Quella voce che infastidiva il Cremlino L’omicidio della giornalista pone nuovi dubbi sul ruolo dell’Occidente nei confronti di Mosca
di Franco Venturini *
In realtà non sapremo probabilmente mai chi ha ucciso Anna Politkovskaya, come non sapremo mai chi ha fatto fuori il vicegovernatore della banca centrale il mese scorso. La Russia dell’«autoritarismo democratico» è terra dal grilletto facile, ogni provocazione interna o esterna è possibile (davvero Putin è tanto stolto da far liquidare una avversaria famosa sotto gli occhi del mondo ?), ma resta comunque inevitabile chiedersi chi avesse il maggior interesse a far tacere per sempre la voce più scomoda di Mosca. E la risposta, rimanendo alle apparenze, è altrettanto inevitabile: il Cremlino. Quel Cremlino che Anna Politkovskaya aveva denudato in articoli e libri (l’ultimo, «La Russia di Putin», è un bestseller internazionale), che era stato incalzato senza tregua sulle crudeltà militari e gli errori politici della guerra in Cecenia, che si era visto accusare di connivenza nel clientelismo generalizzato, nella corruzione dei burocrati, nella dipendenza della magistratura dal potere centrale. La Russia di Putin descritta dalla Politkovskaya è tutto meno che una democrazia funzionante, e una certa nostalgia per gli anni di Eltsin non ha certo lenito l’irritazione degli uomini del presidente. Forse per questo nel 2004 si parlò di un tentativo di avvelenamento. E forse per questo la Politkovskaya è stata ora crivellata di colpi in un ascensore. Ma nutrire legittimi sospetti e rendere omaggio alla schiena diritta di una giornalista assassinata, quando si parla di Russia, non può bastare. Oltre alle contraddizioni di Putin, bisogna parlare delle nostre. Il Cremlino è impegnato in un pericoloso braccio di ferro con la Georgia ex sovietica che vuole ora entrare nella Nato, e alla quale la Nato ha già fatto più di una promessa come le aveva fatte all’Ucraina prima che i filorussi ridimensionassero la rivoluzione arancione di Kiev. Putin è contrario all’indipendenza del Kosovo, e non esclude di utilizzare l’eventuale precedente proprio nelle enclaves della Georgia che guardano a Mosca. La Russia non gradisce che uno «scudo stellare» americano stia per essere costruito in Polonia.
Mosca vuole affermare il suo nazionalismo energetico, e per questo sottopone la Shell a poco credibili condizionamenti ambientalistici nel progetto Sakhalin-2 mentre applica una snervante doccia scozzese agli interessi russi della British Petroleum. E poi ci sono la libertà d’informazione che Anna Politkovskaya era ormai una delle ultime a difendere, ci sono i diritti umani così incerti da indurre l’inviato dell’Onu Manfred Nowak a non visitare la Cecenia per l’impossibilità di parlare a tu per tu con i detenuti, c’è una evoluzione dell’intero sistema di potere ampiamente insoddisfacente per i nostri valori benché a Putin continui a non mancare il consenso del suo popolo. È giunta l’ora che l’Occidente si faccia sentire, allora? Un momento. La Russia svolge un ruolo cruciale nei confronti dell’Iran, e siede in quel Consiglio di sicurezza dell’Onu che sembra ormai in marcia - così sperano gli Usa - verso le sanzioni anti Teheran. E la Russia è anche una superpotenza energetica, che fornisce all’Europa oltre un quarto dei suoi vitali approvvigionamenti. Cosa è consigliabile fare, allora, litigare con Putin o rendere più solidi gli accordi che con lui già esistono, parlargli di diritti umani o pregarlo di lasciar stare gli investimenti occidentali in Russia e di sottoscrivere nuove garanzie sull’aumento delle forniture di gas e petrolio? Da alternative tanto radicali è nata ormai da tempo una nevrosi occidentale verso la Russia. La sfida, che anima il dibattito interno tedesco, ma che è presente o dovrebbe esserlo in tutte le capitali dell’Occidente, consiste nel trasformare la nevrosi in politica. Per esempio evitando di provocare la Russia con un ulteriore allargamento della Nato ai suoi confini e in regioni di primario interesse per Mosca. Per esempio facendo valere una simile prudenza ed esigendo adeguate contropartite. Per esempio non rinunciando mai ai nostri valori nella esplicita difesa delle libertà sociali e dei diritti umani, magari distinguendo i sospetti dalle certezze. La definizione di una politica verso lo scrigno energetico russo è per l’Occidente una necessità non più rinviabile. E anche l’Italia è attesa urgentemente alla prova, senza dimenticare quella giornalista assassinata in ascensore.08 ottobre 2006
Franco Venturini
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www.corriere.it, 08.10.2006