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Radici e diversità...

SALENTO. Festival musicale, 2005: "LA NOTTE DELLA TARANTA". Alessandro Portelli presenta il cd del concerto finale.

Allegato: "Il tarantismo: esorcismo musicale" (di Paola Marangio)
giovedì 5 ottobre 2006 di Federico La Sala
[...] Ci sono momenti collettivi travolgenti, pieni d’orchestra di grande presa che danno davvero il senso di una crescita degli strumenti espressivi tradizionali; e ci sono momenti inevitabili in cui il suono è un po’ più omogeneizzato.
In qualche intervento orchestrale mi è parso di sentire i Pogues - che comunque è tutt’altro che un insulto, visto che sono stati fra i più grandi interpreti della contemporaneità della musica popolare, ma che rinvia un poco a una koiné di world music (...)

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giovedì 14 giugno 2007

Sulle tracce delle tarantolate nella terra del cattivo passato

Da un viaggio sulle piste di De Martino, «Rosso taranta», il diario sul campo di Angelo Morino uscito per Sellerio. Fra pagine d’epoca e peregrinazioni attuali, il racconto delle invasate, che nelle loro danze esprimono un ordine rituale concertato per ricomporre la crisi

di Paolo Febbraro (il manifesto, 13.06.2007)

In una libreria d’occasione, nell’inverno del 2000, lo scrittore torinese Angelo Morino trovò l’edizione recentemente ristampata della Terra del rimorso. Contributo a una storia religiosa del Sud, uno degli ormai classici studi derivati dalle spedizioni che il grande etnologo Ernesto De Martino conduceva nel meridione d’Italia, durante gli anni centrali dello secolo scorso. Quel viaggio, in particolare, era avvenuto nel giugno del 1959 e diretto a sud di Lecce, alla ricerca di una verità antropologica che spiegasse il fenomeno delle donne tarantate, o tarantolate, che, dalle campagne salentine di Nardò o Galàtone, giungevano a Galatina, nei giorni precedenti alla festa di san Paolo, venivano portate nella cappella consacrata all’apostolo e lì si scatenavano nei loro balli frenetici, fino a che l’apostolo stesso non sussurrava loro parole di grazia e di guarigione. All’inizio dell’estate 2001, lo scrittore torinese decise di intraprendere lo stesso viaggio verso quella che De Martino chiamò - riferendosi a tutto il Meridione - la «terra del cattivo passato». Ne è derivato un diario sul campo, un racconto episodico intitolato Rosso taranta (Sellerio, pp. 176, euro 10,00), alla ricerca delle tracce, più somatiche che mnemoniche, di quegli invasamenti.

Il Salento del Duemila solo in parte risponde. Nel tempo del turismo di massa e dell’omologazione ha visto evaporare i suoi miti e le sue ossessioni, blandamente tradotte nelle feste e nelle sagre di paese, ormai programmate come un posticcio teatro di massa. Morino intreccia il resoconto del suo libro-guida, con le testimonianze anche fotografiche raccolte dalla volenterosa équipe di De Martino, e le impressioni del viaggiatore odierno, dettagliate e avide, ma spesso smarrite in un contesto ormai depauperato, generico. Così, il libro è un ibrido: non solo nel senso della contaminazione temporale, ma innanzitutto fra suggestione libresca e ricerca di concreti contatti, fra il richiamo di un sottotesto ormai letterario, quasi fantastico, e le frammentate epifanie che incrinano appena un presente quasi del tutto conquistato dal progresso.

Morino dimostra un notevole talento antropologico, o - che non è così diverso - immaginativo. Il suo obiettivo è quello di andare ancora più a fondo nelle intuizioni del grande etnologo che lo ha preceduto, aggiungendo alle interpretazioni più plausibili i sensibili rilievi di chi comprende la natura spesso sessuale della repressione subita dalle donne, o dagli uomini per motivi di omosessualità, e dunque della straziante energia, della rovinosa esaltazione che dava origine alle danze delle tarantate. Rilievi che l’austerità dell’impostazione non consentiva al De Martino degli anni ’50, ma che l’autore cerca con insistenza, e anche con qualche morbosità, negli andirivieni compiuti fra le pagine d’epoca e le peregrinazioni attuali.

Così, Morino coglie in pieno la natura esorcistica e al tempo stesso invasatrice del movimento in cadenza, del ritmo corporeo accordato con una musica rozzamente demoniaca, capace di contenere in un recinto ciò cui pure riconosce il diritto di esplodere, quasi fosse il risarcimento collettivo e maschile di una relegata marginalità: «Il tarantismo non è un insieme di superstizioni buie, recuperate da un passato ancora più buio. È un ordine rituale, concertato per ricomporre la crisi e reintegrare alla comunità. Ogni anno, in ricorrenza dell’aggressione, la vittima ballerà e, ballando, darà sfogo al suo disturbo. Lo placherà esibendolo e imponendogli una cadenza... Niente chiusure intorno a chi è stato morso dalla taranta, ma neppure un abbandono alle vastità e ai pericoli del mondo. Tutto il contrario: la cura in casa, programmata affinché una giusta follia si sostituisca alla smania».

La dimensione sociale, ossimorica, di quella «giusta follia» testimonia che proprio l’angustia familiare ed economica, che segretamente nutriva l’eccesso, pure s’incaricava di ordinarlo ritualmente, di reggerlo in musica e sguardo contenitivo. Le esagitate recitavano inconsapevolmente un’arcaica superpotenza femminile, che ciclicamente lacerava i convenzionali mandati sociali della donna, vicarietà e generazione, in una lunaticità madornale e errabonda. È questa corporeità danneggiata e ribelle che l’autore cerca di recuperare, grazie anche ai suggerimenti procuratigli dalla sua sensualità accesa. Anche in questo il libro si rivela un ibrido, ma stavolta insidioso: perché la patente antropologica diventa l’alibi per prolungate indulgenze estetistiche sui dettagli, in cui l’aperta, quasi polemica erotizzazione dei dati sensibili, rimanda troppo spesso al cliché dell’intellettuale che dal proprio mondo di libri si immerge nel sanguigno misterioso, nel folklorico inespugnato. Col rischio incipiente, e non sempre controllato, della prosa d’arte, del taccuino elegante, che nelle ripetute fantasie antropofagiche, ad esempio, registra la metafora involontaria di uno stilismo egemone, di un atteggiamento da degustatore, anche vorace, e spesso arbitrario.


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