[...]Il problema è che Bush, il quale ha fatto spazzatura della Costituzione al punto che essa viene ora considerata poco più di un manufatto storico, non ha bisogno dell’approvazione delle Nazioni Unite o del Congresso per imbarcarsi in un’altra guerra sanguinosa ed immorale.
Secondo l’accreditato criminale che siede alla Casa Bianca (e lo dico perché Bush è stato riconosciuto colpevole dalla Corte Suprema statunitense di violazione degli Statuti sui crimini di guerra, e da una Corte federale distrettuale di violazione del “Foreign Intelligence Surveillance Act” ed del Quarto Emendamento) lui avrebbe il potere, quale “comandante in capo in tempo di guerra”, di agire in aperta violazione sia della Costituzione sia della legge, se gli sembra che vada fatto [...]
La terza guerra di George Bush
di Dave Lindorff (trad. M.G. Di Rienzo)
Ci sono discorsi di una nuova guerra, in aria, e dato che all’orizzonte c’è un novembre di elezioni, sono discorsi che vanno presi sul serio. L’ultimo monito su una possibile terza guerra di Bush lo dà il senatore democratico Gary Hart, da lungo tempo esperto di questioni relative alla sicurezza nazionale: Hart dice che forze speciali stanno già operando in Iran, mappando e localizzando i bersagli (sinora sarebbero più di 400) per i missili cruise ed i bombardieri. L’attacco aereo, anche secondo le mie personali indagini, dovrebbe avvenire alla fine di ottobre.
Naturalmente potrebbe essere tutto un bluff, una strategia di Karl Rove e Dick Cheney per tenere le persone allarmate dai vari codici di allerta, anche se si tratta di una strategia ormai consumata, che ha perso la sua efficacia proprio perché se ne è abusato.
Ma l’effettivo invio di unità di forze speciali in Iran e la preparazione di gruppi di fuoco, con scenario di battaglia l’Iran, da parte della marina militare, rendono più probabile l’attacco. Unità regolari dell’esercito stanno per essere inviate per la terza volta nella regione, mentre il governo sta cambiando le regole d’ingaggio della Guardia Nazionale per poterne trattenere più a lungo in servizio i membri e alle forze di stanza in Iraq viene ritardato il rientro.
D’altro canto, ci si aspetterebbe che l’amministrazione Bush annunci una riduzione del numero di effettivi in Iraq prima del giorno delle elezioni, come è stato fatto in passato. Ordinariamente, uno direbbe che il vero segnale di una guerra imminente sarebbe una seduta del Congresso in cui viene autorizzato l’uso della forza, o forse un tentativo alle Nazioni Unite di avere l’approvazione per l’attacco dal consiglio di sicurezza, ma chiaramente questo non sta accadendo. Per un’ottima ragione. Bush non riuscirebbe mai ad avere l’approvazione del consiglio di sicurezza per un’azione militare contro l’Iran, in particolar modo dopo aver insultato i membri del consiglio stesso con l’enorme pacco di bugie che lui e Colin Powell hanno presentato l’ultima volta in cui hanno cercato di ottenere quel voto favorevole (per l’attacco all’Iraq) nel 2003.
Ne’ andrebbe a presentare la sua proposta al Congresso, con tutta la camera e un terzo del senato che devono essere rieletti il 7 novembre prossimo da un elettorato stanco di guerra, infuriato per i miliardi e miliardi di dollari buttati via, e sconvolto dalle migliaia di bare avvolte nella bandiera e di soldati feriti che tornano a casa, e a quest’elettorato non c’è nulla da mostrare se non due paesi del Medio Oriente lacerati dalla guerra e con governi che non funzionano.
Il problema è che Bush, il quale ha fatto spazzatura della Costituzione al punto che essa viene ora considerata poco più di un manufatto storico, non ha bisogno dell’approvazione delle Nazioni Unite o del Congresso per imbarcarsi in un’altra guerra sanguinosa ed immorale.
Secondo l’accreditato criminale che siede alla Casa Bianca (e lo dico perché Bush è stato riconosciuto colpevole dalla Corte Suprema statunitense di violazione degli Statuti sui crimini di guerra, e da una Corte federale distrettuale di violazione del “Foreign Intelligence Surveillance Act” ed del Quarto Emendamento) lui avrebbe il potere, quale “comandante in capo in tempo di guerra”, di agire in aperta violazione sia della Costituzione sia della legge, se gli sembra che vada fatto.
La guerra in questione è la cosiddetta “guerra al terrorismo”. Il titolo di “comandante in capo” deriva dall’articolo due della Costituzione. Bush sostiene, spalleggiato dal suo avvocato Alberto Gonzales, che quando il Congresso a seguito degli attacchi dell’11 settembre votò l’autorizzazione all’uso della forza contro al-Qaida, gli diede con ciò il potere di agire come comandante in capo in una guerra al terrorismo che non avrebbe avuto fine, e che si può estendere ovunque nel mondo, incluso il territorio statunitense.
In altre parole Bush dice che nell’ottobre 2001 il voto del Congresso ha fatto di lui un generalissimo, un dittatore, e che questo durerà sino a che vi saranno terroristi, stranieri o nostrani, che tenteranno di colpire l’America o gli interessi americani.
Basta solo notare come nel suo discorso all’assemblea generale delle Nazioni Unite la settimana scorsa, Bush sia stato molto preciso nel descrivere i leader iraniani come “sostenitori del terrorismo”. Fateci attenzione, perché si è trattato di una costruzione linguistica deliberata, e significa che lui ha il diritto di attaccarli come parte della sua contraffatta “guerra al terrorismo”.
Se il popolo americano e i suoi rappresentanti al Congresso non agiscono rapidamente nel chiarire che l’autorizzazione all’uso della forza votata nel 2001 non si applica ad un’aggressione all’Iran, sono pronto a scommettere che saremo in guerra contro l’Iran prima delle elezioni.
Chiariamoci: non avrà nulla a che fare con qualche minaccia all’America. Persino la più dilatata interpretazione degli sforzi iraniani verso il nucleare, fatta dalla nostra amministrazione, sostiene che l’Iran non potrà creare armi nucleari almeno per i prossimi quattro anni, altre stime parlano addirittura di quindici. C’è tutto il tempo che si vuole per costruire una campagna diplomatica di successo, se lo scopo fosse non avere altre armi nucleari.
Ma no: incredibilmente, il problema è un’elezione interna. Per dirlo fuori dai denti, abbiamo un presidente disposto a mettere a rischio la vita di migliaia di soldati americani e di centinaia di migliaia di innocenti iraniani per evitare che il Congresso cada nelle mani del partito democratico. E perché Bush è disposto a fare tale cosa, nonostante i consigli contrari dei suoi generali, nonostante i desideri contrari del popolo americano, e andando contro ogni logica ed ogni decenza?
Chiaramente ha paura, paura che un Congresso democratico lo chiami finalmente a rispondere dei crimini che ha accumulato contro la nazione ed il popolo americano. Per questo tenta disperatamente di far passare ad un Congresso a maggioranza repubblicana legislazioni con effetto retroattivo, che esonerino lui e i suoi subordinati dal dover rispondere delle violazioni alla legge ed alla Costituzioni che hanno commesso. Per questo corre in giro per il paese a raccogliere soldi per i candidati, persino per quei repubblicani liberali che di fatto aborre.
A questo punto, l’unica cosa che importa al presidente è salvarsi il didietro. E’ uno spettacolo sconfortante, ma scarsamente sorprendente per un uomo che ha lavorato in modo così intenso e svergognato per proteggere lo stesso didietro durante la guerra del Vietnam, facendosi assegnare alla Guardia Nazionale, e poi facendosi esonerare da assegnazioni all’estero.
Non dobbiamo permettergli di commettere il crimine di un’altra guerra per il suo vantaggio personale.
*
Dave Lindorff è giornalista e scrittore, è co-autore, con Barbara Olshansky, di “The Case for Impeachment: The Legal Argument for Removing President George W. Bush from Office”, ed. St. Martin.
www.ildialogo.org, Domenica, 01 ottobre 2006
Bush firma il military commissions act of 2006
Avviso per i viaggiatori diretti verso gli Stati Uniti
dii Stephanie Westbrook *
Per noi cittadini statunitensi, il giorno 17 ottobre 2006 verrà ricordato come un giorno nero nella storia del nostro paese, il giorno in cui il presidente George W. Bush ha firmato il Military Commissions Act of 2006. Questa nuova legge, autorizzata dal Congresso (altro giorno nero ...), conferisce poteri senza precedenti al presidente per imprigionare chiunque egli dovesse ritenere un "combattente nemico illegale" e processarlo attraverso commissioni militari.
In conseguenza di questa legge, ci si chiede se il Ministero degli Esteri italiano ha in programma di diramare un avviso per i cittadini italiani che intendono recarsi negli Stati Uniti. Tale avviso dovrebbe spiegare che la nuova legge lascia al presidente decidere, secondo una definizione vaga ed ambigua, chi è un "combattente nemico illegale". Questa definizione comprende non solo chi si è impegnato in atti ostili contro gli Stati Uniti o i suoi co-belligeranti, ma anche chi intenzionalmente e materialmente sostiene tali ostilità. Le prove al riguardo non devono essere rese pubbliche.
L’avviso dovrebbe sottolineare che i cittadini non statunitensi definiti come "combattenti nemici illegali" potrebbero essere arrestati, anche senza capi d’accusa, e imprigionati a tempo indeterminato. La nuova legge, infatti, elimina il diritto all’habeas corpus, ossia il diritto di contestare i motivi della propria detenzione davanti a un tribunale civile.
Secondo i termini di questa legge, se e quando il detenuto viene processato ciò sarà attraverso una commissione militare istituita dal Ministro della Difesa o da altro ufficiale militare e sarà composta di giudici e avvocati militari. Il detenuto non godrà delle protezioni legali riconosciute come fondamentali nei paesi civili. Può non essere informato delle prove contro di sé e sono ammissibili anche le prove ottenute con metodi ritenuti equivalenti alla tortura. Le "tecniche di interrogatorio" applicabili verranno decise da Bush e non saranno rese pubbliche. Inoltre, la possibilità di ricorrere in appello è stata quasi del tutto eliminata, e gli appelli che si basano sulle Convenzioni di Ginevra veranno respinti.
Infine, l’avviso dovrebbe ricordare ai viaggiatori che nel gennaio del 2006 la Kellogg, Brown & Root, filiale del gruppo Halliburton, ha vinto un contratto per 385 milioni di dollari per costruire negli Stati Uniti centri di detenzione, le cui località non sono state rivelate, da utlizzare, come si legge in un comunicato stampa della KBR, per "lo sviluppo rapido di nuovi programmi".
Stephanie Westbrook
Statunitensi per la pace e la giustizia - Roma
www.ildialogo.org, Martedì, 17 ottobre 2006
Ammesse le prigioni della Cia e interrogatori duri. Abolito l’Habeas corpus. Critiche dall’Unione europea e dall’opposizione democratica
Guantanamo, Bush firma la legge sui processi per terrorismo *
WASHINGTON - Firmata oggi dal presidente Usa Bush la contestata legge sugli interrogatori "duri" contro i sospettati di terrorismo. La legge contempla l’utilizzo di prigioni segrete della Cia, dure pratiche di interrogatorio e processi militari. ’’E’ un’occasione rara quando un presidente può firmare una legge sapendo che può salvare la vita a degli Americani. Io stamattina ho questo privilegio’’, ha detto Bush alla Casa Bianca durante la cerimonia per la firma, fiancheggiato da alti ufficiali militari e dell’intelligence statunitense.
Il presidente americano ha dedicato la firma della legge alle vittime dell’11 settembre e nel suo discorso ha più volte ricordato la tragedia del World Trade Center, nel chiaro intento di ricordare agli americani, a meno di tre settimane dalle elezioni di medio termine, l’impegno dell’amministrazione americana sul fronte della sicurezza. Un impegno simbolizzato nel cartello che campeggiava nell’East room della Casa Bianca, che ha ospitato la cerimonia, "Proteggere l’America".
Il provvedimento protegge i prigionieri nelle mani degli Usa dal ricorso negli interrogatori a qualunque trattamento "crudele e disumano". Nello stesso tempo, non è però previsto per loro il diritto di appellarsi a corti federali negli Usa e non è riconosciuto l’’habeas corpus’, cioè il ricorso per contestare una detenzione ritenuta ingiusta. Quanto ai processi, sono stati introdotti durante il dibattito in Congresso vari diritti che la Casa Bianca non era in un primo momento disponibile a concedere: il ricorso a fonti di prova estorte con la forza o a materiale coperto dal segreto è stato per esempio fortemente limitato (ma non cancellato).
Fortemente voluta dall’inquilino della Casa Bianca, la nuova legge ha subito durissime critiche da parte dell’opposizione democratica e creato dissensi anche fra i repubblicani, al punto da rendere tortuoso fin qui l’iter di approvazione. La normativa istituisce delle Commissioni militari, ossia dei tribunali speciali (dichiarati illegali dalla Corte suprema lo scorso giugno) per i processi dei detenuti a Guantanamo, e convalida tutte le ’’procedure alternative’’, ovvero gli interrogatori in segreto e senza garanzie fatti dalla Cia.
Per i detrattori di Bush, fra cui la stessa Unione Europea che ha richiamato gli Usa al rispetto della Convenzione di Ginevra, lo scopo della nuova legge e’ soprattutto quello di evitare ai militari e agenti segreti americani di essere incriminati per crimini di guerra in relazione alle stragi dei civili in Iraq, le sevizie nel carcere di Abu Ghraib e gli orrori del carcere speciale di Guantanamo, a Cuba. A difesa della legge, il presidente ha sempre citato il caso di Khalid Sheik Mohammed, ideatore della strage delle Torri Gemelle, che a Guantanamo, sotto tortura, rivelò altri suoi piani di attacco agli Usa. (17 ottobre 2006)
www.repubblica.it, 17.10.2006
ALZATE LA TESTA
di CINDY SHEEHAN (trad. di Maria G. Di Rienzo)
"Io non posso insegnarvi la violenza, perche’ io stesso non credo in essa. Io posso solo insegnarvi a non piegare la testa davanti a nessuno, persino a prezzo della vostra vita" (Mohandas Gandhi)
"Per assicurare tali diritti, governi sono istituiti fra gli uomini, governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati. Qualora ogni forma di governo divenisse distruttiva rispetto a tali fini, e’ diritto del popolo alterarla od abolirla, e stabilire un nuovo governo che abbia la sua fondazione su detti principi e in detta forma, di modo che al popolo esso appaia piu’ incline a rendere effettive la sua sicurezza e felicita’" (Dichiarazione di Indipendenza)
Quattro attivisti pacifisti arrestati nell’ufficio del senatore Charles Grassley nello Iowa.
Soldato "assente senza permesso" si consegna alla base dell’esercito.
Venticinque arresti di fronte alle Nazioni Unite.
Una dozzina di arrestati nell’ufficio del senatore Santorum. Qui sopra ci sono recenti titoli di giornali che mostrano come i nordamericani, cittadini degli Usa, ne abbiamo abbastanza di piegare le loro teste davanti ai criminali "du jour" che infestano la Casa Bianca.
E’ sempre stato nostro diritto dalla nascita, ed un imperativo assoluto, protestare pacificamente contro il nostro governo e mantenerlo nella responsabilita’ di rappresentarci nel modo in cui vogliamo essere rappresentati. Negli anni di Clinton, quando ci sembrava di essere pacifici e prosperi, siamo stati cullati in una confortevole compiacenza. Dall’11 settembre in poi, siamo stati bersagli del bullismo affinche’ avessimo paura del babau.
Chi di noi parlava contro George Bush e la sua guerra veniva emarginato e demonizzato. Giornalisti licenziati o forzati a ritirarsi, vili accuse contro gli ispettori delle Nazioni Unite che osavano dire che Saddam Hussein non aveva armi di distruzione di massa, eccetera. Infine, chi non era d’accordo sull’imminente invasione era spaventato al punto di non dire nulla.
Ora sembra che la gente non sia piu’ spaventata ad impegnarsi per la pace e la giustizia. Sono orgogliosa dell’America che non si e’ bevuta la sciocchezza che se ti opponi all’occupazione illegale dell’Iraq sei un "simpatizzante nazista". Mi rende orgogliosa di essere un’americana, perche’ stiamo usando i nostri corpi per la pace. Adesso e’ ora di alzarci, di contarci e di dire a questo nostro governo fuori controllo che noi gli sottraiamo il consenso ad essere governati.
La nostra cara gioventu’, che ha fatto il terribile errore di arruolarsi nel nostro esercito, viene continuamente abusata dai politici vigliacchi che la comandano: ora hanno prolungato i loro tempi di permanenza in Iraq, mentre non dovrebbero neppure trovarsi la’.
Alla nostra Guardia Nazionale viene chiesto di compiere azioni che nulla hanno a che vedere con la sua natura ed i suoi scopi, e la si tiene ostaggio dell’Halliburton in Iraq.
La gente dell’Iraq viene uccisa perche’ ha la terribile colpa di essere nata e di vivere dove la Esso vuole il petrolio.
E’ venuta l’ora di alzare le teste e di rifiutarsi di piegarle davanti ai criminali di guerra. Subito.
Ho una storia da condividere con voi. Quando mi trovavo in Giordania con la "squadra di pace" ad incontrare i parlamentari iracheni, abbiamo udito la testimonianza di uno sceicco, un uomo molto rispettato in Iraq. Ci ha detto come membri dell’esercito Usa irruppero nella sua casa, violarono sua moglie, lo picchiarono e lo portarono in prigione, dove fu torturato in applicazione delle politiche barbariche e crudeli di George Bush. Tutto cio’ accadde sotto gli occhi del suo figlio adolescente.
A sentirlo raccontare le violenze e l’orribile trattamento che aveva ricevuto dal mio paese mi sono scusata con lui, piangendo. Nessun essere umano dovrebbe trattarne un altro in modo cosi’ inumano. Lui mi ascolto’, e poi disse: "Il sogno di mio figlio e’ di procurarsi un fucile, salire su un tetto e assassinare americani. Ma io gli diro’ che ci sono americani come lei, e lo incoraggero’ a non farlo".
Ora, immaginate di stare seduti a casa, con la vostra famiglia. Diciamo che state guardando la tv. Invasori stranieri irrompono in casa vostra, stuprano mamma e si portano via papa’. Come si sentirebbe vostro figlio? Come vi sentireste voi? La vostra famiglia sarebbe giustificata nell’opporsi alla violenza e alla repressione? O pieghereste la testa e direste: "Sia ringraziato Dio per la liberta’ e la democrazia che questa brava gente mi sta donando"?
Mi domando quanti soldi siano stati spesi per la guerra di terrore di Bush che - come attesta il recente rapporto della Cia - ha causato un aumento del jihadismo islamico. Chiunque sia in grado di pensare sa che commettere atrocita’ su esseri umani non fa che alimentare odio e rabbia, e non grati sentimenti d’amore e simpatia per il proprio oppressore.
Noi siamo stati colpiti da aeroplani guidati contro edifici l’11 settembre che hanno ucciso i nostri cari e distrutto il nostro senso di sicurezza, ma non erano guidati da bambini iracheni e afgani. Dov’e’ la differenza tra guidare aerei a schiantarsi su edifici per causare la morte di innocenti, e lanciare bombe dagli aerei sugli edifici per causare la morte di innocenti? E’ ora di smetterla di ripagare l’odio con l’odio e la violenza con la violenza.
Sono cosi’ felice che sempre piu’ gente stia alzando la testa contro la repressione e la violenza del nostro governo. Ma c’e’ bisogno di tutti noi: ci deve essere uno sforzo congiunto da parte di ognuno di noi per mettere fine al ciclo delle morti infinite.
Vi prego di sostenere l’azione parlamentare del deputato Jim McGovern, che sta chiedendo di smettere immediatamente il finanziamento degli omicidi in Iraq. E vi prego di unirvi a Gold Star Families for Peace e all’Istituto di pace di Camp Casey nel venire a Washington il giorno delle elezioni, per mostrare a Bush e compagnia che stiamo sottraendo il nostro consenso ad essere governati da torturatori ed assassini.
Ne abbiamo abbastanza. Vogliamo che il nostro paese ci venga restituito.
*
Cindy Sheehan ha perso il figlio Casey nella guerra in Iraq; per tutto il successivo mese di agosto e’ stata accampata a Crawford, fuori dal ranch in cui George Bush stava trascorrendo le vacanze, con l’intenzione di parlargli per chiedergli conto della morte di suo figlio; intorno alla sua figura e alla sua testimonianza si e’ risvegliato negli Stati Uniti un ampio movimento contro la guerra; e’ stato recentemente pubblicato il suo libro Not One More Mother’s Child (Non un altro figlio di madre), disponibile nel sito www.koabooks.com; sta per uscire il suo secondo libro: Peace Mom: One Mom’s Journey from Heartache to Activism, per Atria Books.
Maria G. Di Rienzo e’ una delle principali collaboratrici di questo foglio; prestigiosa intellettuale femminista, saggista, giornalista, narratrice, regista teatrale e commediografa, formatrice, ha svolto rilevanti ricerche storiche sulle donne italiane per conto del Dipartimento di Storia Economica dell’Universita’ di Sydney (Australia); e’ impegnata nel movimento delle donne, nella Rete di Lilliput, in esperienze di solidarieta’ e in difesa dei diritti umani, per la pace e la nonviolenza. Tra le opere di Maria G. Di Rienzo: con Monica Lanfranco (a cura di), Donne disarmanti, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2003; con Monica Lanfranco (a cura di), Senza velo. Donne nell’islam contro l’integralismo, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2005.
LA NONVIOLENZA E’ IN CAMMINO
Foglio quotidiano di approfondimento proposto dal Centro di ricerca per la pace di Viterbo a tutte le persone amiche della nonviolenza Direttore responsabile: Peppe Sini.
Numero 1435 del primo ottobre 2006
GLI STATI UNITI INSISTONO: IL TEMPO STA PER SCADERE
Nucleare, per l’Iran arriveranno le sanzioni. Solana:«Per ora è impossibile riaprire i negoziati»
(www.lastampa.it, 04.10.2006)
Il tempo stringe. Il contenzioso con l’Iran sul nucleare deve imboccare una strada più incisiva se non si vuole compromettere la credibilità della comunità internazionale. Lo ha detto il segretario di Stato americano, signora Condoleezza Rice, che preme per sanzioni economiche al regime di Teheran, stante il rifiuto di sospendere il programma di arricchimento dell’uranio.
AHMADINEJAD: NON ARRETREREMO
Il presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, ha ribadito oggi che Teheran «non arretrerà di un millimetro dai suoi diritti e continuerà su questo sentiero di gloria» e che «il popolo iraniano è attualmente il più prezioso e il più potente al mondo». Ahmadinejad ha detto di essere disposto a seguire la via negoziale, ma non sotto le pressioni internazionali. L’Alto rappresentante Ue per la Politica estera, Javier Solana, nel riferire alla commissione Esteri del Parlamento europeo sui colloqui telefonici avuti con il capo negoziatore iraniano per il nucleare, Ali Larijani, ha detto che la trattativa con Teheran sugli incentivi offerti dalla comunità internazionale non può iniziare perchè l’Iran non intende sospendere il processo di arrichimento dell’uranio. «A tutt’oggi l’Iran non ha preso alcun impegno a sospendere il programma. Questo dialogo che sto intrattenendo non può andare avanti all’infinito. Sta ora agli iraniani... diversamente dovremo seguire un’altra strada (la risoluzione Onu per le sanzioni)», ha detto Solana. Un diplomatico occidentale ha riferito da Bruxelles che probabilmente venerdì a Londra si riuniranno i ministri degli Esteri dei cinque membri permantenti del Consiglio di sicurezza dell’Onu -Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia- più la Germania per fare il punto della situazioe e individuare sanzioni limitate e graduali da imporre al regime degli ayatollah.
UE: INCENTIVI IN CAMBIO DELLA SOSPENSIONE
A giugno l’Alto rappresentante presentò al governo iraniano un pacchetto di incentivi economici, politici e tecnologici offerto dalla comunità internazionale in cambio della sospensione del programma di arricchimento dell’uranio. Ma Teheran, ignorando la scadenza del 31 luglio posta dal Consiglio di sicurezza dell’Onu, ha avanzato una contro-proposta. Washington da tempo preme per portare la questione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. La signora Rice ha detto che è in gioco la credibilità della comunità internazionale. «Il tempo sta per scadere», ha detto dal Cairo, tappa della sua missione mediorientale che oggi l’ha portata in Israele, «Spero che vi siano ancora margini per una soluzione, ma il tempo a disposizione della comunità internazionale sta per scadere: presto saranno messe in discussione la sua stessa credibilità e la sua capacità di far rispettare le proprie risoluzioni».
BUSH: IL TEMPO SCADE DOMENICA
L’amministrazione Bush ha avvertito che Solana ha tempo fino a domenica per chiudere i colloqui con Larijani e portare a casa un risultato positivo. «Se Solana incasserà soltanto un ’forsè, noi lo considereremo un ’nò», ha detto Nicholas Burns, sottosegretario Usa agli Esteri con delega per il Medio Oriente. La signora Rice ha anche giudicato «vecchia» la proposta di Teheran di un consorzio straniero che si occupi di arricchire uranio per alimentare le centrali iraniane. «È un idea che gira da un pò» ha detto, «l’unica proposta simile che sosteniamo è quella di un consorzio russo che però non porti alcun processo di arricchimento sul suolo iraniano. Quello che temo è che alla fine questa non sia altro che una tattica per distogliere l’attenzione da quella che è la questione chiave: per avviare i negoziati l’Iran deve sospendere il processo di arricchimento».
GIORNALE DI GUERRA
di Carlo Formenti *
Sono stufo di sentir descrivere quanto sta succedendo nei termini di una “classica” guerra imperialista, fra una sinistra riformista che si accoda timidamente agli appelli del papa e una sinistra antagonista che ripete vecchi discorsi: sono là per il petrolio; la guerra serve a risolvere la crisi economica; l’America tenta di costruire un nuovo impero coloniale in assenza di potenze in grado di frenarne l’espansionismo, ecc. ecc.
Le enormi dimensioni che il movimento pacifista ha raggiunto in tempi rapidissimi (in confronto le mobilitazioni degli anni 60 contro la guerra del Vietnam sembrano poca cosa) testimoniano della consapevolezza popolare che ci troviamo di fronte a eventi del tutto nuovi, che esulano dalla logica di un conflitto ispirato a principi di razionalità politica.
Tocca prendere atto della realtà: a conclusione d’un ventennio di trasformazioni economiche, tecnologiche, sociali, culturali e politiche strettamente intrecciate le une con le altre, rapidissime e di eccezionale radicalità, l’ordine mondiale fondato sulle grandi istituzioni politiche ed economiche del secolo ventesimo (gli stati-nazione con le loro alleanze continentali, le Nazioni Unite, i mercati regolati da accordi regionali, ecc.) è definitivamente crollato.
La globalizzazione - termine che serve solo ad attribuire senso provvisorio al complesso miscuglio di fattori locali e globali che stanno ridisegnano territori, alleanze, flussi di capitali, merci, persone e culture - ha distrutto ogni equilibrio preesistente. In questa situazione, che ha sconvolto le vecchie regole del gioco, una delirante banda di integralisti cristiani ha assunto il controllo della macchina statale e militare degli Stati Uniti. Anche se la storia non si ripete, siamo di fronte a qualcosa di simile al marasma politico ed economico che, dopo la Prima Guerra Mondiale, consentì l’ascesa al potere di Hitler (ogni democrazia, anche quella americana, convive con la possibilità della propria autodistruzione).
Finiamola di pensare a Bush e soci come al “comitato d’affari” del capitalismo americano: questi soggetti ragionano effettivamente nei termini d’un mondo diviso fra le forze contrapposte del Bene e del Male e si comportano di conseguenza. Di fronte a questa catastrofe, come già è avvenuto in passato, la maggior parte dei soggetti economici e politici (imprese, classi sociali, nazioni, gruppi culturali e religiosi, ecc.) reagiscono tentando: prima di verificare se non sia possibile trarre qualche vantaggio dalla situazione, poi di fare il possibile per limitare i danni, infine, quando è troppo tardi, di rimuovere “l’anomalia” che ha preso il sopravvento sfruttando circostanze eccezionali.
Per ora, i soli ad avere sentore della natura e della portata del pericolo sono la Chiesa e il movimento pacifista mondiale: quanto tempo occorrerà perché anche la sinistra se ne renda conto e agisca di conseguenza? Non c’è molto tempo per invertire il processo prima che per rimuovere l’anomalia divenga necessario combattere una terza guerra mondiale.
*
www.zoooom.it/ , 05.10.2006
Il 7 novembre si vota. Repubblicani in calo
Battere Bush è la via d’uscita per l’America
di Piero Sansonetti (Liberazione, 15.10.2006)
New York . I sondaggi elettorali dicono che i repubblicani perderanno le elezioni di novembre. L’ultimo sondaggio, pubblicato un paio di giorni fa su Usa Today e curato dalla Gallup, non lascia molte speranze ai conservatori. Spiega che negli ultimi 20-25 giorni il consenso intorno al partito di Bush si è sgretolato, ridotto al minimo, tutto a vantaggio del partito democratico che - sebbene abbia pochi meriti, poche idee, pochi programmi, pochi leader - potrebbe ottenere, senza muovere un dito, una vittoria politica che gli mancava da 10 anni, cioè dall’ultima elezione di Bill Clinton, nel ’96. E addirittura, dopo 16 anni, i democratici potrebbero recuparare il controllo della Camera e del Senato che avevano perso rovinosamente nel ’94 (anno della vera e propria svolta a destra negli Stati Uniti, svolta che non si fermò, di fatto, neppure con la vittoria di Clinton del ’96, perché quella fu una vittoria del presidente e del suo carisma, ma non certo della sua politica riformatrice, cioè del vento innovatore del ’92 che fu sbarrato e cancellato insieme ai tentativi di riforma sanitaria e di sviluppo del welfare).
I dati dei sondaggi sono clamorosi: il 16 settembre repubblicani e democratici erano accreditati della stessa forza elettorale: 48 per cento ciascuno. Oggi, alla domanda classica («Se dovessi votare in questo momento per chi voteresti?») il 36 per cento dei probabili votanti risponde repubblicano mentre il 59 per cento risponde democratico. I repubblicani perdono 12 punti secchi in poco più di tre settimane, più o meno mezzo punto al giorno: una frana.
Naturalmente poi bisognerà vedere come questo orientamento si tradurrà in seggi, dato il complicato sistema elettorale americano (del quale parleremo tra poco); e perciò la battaglia è ancora aperta e i repubblicani tenteranno una rimonta almeno per difendere la maggioranza in Senato.
L’aspetto di questi dati Gallup che più ha stupito gli osservatori politici, è che la condanna nella politica di Bush è generale. Cioè riguarda tutto lo spettro delle sue scelte: l’Iraq, le capacità di governo, il programma, l’affidabilità del suo ceto politico, l’economia, la dirittura morale. In genere i sondaggi in questi casi sono sempre molto altalenanti, e mostrano dei campi nel quali i repubblicani sono considerati migliori dei democratici e viceversa. Stavolta il giudizio è netto, univoco. E’ una bocciatura solenne.
I punti dolenti, i più dolenti, comunque sono due. La guerra e la questione etica. Fino a metà settembre l’opinione pubblica americana era divisa a metà sulla questione Iraq. Una parte riteneva che fosse stato fatto uno sbaglio nel decidere la guerra, l’altra che fosse stata fatta la scelta giusta. Oggi il 56 per cento pensa che la guerra sia stata un errore e solo il 40 per cento la difende.
Il giornalista che rovinò Nixon sta rovinando Bush
Un libro di Bob Woodward - quello che scoprì lo scandalo Watergate - descrive la Casa Bianca come un collegio di goliardi: e i sondaggi dicono che i repubblicani il 7 novembre perderanno Camera e Senato di Piero Sansonetti
La questione etica invece riguarda i soliti affari di sesso, che avvelenano sempre le campagne elettorali americane, e che a un osservatore europeo provocano un po’ di commiserazione e di ironia. C’è la storia di un disgraziato deputato repubblicano della Florida, Mark Foley, che è stato beccato mentre mandava lettere d’amore, via internet, a una adolescente, cioè a un ragazzo di 17 anni (solo lettere, nient’altro: lettere salaci) ed è stato messo in croce. Lo hanno fatto dimettere da deputato, hanno chiesto una legge speciale per impedirgli di prendere la pensione (lo vogliono alla fame) e ora sollecitano anche le dimissioni del presidente dei deputati repubblicani, Dennis Hastert, il quale avrebbe in qualche modo cercato di coprire l’amico invece di denunciare l’ignominia a gran voce e prenderlo a calci nel sedere. I giornali gridano: pedofilia, pedofilia! E il contraccolpo elettorale è forte. Sarebbe per la verità un paradosso che, alla fine, la destra fosse sconfitta sull’onda di una campagna puritana. Ma l’America è proprio così: in fondo nessuno rimprovera a Foley il suo romantico innammoramento per un grazioso studentello che faceva lo stagista alla Camera; gli rimproverano di avere fatto sempre battaglie contro la pedofilia mentre covava un amore tanto turpe... L’ipocrisia, l’ipocrisia, come fu per Clinton e Monica otto anni fa, o per quel play boy di Gary Hart dieci anni prima (lo ricordate il bel Hary che doveva succedere a Reagan e finì rovinato da una fidanzata negata?)
Ma non è solo il caso Foley a turbare la campagna elettorale e a risultare così indigesto a Bush. C’è un rompiscatole che in America è il rompiscatole per antonomasia. Si chiama Bob Woodward, è un giornalista un po’ più che sessantenne del “Washington Post”, ed è quello che 32 anni fa rovinò Nixon scoprendo lo scandalo del Watergate e portando il Presidente alle dimissioni. Bob è conosciuto in tutto il mondo con il volto di Dustin Hoffman, che lo interpretò nel film famosissimo (“tutti gli uomini del presidente”) dedicato a ricostruire la storia di quello scandalo. Non gli è bastato affondare Nixon ora ci prova con Bush. Il suo libro, “State of Denial” (vuol dire “stato del diniego” e si riferisce alle bugie della Casa Bianca) è uscito pochi giorni fa e ha già avuto un successo formidabile sia nelle vendite sia nel modo in cui ha invaso di se l’intera stampa americana. Tutte le copertine dei dei settimanali sono dedicate a Bob. Il libro ricostruisce nel dettaglio decine di episodi - costruiti su bugie, incapacità, pasticci, dilettantismi, menefreghismi, egoismi - tutti riferiti a Bush e al suo entourage e in gran parte collegati con la demenziale decisione di fare la guerra in Iraq, ma anche relativi alla vita ordinaria della Casa Bianca, che sembra più un collegio di goliardi un po’ stupidi che il vertice di una nazione. I repubblicani sono rimasti sconvolti dal libro: non se lo aspettavano, anche perché gli ultimi libri di Woodward erano stati abbastanza gentili con loro; e così non hanno trovato il modo di smentire neppure uno dei fatti riportati dal giornalista. Tutti sono convinti che l’effetto del libro sia uno dei principali motivi del crollo nei sondaggi. Per noi europei un fatto del genere provoca stupore quanto quella storia degli scandali sessuali. Nel secondo caso però proviamo un senso di superirità nei confronti del “beghinismo” americano, in questo caso invece proviamo un senso di inferiorità: certo il giornalismo italiano non si acvvicina nemmeno lontanamente alla forza e alla spregiudicatezza di quello degli Stati Uniti. E’ difficile, molto difficile tradurre in italiano la parola Bob Woodward.
Restano le due domande fondamentali. Quante possibilità hanno i democratici di vincere davvero le elezioni e cosa cambia se le vinceranno.
La prima domanda richiede qualche delucidazione tecnica sullo scontro elettorale. Dunque, si vota il sette novembre in tutti gli Stati Uniti. Si elegge la Camera (tutta), un pezzetto di Senato, e poi - ma solo in 35 Stati - si elegge il Parlamento dello Stato e il governatore. Limitiamoci a esaminare la battaglia per Camera e per Senato (ma anche per i governatori si prevede un notevoile successo dei democratici, che potrebbero strappare sei o sette Stati ai repubblicani). Alla Camera si vota con il sistema maggioritario uninominale secco. Ci sono le circosrizioni elettorlai e ogni circosrizione elgge uno dei 435 deputati. Può anche succedere che un partito prenda più voti dell’altro ma meno deputati, ma non è probabile. Si vota una volta ogni due anni, cioè continuamente.
Al Senato il meccanismo è molto più complesso. I senatori in tutto sono cento, due per ogni Stato (sono due in California e rappresentano 30 milioni di elettori e sono lo stesso due nel Delaware con 400 mila elettori). I senatori durano in carica sei anni ma le elezioni sono ”fazionate“. Cioè ogni due anni si rinnova un terzo del Senato. Stavolta sarnno eletti 33 senatori nuovi, gli altri 67 restano al loro posto. Quindi, per rovesciare una maggiroanza al Senato bisogna vincere molto, perchè una gran parte dei seggi restano a chi già ce li aveva. E cioè, nel concreto, stavolta restano fermi (cioè non vanno al voto) 40 seggi repubblicani e 27 democratici. Dei 33 seggi che vanno al voto i democratici, per avere la maggioranza, ne devono conquistare 24, lasciandone solo 9 ai repubblicani. I sondaggi statoi-per-stato sono molto incerti. Dicono che l’avanzata democratica sarà forte ma restano indecisi almeno tre seggi: quello del New Jersey, quello del Misouri e quello del Tennesee. E’ in questi tre stati che si gioca tutto.
Cosa cambierà se i democratici vinceranno? Le legislazione sociale? I democratici tenteranno di fermare la politica economica di Bush e di ottenere, per esempio, l’aumento del salario minimo, fermo da 120 anni. Ma no potranno ottenere molto. Il Parlamento da solo non ha grandi chance perché il Presidente ha dititto di veto sulle leggi e il veto si può superare solo con il 67 per cento dei voti ( e nessuno avrà mai questa maggioranza). Quello che può succedere è che il Presidente, in assenza di maggioranza parlamentare, sia costretto a rivedere la politica estera, cioè la guerra. Potrebbe aprirsi una fase di transizione politica, in attesa delle elezioni presidenziali del 2008.
Arrivare a quelle elezioni con un Parlamento democratico che ha messo in questione la guerra, anche se non ha ottenuto atti fornmali di ritiro, potrebbe essere una via d’uscita dal vicolo cieco dell’Iraq. E una occasione per il prossimo presidente. Che sia un democraticvo o un repubblicano. Chi sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti? Il candidato repubblicano dicono che senza dubbio sarà John McCain, quello che sfidò Bush per la nomination, da posizioni centriste, nel 2000. Il candidato democratico potrebbe essere Hillary Clinton, ma non è affatto detto che una donna possa vincere la nomination. E allora potrebbe tornare in pista il vecchio Al Gore, che - dicono -già sta lavorando e sta raccogliendo una gran quantità di soldi per la campagna elettorale.
Passato quasi sotto silenzio il documento firmato il 6 ottobre dal presidente Usa che proibisce l’accesso al cosmo a chi è "ostile agli interessi americani"
"Anche lo spazio va negato ai nemici". Nuova dottrina di Bush sull’orbita terrestre *
WASHINGTON - Anche lo spazio va negato alle "forze ostili", in tempi di comunicazioni in tempo reale e informazioni satellitari. Bush ha firmato un documento nel quale si afferma che "la libertà di azione nello spazio è importante per gli Stati Uniti come la potenza aerea e marittima". Secondo quanto rivela il "Washington Post", si stabilisce il diritto a negare l’accesso allo spazio a chiunque sia "ostile agli interessi americani" e respinge futuri accordi sul controllo delle armi che possano limitare la flessibilità degli Stati uniti nello spazio.
Bush afferma: "Bisogna rafforzare la leadership spaziale della nazione, assicurare che le capacità nello spazio siano disponibili per gli obiettivi della sicurezza nazionale americana, della sicurezza interna e di politica estera e per fare in modo che operazioni americane nello spazio per difendere i nostri interessi non siano in alcun modo ostacolate".
Il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale, Frederick Jones ha spiegato: "Lo spazio è diventato una componente più importante della sicurezza economica e nazionale". Ma l’amministrazione Bush vuole anche sgombrare il campo da possibili richiami alle ’guerre stellari’ di reaganiana memoria: "Questa politica non riguarda lo sviluppo di armi", chiarisce un funzionario della Casa Bianca.
La precisazione non basta però a Michael Krepon, cofondatore di un think tank che si occupa di questi temi, l’"Henry L. Stimson Center", secondo cui i cambiamenti introdotti rafforzeranno i sospetti della comunità internazionale sulle intenzioni degli Stati Uniti di sviluppare, testare e dispiegare armi nello spazio. Sospetti amplificati dal rifiuto dell’amministrazione di entrare in negoziati o anche in trattative informali sull’argomento. "La politica di Clinton ha aperto la strada allo sviluppo di armi nello spazio - ha sottolineato Krepon - ma l’amministrazione non ha mai fatto niente. La politica di Bush va oltre".
Dello stesso parere Theresa Hitchens, direttore del Centro per le informazioni sulla difesa di Washington, secondo cui la nuova politica "tiene la porta aperta un pò di più a una strategia di guerra nello spazio ed ha un tono molto unilaterale". Interpretazioni di questo tipo vengono fortemente contestate dall’amministrazione, che ha fatto passare senza troppa pubblicità la firma del documento avvenuta il 6 ottobre scorso. I collaboratori di Bush sottolineano piuttosto come la nuova dottrina incoraggi la diplomazia internazionale e la cooperazione, pur chiarendo che nuovi accordi sul controllo delle armi non sono necessari, perché non c’è nessuna corsa alle armi nello spazio.
"Gli Stati Uniti si opporranno allo sviluppo di nuovi regimi legali - sancisce il documento - o ad altre restrizioni che tentino di proibire o limitare l’accesso americano all’uso dello spazio". La Politica nazionale dello spazio, ricorda quindi il "Washington Post", segue precedenti dichiarazioni dell’amministrazione che invocavano un più ampio uso militare dello spazio. Nel 2004, per esempio, l’Aeronautica pubblicò la dottrina sulle operazioni nello spazio con cui si sottolineava tra l’altro la necessità di proteggere i satelliti e le navicelle spaziali americani. (18 ottobre 2006)
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www.repubblica.it, 18.10.2006