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Gioacchino da Fiore ... e Teilhard de Chardin

IL PATRONO DELLA "RETE" E IL TEORICO DEL "DISEGNO INTELLIGENTE": Teilhard de Chardin (1881 - 1955). Un ’vecchio’ (1998) articolo di Carlo FORMENTI, e una nota di Annamaria TASSONE BERNARDI.

mercoledì 4 ottobre 2006 di Federico La Sala
San Teilhard de Chardin
Gesuita, paleontologo e patrono della rete
di Carlo Formenti*
Che io sappia, finora nessuno ha fatto nomi per eleggere un Santo Patrono della Rete. Ma, ammettendo che esistano candidature a me ignote, mi permetto ugualmente d’avanzare la mia proposta: suggerisco che l’onore spetti a Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955) gesuita, paleontologo ed autore d’una imponente opera filosofica sul rapporto fra scienza e teologia. Sono sicuro che il suggerimento otterrebbe, (...)

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> IL PATRONO DELLA "RETE" E IL TEORICO DEL "DISEGNO INTELLIGENTE": Teilhard de Chardin (1881 - 1955). --- Due studiosi a confronto sulla dimensione morale e spirituale dell’Homo sapiens. Facchini: ha origini trascendenti. Pievani: no, la scienza può capirla

mercoledì 11 giugno 2008


-  Evoluzione

-  Due studiosi a confronto sulla dimensione morale e spirituale dell’Homo sapiens

-  L’enigma dell’intelligenza umana

-  Facchini: ha origini trascendenti. Pievani: no, la scienza può capirla

-  Riduzionismo
-  Alcuni biologi ritengono che nei geni si trovi la grammatica universale
-  che guida e regola il comportamento etico

di Antonio Carioti (Corriere della Sera, 10.06.2008)

Il famoso biologo ateo Richard Dawkins lo definisce (sulla scorta del collega Jared Diamond) «grande balzo in avanti». Il pontefice Giovanni Paolo II lo chiamava invece «salto ontologico». Di certo ai nostri antenati, in una fase collocabile tra 150 e 45 mila anni fa, succede qualcosa di sbalorditivo: gli ominidi appartenenti alla specie Homo sapiens cominciano a realizzare pitture rupestri, a seppellire i cadaveri secondo un rituale, ad abbellire i propri corpi, a fabbricare oggetti ornamentali. In breve, producono cultura.

Come questo sia potuto accadere resta non solo un enigma affascinante, ma anche uno dei punti più controversi della storia naturale, al pari della questione riguardante l’origine della vita, di cui si è occupato ieri sul Corriere Sandro Modeo. E ad accrescere l’interesse del tema ci sono le sue implicazioni filosofiche, che dividono chi vede nell’intelligenza umana una scintilla divina da chi la considera il frutto più sofisticato di processi evolutivi dominati dal caso. La polemica infuria nel mondo anglosassone, dove hanno grande risalto le posizioni estreme. Da una parte gli scienziati riduzionisti (come il già citato Dawkins, Daniel Dennett, Marc Hauser), secondo i quali lo studio della biologia può consentirci di arrivare a dire l’ultima parola sulla mente umana. Sul versante opposto i fautori del «disegno intelligente», spesso legati ad ambienti religiosi, affermano che non solo il comportamento dell’uomo, ma l’intero percorso dell’evoluzione si può spiegare solo chiamando in causa un intervento sovrannaturale. Più sfumati e articolati sono i punti di vista prevalenti tra gli studiosi italiani. Per esempio Fiorenzo Facchini, sacerdote cattolico e docente di Antropologia, nel suo ultimo libro Le sfide della evoluzione (Jaca Book, pp. 174, e 16) critica la teoria del «disegno intelligente», che a suo dire «non appartiene alla scienza» e «porta a una confusione di piani che non giova a nessuno ». Ma al tempo stesso tiene a sottolineare che l’uomo, in quanto dotato della facoltà di pensare, «reclama una trascendenza nella sua origine, perché lo spirito non può derivare dalle forze della materia».

Insomma, bisogna distinguere l’umanità dal resto degli esseri viventi: «I sostenitori del disegno intelligente - spiega Facchini al Corriere
-  commettono l’errore di introdurre un elemento sovrannaturale per spiegare fatti che rimangono nell’ambito fisico e biologico. Ma con la comparsa del pensiero umano si verifica una discontinuità molto netta, a mio avviso innegabile. L’attitudine a fare progetti, il linguaggio simbolico, l’autocoscienza e l’autodeterminazione, la capacità di gestire consapevolmente l’ambiente sono caratteristiche peculiari dell’uomo, che non si possono ricondurre al semplice sviluppo dell’attività cerebrale. A mio parere in questo caso è vano cercare una spiegazione con i metodi delle scienze naturali, perché siamo dinanzi a fenomeni trascendenti che sfuggono alla loro indagine».

Sul fatto che sia sbagliato ridurre la natura umana al dato biologico si trova d’accordo anche il filosofo della scienza Telmo Pievani, convinto darwiniano e curatore del volume L’evoluzione della mente (Sperling e Kupfer, pp. 131, e 9,20), comprendente contributi in cui alcuni illustri scienziati s’interrogano sulle origini del comportamento culturale umano.

«C’è chi dice - dichiara Pievani al Corriere - che un giorno scopriremo il cromosoma della morale, la grammatica universale del comportamento etico inscritta nel genoma umano. Ma anche se ciò dovesse avvenire, saremmo ben lontani dall’avere risolto tutti i problemi in questo campo. Si pensi alla questione della violenza. Una volta acclarato che l’uomo tende ad aggredire i suoi simili per ragioni biologico- adattative, posso al tempo stesso decidere per altre motivazioni, di natura morale, che quel comportamento è illegittimo e va messo al bando. C’è dunque un ulteriore livello di studio, nella valutazione delle vicende umane, di cui le scienze naturali non possono dar conto». Qui, però, sorge un interrogativo: per spiegare la dimensione culturale dell’Homo sapiens è necessario richiamarsi alla trascendenza?

Facchini risponde positivamente: «Una volta ammesso che l’uomo è un unicum e la sua comparsa segna un salto di qualità, ci troviamo su un piano che sfugge agli strumenti della conoscenza empirica. Non è detto che l’unica soluzione sia ammettere l’esistenza del Dio biblico: c’è chi vede il trascendente come uno spirito universale e impersonale che avvolge la realtà. Dal punto di vista cristiano l’uomo risponde a un progetto del Creatore: non un disegno intelligente che determina lo sviluppo dell’universo, ma piuttosto un "disegno superiore", posto al di là della natura e della storia».

Diverso l’approccio di Pievani: «L’irriducibilità del comportamento umano alla biologia non richiama automaticamente la trascendenza. È come dire che c’è un mistero su cui l’indagine scientifica non ha nulla da dire. Io, invece, non credo che esista una dimensione per principio inattingibile. Può esserlo di fatto, perché la scienza è un sapere provvisorio e avrà sempre di fronte a sé l’ignoto. Ma se i meccanismi biologici dell’evoluzione non bastano a spiegare la peculiarità culturale dell’uomo possiamo ricorrere ad altri livelli di analisi riguardanti le scienze umane: psicologia, sociologia, filosofia morale. Il tutto rimanendo su un terreno naturalistico e senza ricorrere a fattori trascendenti».


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