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Gioacchino da Fiore ... e Teilhard de Chardin

IL PATRONO DELLA "RETE" E IL TEORICO DEL "DISEGNO INTELLIGENTE": Teilhard de Chardin (1881 - 1955). Un ’vecchio’ (1998) articolo di Carlo FORMENTI, e una nota di Annamaria TASSONE BERNARDI.

mercoledì 4 ottobre 2006 di Federico La Sala
San Teilhard de Chardin
Gesuita, paleontologo e patrono della rete
di Carlo Formenti*
Che io sappia, finora nessuno ha fatto nomi per eleggere un Santo Patrono della Rete. Ma, ammettendo che esistano candidature a me ignote, mi permetto ugualmente d’avanzare la mia proposta: suggerisco che l’onore spetti a Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955) gesuita, paleontologo ed autore d’una imponente opera filosofica sul rapporto fra scienza e teologia. Sono sicuro che il suggerimento otterrebbe, (...)

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> IL PATRONO DELLA "RETE" E IL TEORICO DEL "DISEGNO INTELLIGENTE": Teilhard de Chardin (1881 - 1955). --- Il cosmo si espande secondo una rotta precisa, l’unica a consentire la nascita della vita. Parla John Barrow, teorizzatore del «principio antropico»

giovedì 10 luglio 2008

FESTIVAL

«Spoletoscienza» 20 anni dopo

Si tiene sabato e domenica la ventesima edizione di Spoletoscienza (a Spoleto, Chiostro San Nicolò), appuntamento nato nel 1989 come sezione aggiunta al Festival dei Due Mondi. Sabato, nell’incontro dal titolo «La Scienza al tramonto del secolo breve», dopo una relazione di Martin Bauer, reader in Social Psychology and Research Methodology della London School of Economics, sono previsti gli interventi di Alison Abbott, Paolo Fabbri, Paolo Rossi e dell’astrofico di Cambridge John Barrow.

L’impronta sull’universo

-  Il cosmo si espande secondo una rotta precisa, l’unica a consentire la nascita della vita.
-  Parla John Barrow, teorizzatore del «principio antropico»

-  di LUIGI DELL’AGLIO (Avvenire, 10.07.2008)

L’ universo si espande, ma non a caso. Se crescesse un po’ più rapidamente o un po’ più lentamente, la vita non esisterebbe affatto. Energia oscura: per capire questo mistero dell’universo bisogna ricorrere a una cifra illeggibile, pari a 10 seguito da 120 zeri. Bene, sarebbe bastata la mancanza di uno solo di questi zeri per mandare a monte il programma della vita nell’universo.

John D. Barrow, 55 anni, uno dei più grandi matematici e cosmologi viventi, torna con nuove ragioni a sostenere che l’universo è stato fatto per la vita e per il genere umano, come affermava anche nel libro che gli ha dato fama: The Anthropic Cosmological Principle, del 1986. Docente all’Università di Cambridge, insignito del premio Templeton 2006 («per aver contribuito al progresso della conoscenza in materia di scienza e religione») e del Queen’s Anniversary Prize, Barrow parlerà a Spoletoscienza sabato, presentando il suo ultimo libro, Cosmic Imagery.

Quanto manca perché la ricerca astrofisica possa risalire all’attimo del Big Bang, la grande esplosione che ha dato origine all’Universo?

«Siamo in grado di produrre una ben dimostrata ricostruzione storica dell’universo giovane, tornando indietro fino a un secondo dopo la sua tumultuosa nascita. In quel momento, la materia è un po’ più densa dell’acqua. Poi, entro i primi tre minuti, l’universo si comporta come un grande reattore nucleare che produce deuterio, elio e litio. Subito dopo si espande. E oggi le osservazioni astronomiche confermano il modello Big Bang, accettato da quasi tutti i cosmologi. Non c’è accordo, invece, sulla complicata sequenza di eventi che dal Big Bang porta alla formazione di galassie, stelle e pianeti».

Quand’è che l’Universo comincia a creare le condizioni favorevoli alla vita?

«Per poter disporre dei ’mattoni’ necessari, occorrono elementi più pesanti dell’idrogeno e dell’elio che compaiono nei primi minuti dal Big Bang. Gli elementi interessanti dal punto di vista biochimico, come il carbonio, sono prodotti dall’idrogeno e dall’elio nelle fornaci nucleari delle stelle. Quando le stelle muoiono, questi elementi si disperdono nello spazio e trovano la loro via nei pianeti e negli esseri viventi. Il processo dell’alchimia nucleare è lungo e lento. Ha bisogno di miliardi di anni. Perciò, per creare le condizioni favorevoli alla vita, l’universo deve essere grande, vecchio, buio e freddo».

Deve allontanarsi dall’immenso calore dell’universo giovane. E diventare grande. Ma perché anche buio?

«Man mano che ci si allontana dal Big Bang, l’energia cosmica ha una densità troppo bassa perché l’universo sia luminoso di notte. Più in generale, la stessa densità media dell’universo è veramente bassa: stelle e galassie sono separate da crescenti distanze astronomiche. Gli avamposti si allontanano. La vastità e la dispersione che regnano nell’universo avevano indotto non pochi filosofi a negare il carattere teleologico, cioè finalistico, del cosmo. Ma le apparenze ingannano. La scoperta dell’espansione dell’Universo (prevista dalla teoria generale della relatività, di Albert Einstein) ha mostrato la sottigliezza e la complessità della moderna cosmologia».

Perché l’Universo continua a espandersi?

«Ecco un mistero. L’universo segue una ’rotta’, diciamo così, ed è altamente improbabile che sia stata segnata dal caso. È uno spartiacque molto preciso: se l’Universo si espandesse troppo velocemente, non riuscirebbe ad aggregare materiale nelle galassie e nelle stelle (e non si formerebbero i mattoni della vita); se si espandesse troppo lentamente, collasserebbe in un processo di crescente contrazione e non durerebbe quei miliardi di anni necessari perché si formino le stelle. È fantastico che l’Universo abbia mantenuto questa rotta per quattordici miliardi di anni».

In quali direzioni punta oggi la ricerca cosmologica?

«Scopriamo sempre nuove cose sulla ’corsa’ dell’universo. Ma c’è un altro enigma, molto stringente, da spiegare. Come rilevano i più avanzati telescopi, pochi miliardi di anni fa l’espansione sembra aver subito un’accelerazione che è tuttora in atto. È come se il moto inflazionario dell’universo sia ripreso da capo. La spinta verrebbe dall’energia oscura che rappresenta circa il 70% di tutta l’energia cosmica. Secondo tutti i calcoli eseguiti, per poterne valutare l’importanza occorre considerare un numero spropositato: dieci seguito da centoventi zeri. Se questa cifra avesse perduto un solo zero, addio galassie, stelle e forme di vita (compresa la nostra)».


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