Perché sempre in Campania?
di Pietro Greco *
Perché in tutta Europa, in (quasi) tutta Italia sì e in Campania no? Perché a Napoli e dintorni il problema dei rifiuti cerca da ben tredici anni - un record continentale - di uscire dall’emergenza, mentre ovunque sta trovando tranquilla (o quasi) soluzione? È la cronaca di questi giorni, con i cumuli di immondizia saliti in alcune zone al primo piano degli edifici.
Un’immagine inquietante, come quella dei rifiuti pronti a tracimare persino nei parchi archeologici più famosi del mondo e che ci ripropone con rinnovata drammaticità la domanda: perché ovunque (o quasi) sì e in Campania no?
Il quesito è semplice, persino banale. Ma difficilmente Guido Bertolaso, Capo del Dipartimento della Protezione Civile e nuovo commissario chiamato a risolvere l’eterna emergenza rifiuti di Napoli e della sua regione, potrà portare a termine il suo compito se non troverà una risposta soddisfacente.
Il fatto è che non è semplice rispondere. Certo, le cause prossime dell’emergenza ormai cronica sono facili da individuare. In Campania, chiuse all’inizio degli anni 90 le discariche, invece di seguire le indicazioni modulari proposte dall’Unione europea, applicate, dove più dove meno, in tutto il continente e fondate sulle cosiddette "4 R" (riduzione, riuso, recupero da materia e infine recupero di energia) si è seguito il modello a una sola strada, quella del recupero di energia.
Sono nati così i sette impianti di produzione del «combustibile derivato dai rifiuti» (Cdr) e l’idea di costruire alcuni inceneritori, da molti definiti termovalorizzatori, dove bruciare i rifiuti trattati per ottenere energia. Senza pensare a null’altro. In tredici anni in Campania non si è riusciti a varare un serio programma di riduzione alla fonte dei rifiuti, né una sola struttura per il riuso e il recupero dei rifiuti. In altre parole, anche i comuni che oggi realizzano la raccolta differenziata - e ce ne sono, alcuni, come Montecorvino Rovella o Nola davvero bravi - non hanno un solo luogo in Campania dove conferire la "materia seconda" selezionata. Inoltre neppure la strada del recupero di energia, in tredici lunghi anni, è stata portata a termine: i termovalorizzatori, o inceneritori che dir si voglia, non sono stati ancora costruiti.
In pratica, la sola strada percorsa è diventata un vicolo cieco. È anche per questo che ben presto l’unica realizzazione, i sette impianti di produzione del «combustibile derivato dai rifiuti», si sono ridotti a mere discariche. Luoghi dove stivare le "ecoballe", peraltro mal confezionate e inutilizzabili anche per il «recupero di energia». Un disastro.
Essendo l’unica valvola di sfogo, dove i rifiuti entrano e non escono perché vengono conferiti e mai termovalorizzati, i sette impianti di produzione del «combustibile derivato dai rifiuti» divenuti discariche si sono presto riempite. Diventando talvolta fonte di inquinamento. E, quindi, chiuse dalla magistratura.
Per di più i siti dei sette impianti divenuti discariche e dei termovalorizzatori ancora da costruire sono stati scelti - con criteri discutibili e comunque senza consultare gli enti locali e l’intera popolazione - da una società privata: la stessa che ha gestito (male) gli impianti di Cdr. Un conflitto d’interesse che ha provocato un ulteriore disastro.
E che ha esasperato fino al parossismo la «sindrome Nimby» (Not in my backyeard), non nel mio giardino: una sindrome sempre latente nella nostra "società del rischio", ma che in Campania, talvolta abilmente alimentata, assume spesso i caratteri delle antiche jacqueries, delle rivolte di popolo. Un altro disastro. Ma gli errori tecnici sono solo le cause prossime dell’eterna emergenza rifiuti. Raccontano la crisi. Non la spiegano. Resta la domanda: perché tutto questo si è verificato e si verifica in Campania e non altrove? Per rispondere occorre mettersi alla ricerca di cause più strutturali della crisi campana. Che, in ordine di importanza, possono essere individuate - senza presunzione alcuna di completezza - in almeno tre.
La causa demografica. L’alta densità di popolazione della regione e, in particolare, della provincia di Napoli. Non è facile, in una realtà altamente urbanizzata, trovare i siti adatti - lontano da centri residenziali - per risolvere il problema delle "4 R": i siti per la produzione di combustibile derivato da rifiuti e i siti dei termovalorizzatori, certo, ma anche siti di raccolta e differenziazione, di compostaggio, di recupero a secco. Si dirà: ma in Olanda la densità di popolazione è persino maggiore, ma nessuno ha mai sentito parlare di emergenza rifiuti.
E, infatti, nel contesto campano c’è qualcosa che in Olanda non c’è: la criminalità organizzata. La seconda causa dell’eterna emergenza è la camorra, che sui rifiuti ha costruito una parte importante del suo potere illegale e che costituisce la punta avanzata in Italia di quella che è stata chiamata, proprio per questo, ecomafia. L’odore della camorra ha accompagnato per intero questi tredici anni di crisi dei rifiuti in Campania e ne spiega, per la gran parte, l’esistenza.
Ma la causa principale è politica. Una causa complessa, dai mille volti (anche nel senso dei personaggi coinvolti) che si dipana a ogni livello: nazionale, ma soprattutto regionale e locale. Gli errori della politica sono stati quelli di essersi, sistematicamente, tirata indietro. Sottratta alle proprie responsabilità.
Sin da quando, nel 1994, ha fatto passare l’idea che esistesse un’emergenza rifiuti specifica della Campania e del Mezzogiorno d’Italia da affrontare con poteri straordinari (il commissario di governo) e non un problema ordinario, da risolvere - in Campania e nel Mezzogiorno, come nel resto d’Italia e d’Europa - con gli ordinari strumenti della politica.
Un secondo errore è stato quello di non battere tutte le strade aperte delle "4 R", ma di puntare di fatto, come abbiamo detto, su una sola strada: quella del "recupero di energia". Un terzo errore - commesso dal presidente regionale Antonio Rastrelli ma, bisogna dirlo, non risolto da Antonio Bassolino - è quello di aver lasciato che le soluzioni tecniche venissero cercate e trovate da una società privata, in conflitto di interesse, piuttosto che dalla politica.
Un ultimo errore, commesso un po’ da tutti, è di non aver capito fino in fondo che la "società del rischio" non può essere governata senza o addirittura contro la popolazione. Anche e soprattutto in un territorio inquinato moralmente dalla camorra e fisicamente dai rifiuti tossici e nocivi con cui la camorra si è arricchita, facendo della Campania la discarica occulta dell’industria italiana.
Ed è proprio dalla popolazione campana che bisogna ripartire per risolvere, in via ordinaria, l’emergenza eterna. Essa ha più volte dimostrato che, se viene davvero coinvolta, non è diversa dalla popolazione del Trentino, della Bavaria o della Scandinavia: sa guardare ai rifiuti come a una risorsa e non solo come a un problema.
www.unita.it, Pubblicato il: 11.10.06 Modificato il: 11.10.06 alle ore 8.52