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L’amore (charitas) di Dio, il Logos del dia-logare ....

I commenti di Khaled Fouad Allam e di Aref Ali Nayed alla lezione di Benedetto XVI a Ratisbona, a cura di Sandro Magister.

giovedì 5 ottobre 2006 di Federico La Sala
[...] siamo alle prese con una eurocentrica e grecocentrica arrogante esaltazione del cristianesimo. Lascio ai teologi cristiani latinoamericani, africani e asiatici di esaminare questa strana appropriazione.
Per una Chiesa che è oggi del tutto internazionale, il papa davvero va fuori strada quando estrania tutto ciò che non è dentro la cultura greco-europea. Egli in sostanza sostiene che elementi greci ed europei sono fondamentali per la fede cristiana stessa. Io trovo l’intera sua tesi (...)

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> Khaled Fouad Allam e Aref Ali Nayed. Due studiosi musulmani commentano la lezione papale di Ratisbona, con una nota introduttiva di Sandro Magister

giovedì 5 ottobre 2006

Arbitrio o Logos? Il Dio dell’islam e quello cristiano

A proposito del commento del teologo musulmano Aref Ali Nayed alla lezione di Benedetto XVI a Ratisbona

di Alessandro Martinetti *

Il commento di Aref Ali Nayed alla “lectio” di Benedetto XVI a Ratisbona stimola alcune riflessioni, in particolare a proposito del rapporto tra Dio e ragione.

Scrive Nayed:

“La ragione è un dono di Dio che non può essere al di sopra di Dio. Questo è il punto centrale di Ibn Hazm; un punto che è stato parafrasato in forma mutilata dalle dotte fonti di Benedetto XVI. Ibn Hazm, come i teologi Ashariti con i quali spesso polemizzava, insisteva sull’assoluta libertà dell’agire di Dio. In ogni caso Ibn Hazm riconosceva, come molti altri teologi musulmani, che Dio sceglie liberamente, nella sua compassione verso le sue creature, di agire ragionevolmente in coerenza con se stesso, così che noi possiamo usare la nostra ragione per allineare noi stessi alla guida e agli ordini di Dio.

“Ibn Hazm, come molti altri teologi musulmani, teneva fermo che Dio non è esternamente vincolato da niente, nemmeno dalla ragione. Comunque, in nessun punto Ibn Hazm sostiene che Dio non impegna se stesso liberamente e non onora questo suo impegno. Questo divino libero autoimpegnarsi è detto nel Corano ‘kataba rabukum ala nafsihi al-Rahma’ (il tuo Dio ha impegnato se stesso alla compassione). La ragione non deve essere al di sopra di Dio, né essere esternamente normativa per lui. Può essere normativa solo per grazia di Dio, a motivo del libero impegnarsi di Dio stesso ad agire in coerenza con sé.

“Per credere in quest’ultima proposizione non c’è bisogno di essere irrazionali o irragionevoli, con un Dio irrazionale o bizzarro! Il contrasto tra cristianesimo e islam su questa base non solo è ingiusto, ma anche equivoco.

“Non c’è dubbio che il papa si sforzi di convincere una università laica che la teologia ha un posto in un contesto basato sulla ragione. Tuttavia, questo non dovrebbe arrivare fino al punto di assoggettare Dio a una ragione che lo vincoli dall’esterno. La maggior parte dei grandi teologi cristiani, compreso l’amante della ragione Tommaso d’Aquino, non hanno mai posto la ragione al di sopra di Dio."

A giudizio di Nayed, dunque, san Tommaso “non ha mai posto la ragione al di sopra di Dio”. Ma evitare di porre la ragione al di sopra di Dio non è ritenere, come invece Nayed fa, che questa mancata sovraordinazione della ragione a Dio autorizzi ad affermare che “Dio non è esternamente vincolato da niente, nemmeno dalla ragione” e che la ragione “può essere normativa solo per grazia di Dio, a motivo del libero impegnarsi di Dio stesso ad agire in coerenza con sé”.

San Tommaso non avrebbe mai sottoscritto queste affermazioni, anzi le contrastò vigorosamente. E con lui non le sottoscrive ma le contrasta il magistero cattolico. Il quale respinge pertanto la rappresentazione di un Dio che “sceglie liberamente, nella sua compassione verso le sue creature, di agire ragionevolmente in coerenza con se stesso, così che noi possiamo usare la nostra ragione per allineare noi stessi alla guida e agli ordini di Dio”.

Se affermare che la ragione non è normativa per Dio, e che Dio è coerente con sé stesso solo per scelta sovranamente libera e non esternamente vincolata alla ragione, equivale ad affermare - come mi pare Nayed faccia - che Dio potrebbe esistere ed agire in spregio alla ragione se solo lo volesse con atto di sovrana illimitata libertà, allora è opportuno precisare che Tommaso, e con lui il magistero cattolico, rigetta tale convinzione, scorgendovi un volontarismo irrazionalistico incompatibile con la retta ragione e con la fede cattolica, come il papa stesso rimarca nella “lectio” di Regensburg:

“Per onestà bisogna annotare a questo punto che, nel tardo Medioevo, si sono sviluppate nella teologia tendenze che rompono questa sintesi tra spirito greco e spirito cristiano. In contrasto con il cosiddetto intellettualismo agostiniano e tomista iniziò con Duns Scoto una impostazione volontaristica, la quale alla fine, nei suoi successivi sviluppi, portò all’affermazione che noi di Dio conosceremmo soltanto la ‘voluntas ordinata’. Al di là di essa esisterebbe la libertà di Dio, in virtù della quale Egli avrebbe potuto creare e fare anche il contrario di tutto ciò che effettivamente ha fatto. Qui si profilano delle posizioni che, senz’altro, possono avvicinarsi a quelle di Ibn Hazm e potrebbero portare fino all’immagine di un Dio-arbitrio, che non è legato neanche alla verità e al bene. La trascendenza e la diversità di Dio vengono accentuate in modo così esagerato, che anche la nostra ragione, il nostro senso del vero e del bene non sono più un vero specchio di Dio, le cui possibilità abissali rimangono per noi eternamente irraggiungibili e nascoste dietro le sue decisioni effettive.”

Qui sta parlando non il Ratzinger teologo impegnato - come molti hanno sostenuto - nell’illustrare sbrigliate e audaci posizioni teologiche autorevoli quanto si vuole ma pur sempre personali, bensì papa Benedetto XVI, il quale dottamente non fa che ribadire contenuti consolidati della dottrina cattolica, enunciati in termini identici da Giovanni Paolo II nell’enciclica “Fides et Ratio” del 1998. Nella quale si proclama il valore universale di alcuni principi razionalmente conoscibili e applicabili, tra cui il principio di non contraddizione: principio che è universale - trascendentale, direbbero i filosofi - appunto perché nemmeno Dio può derogarvi:

“In questo senso è possibile riconoscere, nonostante il mutare dei tempi e i progressi del sapere, un nucleo di conoscenze filosofiche la cui presenza è costante nella storia del pensiero. Si pensi, solo come esempio, ai principi di non contraddizione, di finalità, di causalità, come pure alla concezione della persona come soggetto libero e intelligente e alla sua capacità di conoscere Dio, la verità, il bene; si pensi inoltre ad alcune norme morali fondamentali che risultano comunemente condivise. Questi e altri temi indicano che, a prescindere dalle correnti di pensiero, esiste un insieme di conoscenze in cui è possibile ravvisare una sorta di patrimonio spirituale dell’umanità. E come se ci trovassimo dinanzi a una filosofia implicita per cui ciascuno sente di possedere questi principi, anche se in forma generica e non riflessa. Queste conoscenze, proprio perché condivise in qualche misura da tutti, dovrebbero costituire come un punto di riferimento delle diverse scuole filosofiche. Quando la ragione riesce a intuire e a formulare i principi primi e universali dell’essere e a far correttamente scaturire da questi conclusioni coerenti di ordine logico e deontologico, allora può dirsi una ragione retta o, come la chiamavano gli antichi, orthòs logos, recta ratio” (“Fides et Ratio”, 4).

Non meno limpido ed eloquente è questo passaggio della costituzione dogmatica sulla fede cattolica del Concilio Vaticano I “Dei Filius” (IV, DS 3017), citato con palese approvazione in “Fides et Ratio” al paragrafo 53:

“Ma anche se la fede è sopra la ragione, non vi potrà mai essere una vera divergenza tra fede e ragione: poiché lo stesso Dio, che rivela i misteri e comunica la fede, ha anche deposto nello spirito umano il lume della ragione; questo Dio non potrebbe negare se stesso, né il vero contraddire il vero”.

Il Magistero insegna dunque che Dio non può esercitare la propria libertà in modo contraddittorio, cioè totalmente sganciato dai principi della ragione: ai quali non si assoggetta per arbitrario decreto, ma perché egli stesso è fondamento non contraddittorio di tutto ciò che esiste. Un Dio che potesse violare il principio di non contraddizione come, quando e se vuole potrebbe indifferentemente essere amore e non amore, creatore misericordioso e carnefice sadico ed efferato, il quale impartisce un comando e poi può discrezionalmente castigare e dannare chi obbedisce al comando: una sfinge indecifrabile, volubile e potenzialmente nemica dell’uomo. Un pericoloso autocrate onnipotente che, come il papa ha evidenziato a Regensburg, “non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola”, poiché “niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Se fosse sua volontà, l’uomo dovrebbe praticare anche l’idolatria”.

Il Dio annunciato dalla Chiesa cattolica è invece - e non può che essere - sempre e soltanto buono, datore di vita e di amore, redentore e salvatore e mai persecutore, creatore e non distruttore. Egli non si compiace della sofferenza né del peccato, ma non può che porre le Sue creature nelle condizioni di attingere il proprio bene sommo. Egli è fedele e coerente - e non può che esserlo - nonostante le infedeltà e le incoerenze degli uomini nel faticoso cammino dell’esistenza individuale e della storia. Non può che essere così, perché “Dio non potrebbe negare se stesso, né il vero contraddire il vero”. Dio non può essere amore infinito e anche, contraddittoriamente, amore a termine, capriccioso, intermittente, opportunistico.

Non ignoro che molta teologia, anche in ambiente cattolico, tema il Dio che non può disattendere il principio di non contraddizione, reputando che un Dio che non possa aggirare tale principio non sia onnipotente e non possa esercitare il proprio amore in maniera sovranamente libera. Ma è chiaro quali sono i rischi che il magistero addita annidarsi nell’immagine di un Dio supremamente libero di agire contro ragione. Sarebbe tempo che venga superata l’oziosa e sterile contrapposizione tra il Dio-Logos, che ottemperando al principio di non contraddizione si rinchiude in un imperturbabile distacco razionalistico impermeabile all’amore, e il Dio-Amore, che può a talento violare i principi razionali pur di secondare la propria indole di amore libero in modo assoluto e onnipotente.

Come insegna Benedetto XVI a Ratisbona, “non agire con il ‘logos’ è contrario alla natura di Dio. [...] Dio non diventa più divino per il fatto che lo spingiamo lontano da noi in un volontarismo puro ed impenetrabile, ma il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come ‘logos’ e come ‘logos’ ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore. Certo, l’amore ‘sorpassa’ la conoscenza ed è per questo capace di percepire più del semplice pensiero (cfr Efesini 3,19), tuttavia esso rimane l’amore del Dio-’logos’, per cui il culto cristiano è ‘spirituale’ - un culto che concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione (cfr Romani 12,1).” Insomma: Dio è amore - Deus caritas est! - proprio in quanto è Logos, ed è Logos proprio in quanto è amore.

Tale è il Dio della Chiesa cattolica. Non mi pare dunque si possa concordare con Nayed, quando asserisce che “il contrasto tra cristianesimo e islam su questa base non solo è ingiusto, ma anche equivoco”.

Se è vera l’immagine del Dio dell’islam avvalorata da Nayed - e non intendo entrare nel merito di tale questione né avventurarmi in perigliosi esercizi di esegesi coranica -, se cioè “Dio sceglie liberamente, nella sua compassione verso le sue creature, di agire ragionevolmente in coerenza con se stesso”, e se “la ragione non deve essere al di sopra di Dio, né essere esternamente normativa per lui. Può essere normativa solo per grazia di Dio, a motivo del libero impegnarsi di Dio stesso ad agire in coerenza con sé”, allora va rilevato con nettezza che questa immagine di Dio cozza con quella professata come genuina dalla Chiesa cattolica, come il papa teologo ha nitidamente spiegato a Ratisbona.

*

http://www.chiesa.espressonline.it/dettaglio.jsp?id=87901



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