte riteneva che fosse stato fatto uno sbaglio nel decidere la guerra, l’altra che fosse stata fatta la scelta giusta. Oggi il 56 per cento pensa che la guerra sia stata un errore e solo il 40 per cento la difende.

Il giornalista che rovinò Nixon sta rovinando Bush

Un libro di Bob Woodward - quello che scoprì lo scandalo Watergate - descrive la Casa Bianca come un collegio di goliardi: e i sondaggi dicono che i repubblicani il 7 novembre perderanno Camera e Senato di Piero Sansonetti

La questione etica invece riguarda i soliti affari di sesso, che avvelenano sempre le campagne elettorali americane, e che a un osservatore europeo provocano un po’ di commiserazione e di ironia. C’è la storia di un disgraziato deputato repubblicano della Florida, Mark Foley, che è stato beccato mentre mandava lettere d’amore, via internet, a una adolescente, cioè a un ragazzo di 17 anni (solo lettere, nient’altro: lettere salaci) ed è stato messo in croce. Lo hanno fatto dimettere da deputato, hanno chiesto una legge speciale per impedirgli di prendere la pensione (lo vogliono alla fame) e ora sollecitano anche le dimissioni del presidente dei deputati repubblicani, Dennis Hastert, il quale avrebbe in qualche modo cercato di coprire l’amico invece di denunciare l’ignominia a gran voce e prenderlo a calci nel sedere. I giornali gridano: pedofilia, pedofilia! E il contraccolpo elettorale è forte. Sarebbe per la verità un paradosso che, alla fine, la destra fosse sconfitta sull’onda di una campagna puritana. Ma l’America è proprio così: in fondo nessuno rimprovera a Foley il suo romantico innammoramento per un grazioso studentello che faceva lo stagista alla Camera; gli rimproverano di avere fatto sempre battaglie contro la pedofilia mentre covava un amore tanto turpe... L’ipocrisia, l’ipocrisia, come fu per Clinton e Monica otto anni fa, o per quel play boy di Gary Hart dieci anni prima (lo ricordate il bel Hary che doveva succedere a Reagan e finì rovinato da una fidanzata negata?)

Ma non è solo il caso Foley a turbare la campagna elettorale e a risultare così indigesto a Bush. C’è un rompiscatole che in America è il rompiscatole per antonomasia. Si chiama Bob Woodward, è un giornalista un po’ più che sessantenne del “Washington Post”, ed è quello che 32 anni fa rovinò Nixon scoprendo lo scandalo del Watergate e portando il Presidente alle dimissioni. Bob è conosciuto in tutto il mondo con il volto di Dustin Hoffman, che lo interpretò nel film famosissimo (“tutti gli uomini del presidente”) dedicato a ricostruire la storia di quello scandalo. Non gli è bastato affondare Nixon ora ci prova con Bush. Il suo libro, “State of Denial” (vuol dire “stato del diniego” e si riferisce alle bugie della Casa Bianca) è uscito pochi giorni fa e ha già avuto un successo formidabile sia nelle vendite sia nel modo in cui ha invaso di se l’intera stampa americana. Tutte le copertine dei dei settimanali sono dedicate a Bob. Il libro ricostruisce nel dettaglio decine di episodi - costruiti su bugie, incapacità, pasticci, dilettantismi, menefreghismi, egoismi - tutti riferiti a Bush e al suo entourage e in gran parte collegati con la demenziale decisione di fare la guerra in Iraq, ma anche relativi alla vita ordinaria della Casa Bianca, che sembra più un collegio di goliardi un po’ stupidi che il vertice di una nazione. I repubblicani sono rimasti sconvolti dal libro: non se lo aspettavano, anche perché gli ultimi libri di Woodward erano stati abbastanza gentili con loro; e così non hanno trovato il modo di smentire neppure uno dei fatti riportati dal giornalista. Tutti sono convinti che l’effetto del libro sia uno dei principali motivi del crollo nei sondaggi. Per noi europei un fatto del genere provoca stupore quanto quella storia degli scandali sessuali. Nel secondo caso però proviamo un senso di superirità nei confronti del “beghinismo” americano, in questo caso invece proviamo un senso di inferiorità: certo il giornalismo italiano non si acvvicina nemmeno lontanamente alla forza e alla spregiudicatezza di quello degli Stati Uniti. E’ difficile, molto difficile tradurre in italiano la parola Bob Woodward.

Restano le due domande fondamentali. Quante possibilità hanno i democratici di vincere davvero le elezioni e cosa cambia se le vinceranno.

La prima domanda richiede qualche delucidazione tecnica sullo scontro elettorale. Dunque, si vota il sette novembre in tutti gli Stati Uniti. Si elegge la Camera (tutta), un pezzetto di Senato, e poi - ma solo in 35 Stati - si elegge il Parlamento dello Stato e il governatore. Limitiamoci a esaminare la battaglia per Camera e per Senato (ma anche per i governatori si prevede un notevoile successo dei democratici, che potrebbero strappare sei o sette Stati ai repubblicani). Alla Camera si vota con il sistema maggioritario uninominale secco. Ci sono le circosrizioni elettorlai e ogni circosrizione elgge uno dei 435 deputati. Può anche succedere che un partito prenda più voti dell’altro ma meno deputati, ma non è probabile. Si vota una volta ogni due anni, cioè continuamente.

Al Senato il meccanismo è molto più complesso. I senatori in tutto sono cento, due per ogni Stato (sono due in California e rappresentano 30 milioni di elettori e sono lo stesso due nel Delaware con 400 mila elettori). I senatori durano in carica sei anni ma le elezioni sono ”fazionate“. Cioè ogni due anni si rinnova un terzo del Senato. Stavolta sarnno eletti 33 senatori nuovi, gli altri 67 restano al loro posto. Quindi, per rovesciare una maggiroanza al Senato bisogna vincere molto, perchè una gran parte dei seggi restano a chi già ce li aveva. E cioè, nel concreto, stavolta restano fermi (cioè non vanno al voto) 40 seggi repubblicani e 27 democratici. Dei 33 seggi che vanno al voto i democratici, per avere la maggioranza, ne devono conquistare 24, lasciandone solo 9 ai repubblicani. I sondaggi statoi-per-stato sono molto incerti. Dicono che l’avanzata democratica sarà forte ma restano indecisi almeno tre seggi: quello del New Jersey, quello del Misouri e quello del Tennesee. E’ in questi tre stati che si gioca tutto.

Cosa cambierà se i democratici vinceranno? Le legislazione sociale? I democratici tenteranno di fermare la politica economica di Bush e di ottenere, per esempio, l’aumento del salario minimo, fermo da 120 anni. Ma no potranno ottenere molto. Il Parlamento da solo non ha grandi chance perché il Presidente ha dititto di veto sulle leggi e il veto si può superare solo con il 67 per cento dei voti ( e nessuno avrà mai questa maggioranza). Quello che può succedere è che il Presidente, in assenza di maggioranza parlamentare, sia costretto a rivedere la politica estera, cioè la guerra. Potrebbe aprirsi una fase di transizione politica, in attesa delle elezioni presidenziali del 2008.

Arrivare a quelle elezioni con un Parlamento democratico che ha messo in questione la guerra, anche se non ha ottenuto atti fornmali di ritiro, potrebbe essere una via d’uscita dal vicolo cieco dell’Iraq. E una occasione per il prossimo presidente. Che sia un democraticvo o un repubblicano. Chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti? Il candidato repubblicano dicono che senza dubbio sarà John McCain, quello che sfidò Bush per la nomination, da posizioni centriste, nel 2000. Il candidato democratico potrebbe essere Hillary Clinton, ma non è affatto detto che una donna possa vincere la nomination. E allora potrebbe tornare in pista il vecchio Al Gore, che - dicono -già sta lavorando e sta raccogliendo una gran quantità di soldi per la campagna elettorale.


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: