[...] Nel 2001 Politkovskaja fu arrestata nella Cecenia meridionale ed espulsa con l’accusa di aver violato le norme sulla copertura giornalistica del conflitto imposte da Mosca. Nel 2002, durante la crisi del teatro Dubrovka a Mosca (culminata nella strage di oltre 100 persone per il gas tossico usato nel successivo blitz dalle forze speciali russe) i terroristi ceceni la indicarono come possibile mediatrice con il governo di Putin, unica giornalista della quale avevano fiducia. Nel 2004 un primo inquietante episodio. In volo verso Beslan per seguire l’assedio della scuola dove i terroristi ceceni si erano asserragliati prendendo in ostaggio centinaia di bambini, la Politkovskaja si sentì male. Avvelenamento.
Ora il suo omicidio [...]
Uccisa la giornalista che denunciò la guerra di Putin*
La giornalista Anna Politkovskaja, famosa per le sue denunce contro Putin sulla guerra in Cecenia, è stata ammazzata a colpi di pistola al centro di Mosca. L’arma, insieme a quattro bossoli, sarebbe stata ritrovata dalla polizia accanto al cadavere nell’ascensore dello stabile dove abitava nel centro della capitale.
Lo scontro fra la giornalista della Novaja Gazeta e il Cremlino nasce nei lunghi anni di lavoro come reporter in Cecenia, iniziati nel 1998 con un’intervista all’allora presidente Aslan Maskhadov. Nel 2001 Politkovskaja fu arrestata nella Cecenia meridionale ed espulsa con l’accusa di aver violato le norme sulla copertura giornalistica del conflitto imposte da Mosca. Nel 2002, durante la crisi del teatro Dubrovka a Mosca (culminata nella strage di oltre 100 persone per il gas tossico usato nel successivo blitz dalle forze speciali russe) i terroristi ceceni la indicarono come possibile mediatrice con il governo di Putin, unica giornalista della quale avevano fiducia. Nel 2004 un primo inquietante episodio. In volo verso Beslan per seguire l’assedio della scuola dove i terroristi ceceni si erano asserragliati prendendo in ostaggio centinaia di bambini, la Politkovskaja si sentì male. Avvelenamento.
Ora il suo omicidio, dice il direttore della Novaja Gazeta Dimitri Muratov, «sembra essere una punizione per i suoi articoli». Anna Politkovsakaja era nata nel 1958. Il suo libro più recente è «La Russia di Putin», del 2005)
*
www.unita.it, Pubblicato il: 07.10.06 Modificato il: 07.10.06 alle ore 17.29
Afghanistan, l’Isaf: «Uccisi due giornalisti»
L’Afghanistan non è più tanto il luogo sicuro come annunciato dagli Usa. Ormai non solo i soldati dell’Isaf sono oggetto di attacchi. Uomini armati non identificati hanno ucciso due giornalisti tedeschi che erano in viaggio verso il nord dell’Afghanistan. La notizia è stata riferita prima da funzionari afghani del ministero dell’Interno e infine confermata dal contingente Isaf.
Stando a quanto reso noto dal portavoce Dominic White, i due, un uomo e una donna, sarebbero stati uccisi nella notte tra venerdì e sabato. I due giornalisti avevano lavorato al seguito delle unità Isaf fino a mercoledì scorso e quindi avevano proseguito per conto proprio. I corpi senza vita dei due sono stati ritrovati all’interno di una tenda da campeggio circa 150 chilometri a sud di Baghlan. «Due civili tedeschi in viaggio nella notte sono stati uccisi da colpi di arma da fuoco da persone non identificate», ha detto il portavoce del ministro dell’interno.
Le due vittime sono state trasportate a Kabul. La polizia ha spiegato che i due, un uomo e una donna, stavano lavorando ad un documentario ed erano in viaggio dalla provincia di Baghlan verso la provincia di Bamiyan.
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www.unita.it, Pubblicato il: 07.10.06 Modificato il: 07.10.06 alle ore 15.37
La Stampa, 20/2/2009
LA SVOLTA
Politkovskaia, riaperte le indagini
La corte ha deciso di restituire alla procura il fascicolo d’inchiesta
MOSCA Riparte daccapo l’inchiesta sull’omicidio della giornalista di opposizione Anna Politkovskaia, uccisa il 7 ottobre 2006 a Mosca nell’ascensore di casa. Lo riferiscono le agenzie. La corte militare della capitale ha infatti deciso di restituire al comitato investigativo presso la procura generale il fascicolo d’inchiesta sul caso dopo che ieri la giuria del processo ha pronunciato un verdetto di non colpevolezza per tutti gli imputati.
«Dato che i giurati hanno deciso che i fratelli (Dzhabrail e Ibragim) Makhmudov e Serghei Khadzhikurbanov non sono implicati in questo crimine, il caso deve essere rinviato al comitato d’indagine della procura russa, con lo scopo di individuare le persone coinvolte in questo delitto», ha dichiarato il presidente Ievgheni Zubov. I giudici togati si sono ritirati per emettere la sentenza assolutoria sulla base del verdetto di ieri.
L’avvocato Markelov e la reporter del quotidiano della Politkovskaia freddati a Mosca
Indagavano sui crimini delle forze russe. Manifestazioni a Grozny, su Facebook un minuto di silenzio
Baburova, sdegno anche in Cecenia
Il Consiglio d’Europa: "Si faccia piena luce" *
GROZNY - Sconcerto e rabbia nella capitale cecena Grozny dopo l’uccisione dell’avvocato Stanislav Markelov e di Anastasia Baburova, collaboratrice di ’Novaia Gazeta’, lo stesso giornale per cui lavorava Anna Politkovskaia. Manifestazioni di protesta hanno attraversato il centro della città. A Mosca, sul luogo dove ieri i due sono stati assassinati, sono state depositate corone di fiori dai difensori dei diritti umani.
Markelov è il settimo avvocato ucciso in Russia negli ultimi dieci anni, la Baburova il quinto giornalista eliminato negli ultimi dodici mesi. I due sono stati ammazzati da un killer con il volto coperto: ha freddato con un colpo alla nuca il legale e poi la giornalista che tentava di inseguirlo in via Precistenka, nella zona del ’Miglio d’oro’.
Entrambi erano appena usciti da una conferenza stampa: Markelov aveva annunciato ricorso contro la liberazione anticipata del colonnello Iuri Budanov, condannato a dieci anni per il sequestro e lo strangolamento di una diciottenne in Cecenia, Elza Kungaieva, durante la seconda guerra contro la Russia. Secondo il padre di Elza, Markelov nell’ultima settimana aveva ricevuto minacce.
Gli investigatori non hanno ancora un identikit preciso (si parla genericamente di un uomo alto circa un metro e ottanta e di aspetto slavo) e ipotizzano che il movente sia da ricercare nell’attività professionale del legale, noto per il suo impegno civile e per aver difeso numerosi ceceni contro le violenze di militari russi, anche di fronte alla Corte di Strasburgo, davanti alla quale intendeva impugnare la liberazione di Budanov.
Tra gli ultimi casi di cui si era occupato anche la brutale aggressione contro Mikhail Beketov, direttore del quotidiano ’Khimkinskaia Pravda’, che aveva ripetutamente denunciato la speculazione edilizia in un sobborgo di Mosca: il giornalista, al quale è già stata amputata una gamba, è in coma da metà novembre.
L’arma del delitto non è ancora stata trovata; la videocamera del palazzo accanto al luogo del delitto non era in funzione. "Uccisioni del genere sono una vergogna per il Paese", ha commentato Liudmila Alexeieva, responsabile del gruppo di Helsinki per i diritti umani. I dimostranti hanno chiesto l’apertura di un’inchiesta urgente sull’attentato.
La condanna del Consiglio d’Europa. Il Consiglio d’Europa chiede "piena luce sull’assassinio. Guai a consentire che simili delitti restino impuniti". E’ l’appello lanciato in un comunicato dal liberale svizzero Dick Marty, responsabile della situazione dei diritti umani nel Caucaso settentrionale per l’Assemblea parlamentare dell’organismo di Strasburgo, che non ha niente a che fare con l’Unione Europea e che conta 47 stati membri tra cui anche la Russia.
"Sono profondamente scioccato - scrive Marty nella nota- di apprendere dell’assassinio di Stanislav Markelov, i cui instancabili sforzi per combattere l’impunità di quanti si sono resi responsabili di violazioni dei diritti umani in Cecenia e altrove nel nord del Caucaso gli sono costati la vita".
Un minuto di silenzio su Facebook. Solidarietà è stata espressa anche dal popolo di Facebook, che ha indetto per questa sera alle 19 un minuto di silenzio in nome della libertà di stampa e delle vittime morte per difenderla.
* la Repubblica, 20 gennaio 2009
Omicidio Politkovskaya, il processo sarà militare *
Il processo per l’omicidio della giornalista russo Anna Politkovskaya sarà trasferito a un tribunale militare. A pochi giorni dal secondo anniversario dell’assassinio della reporter (uccisa il 7 ottobre del 2006 a Mosca) il figlio Ilya Politkovski ne ha dato l’annuncio nel corso di una conferenza stampa nella sede di “Reporters senza frontiere” (Rsd). «Il processo sarà trasferito davanti a un tribunale militare - ha spiegato - Il processo potrebbe svolgersi a porte chiuse», ma la decisione su quest’argomento «non è stata ancora resa nota».
La Procura generale russa ha chiuso il 18 giugno l’indagine sull’omicidio del giornalista russa e ha rinviato a giudizio i tre presunti colpevoli. Il processo per l’uccisione della reporter, critica nei confronti del Cremlino e autrice di molti reportage sulla Cecenia, potrebbe dunque iniziare in tempi brevi anche se l’autore materiale dell’omicidio resta tuttora a piede libero e la polizia non è riuscita a individuare i mandanti. I tre sospetti sono Sergei Khadzhikubabov e la coppia di fratelli Dzhabrail and Ibragim Makhmudov. Un terzo fratello, considerato l’esecutore dell’omicidio, è fuggito dalla Russia e secondo gli inquirenti si troverebbe in Europa. Un quarto sospetto, l’ex ufficiale dei servizi segreti russi (Fsb), Pavel Riagouzov, è accusato di abuso di potere e dell’estorsione di 10.000 dollari. L’ex spia ha chiesto di essere giudicato da un tribunale militare, dove però sarà presente una giuria civile.
«Questo è un caso politico, non c’è assolutamente speranza senza una giuria», ha commentato Murad Musayev, difensore di uno degli imputati, aggiungendo inoltre che è stata parzialmente accolta anche la richiesta di citare altri testimoni. Musayev ha osservato che «il processo porterà in tribunale due autisti e un mediatore», l’ultimo anello di una lunga catena, e si è chiesto quindi «come si possa considerare risolto il caso se non sono presenti mandanti, organizzatori ed esecutori».
Anche il figlio della Politkovskaya si è rammaricato che nel corso del processo non verranno giudicati «l’esecutore e i mandati», che «non saranno sul banco degli imputati». «Il processo tratterà solo un’infima parte di questo caso», dice il figlio della vittima. «Sono convinto che collaboratori dei servizi segreti abbiano dall’inizio tentato di interferire nell’inchiesta», ha detto Politkovski, che avverte che le possibili «dichiarazioni che sostengono che sulla questione è stata fatta chiarezza sono delle menzogne». «Temiamo che le autorità russe vogliano fare molto rumore dopo questo processo per dire che il caso è chiuso», ha sottolineato il nuovo segretario generale di Rsf, Jean-François Julliard. Politkovski ha sostenuto che «i collaboratori dei servizi speciali hanno tentato fin dall’inizio di interferire nell’inchiesta. Io non accuso il governo e le autorità russe. Parlo di elementi isolati nell’ambito dei servizi segreti», ha sottolineato. Per Julliard, «l’arrivo di Dmitri Medvedev (alla presidenza) non ha cambiato nulla» per la situazione dei mass media in Russia».
«Diciannove giornalisti sono stati uccisi in Russia dal 2000 e l’«impunità totale» regna «in questo settore», ha ricordato. Il segretario generale di Rfs si è detto preoccupato per la «mancanza palese di pluralismo nel settore audiovisivo» e del sempre più frequente ricorso «ad accuse di estremismo per far tacere i media indipendenti».
In occasione del secondo anniversario della morte di Anna Politkovskaja, Annaviva, l’associazione nata per mantenere viva la sua memoria, organizzerà un presidio di fronte a Palazzo Marino a Milano, per commemorare e per chiedere al comune di Milano di piantare in suo nome un albero nel Giardino dei Giusti. Il presidio, che si svolgerà il 7 Ottobre 2008, alle ore 20.30, in piazza della Scala, vedrà la partecipazione di numerose autorità e personalità, tra cui l’attrice Ottavia Piccolo.
* l’Unità, Pubblicato il: 03.10.08, Modificato il: 03.10.08 alle ore 16.30
Caduti per amore di notizia
di MIMMO CANDITO (La Stampa, 4/5/2008)
Nella «Giornata mondiale della libertà di stampa» l’Onu ricorda le vittime di un mestiere sempre più esposto a rischi e poteri forti. Perché l’Italia è sessantesima.
E’ molto probabile che, l’anno prossimo, scivoleremo giù da quel già sconsolante sessantesimo posto che Reporters sans Fronrières e gli altri organismi hanno assegnato all’Italia quando ieri, Giornata della libertà d’informazione, in cui l’Onu ha commemorato i giornalisti caduti nel loro lavoro, hanno pubblicato la graduatoria mondiale. I parametri per decidere il posto nella classifica della libertà di stampa tengono conto di molti fattori, e l’intreccio tra interessi editoriali e interessi politici non è di poco conto. Berlusconi editore, in qualche modo, di Mediaset e della Rai e però anche presidente (prossimo) del Consiglio dei ministri comporta un costo che la nuova classifica, il 3 maggio del 2009, registrerà implacabile.
Ma siamo davvero un paese da sessantesimo posto? A sentire Grillo, altro che sessantesimi: giù, giù, siamo proprio in fondo alla classifica, centesimi, centocinquantesimi, un giornalismo tutto di servi, tutto di camerieri. Che servi e camerieri ci siano, è innegabile: qualche tempo fa, il presidente Ciampi ebbe a esortare il giornalismo italiano a «tener sempre la schiena dritta», e l’esortazione non ci sarebbe stata se quella schiena Ciampi non l’avesse vista spesso ben piegata. E d’altronde, basta osservare come molti telegiornali hanno praticato una deprimente autocensura sulle immagini che mostravano Berlusconi a villa Certosa mentre mimava di sparare contro la giornalista russa «troppo invadente» (i lettori hanno segnalato quelle immagini soltanto su Tg3, La7 e TgSky).
Ma, al di là delle violenze verbali di Grillo, l’ampia partecipazione popolare alla sua manifestazione è una realtà della quale bisogna tener conto, se non vogliamo che questa Giornata mondiale sia esclusivamente rituale. Tanta gente che va in piazza e protesta e grida e s’infuria sulle news significa una cosa anzitutto: che v’è una domanda forte d’una informazione credibile, garantita. Affidabile.
Tuttavia, per aiutarci a coglierne il senso autentico dobbiamo leggere quella partecipazione assieme a un’altra notizia, anch’essa di questi giorni: le dimissioni del direttore del Wall Street Journal, che ha considerato di non poter continuare il proprio lavoro per l’invadenza eccessiva del nuovo proprietario. In altre parole: il nuovo padrone del WSJ, Rupert Murdoch, oltre che l’editore voleva fare anche il direttore, e allora il giornalista ha preso il cappello e se n’è andato. Integrare le due notizie aiuta a comprendere che il giornalismo ha, dovunque, un compito molto difficile, nella sua ricerca di una mediazione accettabile tra la lettura autonoma della realtà e la pressione condizionatrice che invece mettono in atto i poteri, politico, economico, culturale, per ottenere una lettura funzionale ai propri interessi.
Questa mediazione è fisiologica, è cioè pratica costante; e da quando la centralità dell’informazione è diventata un principio riconosciuto, la mediazione si è fatta ancor più difficile. Dire tutti servi, tutti camerieri, può anche consolarci, in quella pratica del «pensiero binario» (come lo chiama Edgard Morin) che nei fatti tradisce la realtà, la quale non è bianca o nera ma è una complessità di contraddizioni molteplici. Ricordare le dimissioni al WSJ aiuta, nella Giornata mondiale della libertà dell’informazione, a capire che l’aspettativa di un giornalismo credibile si realizza meglio se si aiuta il giornalismo a non trovarsi da solo nel braccio di ferro con i poteri.
VIDEO NEL MONDO (La Stampa, 6/10/2007)
Un anno dalla morte di Anna Politkovskaya
Politkovskaya, un anno fa l’assassinio
La giornalista russa fu uccisa da quattro colpi di pistola nel portone del palazzo dove abitava (La Stampa, 7/10/2007 - 8:3)
MOSCA. È trascorso un anno esatto dall’assassinio a Mosca di Anna Politkovskaya, la giornalista russa che con articoli e testimonianze di guerra aveva criticato con severità la politica del Cremlino in Cecenia.
In coincidenza con l’anniversario - riferisce l’agenzia di stampa Ria Novosti - nella capitale russa attivisti impegnati nella difesa dei diritti umani, giornalisti e militanti di opposizione hanno organizzato diverse manifestazioni. Politkovskaya fu uccisa da quattro colpi di pistola nel portone del palazzo dove abitava, in pieno centro, il pomeriggio del 7 ottobre 2006.
In relazione al delitto, l’inchiesta condotta dalla magistratura russa ha portato all’arresto di oltre dieci persone. A finire sotto accusa sono stati anche alcuni ex funzionari dei servizi di sicurezza e il leader ceceno di un’organizzazione criminale attiva a Mosca. Nell’agosto scorso, il procuratore generale Yuri Chaika ha sostenuto che il mandante dell’assassinio si trova all’estero.
Seppur ancora parziali le conclusioni dell’inchiesta non hanno convinto alcune ong, che hanno denunciato la mancanza di volontà politica nell’individuare e punire i responsabili dell’assassinio. Più in generale, a esprimere preoccupazione per il rispetto della libertà di stampa in Russia sono stati diversi governi e leader politici occidentali.
Ieri la polizia russa ha fermato per alcune ore cinque attivisti stranieri, in viaggio verso la città di Nizhny Novgorod per partecipare a una conferenza dedicata a Politkovskaya.
Sarà conferito alla memoria della giornalista russa
Anna Politkovskaja uccisa a Mosca il 7 ottobre.
La giuria ha votato all’unanimità
RUSSIA
Anna Politkovskaja e il presidente Putin
di Andrei Piontkovski (traduzione dal francese di José F. Padova) *
Il direttore del Centro di ricerche strategiche di Mosca denuncia l’atmosfera irrespirabile che regna attualmente in Russia. Dove si moltiplicano gli assassini e si scatena la xenofobia
Le Courrier International, Paris
http://www.courrierinternational.com/
Anna Politkovskaja è stata assassinata da fascisti. Dalla medesima banda che, tre anni fa, ha avvelenato un’altra personalità della Novaja Gazeta, Iuri Cekotchikin. Questa uccisione, seguita da molte altre, era stata una specie di esame preventivo. Perché i mandanti si sono fatti arditi e coloro che meglio se la sono sbrogliata, spartendosi le società del petrolio e del gas, sono rientrati nella cerchia dei più grandi patrimoni mondiali.
Per mantenersi su vette di questo genere, in un Paese nel quale un terzo delal popolazione vive al disotto della soglia di povertà, è assolutamente necessario privare la gente dell’intelligenza. Occorre indicare a dito i nemici della nazione: l’Occidente, i Caucasici e gli altri non-russi che vivono in Russia, nonché qualche giornalista che osa ancora criticare il regime di Putin.
Nessuno è in grado di comprendere l’aggressività della campagna contro la Georgia che il Capo dello stato in persona rinfocola apertamente e che, da un punto di vista geopolitico, è del tutto improduttiva. Le retate nelle vie di Mosca minano l’autorità della Russia in quanto Stato degno di rispetto e complicheranno a lungo le nostre relazioni non soltanto con la Georgia, ma con tutti i nostri vicini. La loro ragione d’essere è fare appello ai peggiori istinti della folla e trasformarne una gran parte in sostegno al regime. Il Capo del nostro Stato, che ha fatto studi di diritto, ha avanzato un nuovo concetto, quello di «popolazione di ceppo [ndt.: razza]»opposto all’altro di «gruppuscoli semicriminali che talvolta hanno un particolare carattere nazionale». Difficile chiamare in modo più chiaro all’aggressione razzista, in un Paese nel quale i conflitti etnici non chiedono altro che di esplodere.
La più importante organizzazione xenofoba, il Movimento contro l’immigrazione illegale (DPNI), con entusiasmo ha subito riconosciuto in Putin una guida ideologica.
Le responsabilità degli “intellettuali” è enorme
Dugin, questo fascista che non nasconde la sua adorazione per l’estetica e le pratiche delle SS, occupa gli schermi delle reti televisive di Stato per giornate intere. Egli è diventato uno degli ideologi ufficiali del regime.
L’ultimo documento che Anna Politkovskaja ha firmato prima di essere assassinata è una petizione intitolata «È necessario cessare al campagna contro la Georgia». Sono fiero che la mia firma compaia accanto alla sua. Non è un caso che ella sia stata assassinata nel corso di queste giornate di scatenata furia xenofoba. Ebbro del «diritto all’abiezione» (per usare l’espressione di Dostojevski) accordato dai demoni del Cremino, qualcuno ha deciso di festeggiare a modo suo il compleanno del suo caro Presidente.
E adesso? Potete dare un’occhiata a un sito neonazista russo che prospera da anni. Esso presenta le fotografie e dà gli indirizzi (!) di coloro che ha condannato a morte e chiama a ucciderli. Vi si trovano i nomi di Sergej Kovalev, Svetlana Gannouchkina... e l’elenco è lungo (Anna Politkovskaja ne faceva parte).
In assenza della libertà d’espressione e di strutture autenticamente democratiche la responsabilità degli “intellettuali” che oggi collaborano con il potere è enorme. Continueranno a guardare, senza reagire, il loro Paese che affonda nel fascismo di tipo cekista?
Quanto ai capi dei “grandi Stati democratici”, essi sono al disotto di tutto. Essi sanno da moltissimo tempo who is Mister Putin. Anna Politkovskaja lo aveva loro comunicato come avvertimento con i suoi libri, tradotti in inglese e francese. Ma alcuni vogliono sfruttare un giacimento d’idrocarburi russi, altri hanno bisogno del voto della Russia al Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Quindi continuano ad agire come se Putin fosse un onorevole membro del loro club. Dopo tutto, non è forse effettivamente uno di loro?
Andrei Piontkovski
Testo originale:
RUSSIE • Anna Politkovskaïa et le président Poutine
http://www.courrierinternational.com/
Le directeur du Centre de recherches stratégiques de Moscou dénonce l’atmosphère irrespirable qui règne actuellement en Russie, où se multiplient les assassinats et où se déchaîne la xénophobie.
Anna Politkovskaïa a été exécutée par des fascistes. Par la même bande qui a empoisonné, il y a trois ans, une autre personnalité de Novaïa Gazeta, Iouri Chtchekotchikhine. Ce meurtre, suivi de beaucoup d’autres, avait été un galop d’essai. Car les commanditaires se sont enhardis et ceux qui se sont le mieux débrouillés, en se partageant les compagnies pétrolières et gazières, sont rentrés dans le cercle des plus grosses fortunes du monde.
Pour se maintenir à de pareils sommets, dans un pays où le tiers de la population vit au-dessous du seuil de pauvreté, il faut absolument décérébrer les gens. Il faut désigner du doigt les ennemis de la nation : l’Occident, les Caucasiens et autres non-Russes qui vivent en Russie, ainsi que les quelques journalistes qui osent encore critiquer le régime de Poutine. Personne ne peut comprendre l’agressivité de la campagne antigéorgienne que le chef de l’Etat en personne attise ouvertement alors qu’elle est, d’un point de vue géopolitique, contre-productive. Les rafles dans les rues de Moscou sapent l’autorité de la Russie en tant qu’Etat respectable et vont pour longtemps compliquer nos relations non seulement avec la Géorgie, mais avec tous nos voisins. Leur raison d’être, c’est d’en appeler aux pires instincts de la foule et d’en transformer une large partie en soutien au régime. Le chef de notre Etat, qui a fait des études de droit, a mis en avant une notion nouvelle, celle de “population de souche” par opposition aux “groupuscules semi-criminels qui ont parfois un caractère national particulier”. Difficile d’appeler plus clairement aux attaques racistes, dans un pays où les conflits ethniques ne demandent qu’à exploser. L’organisation xénophobe la plus importante, le Mouvement contre l’immigration illégale (DPNI), a aussitôt reconnu en lui, avec enthousiasme, un guide idéologique.
La responsabilité des “intellectuels” est énorme
Douguine, ce fasciste qui ne cache pas son adoration pour l’esthétique et les pratiques SS, occupe les écrans des chaînes d’Etat à longueur de journée. Il est devenu l’un des idéologues officiels du régime. Le dernier document qu’elle a signé avant d’être abattue était une pétition intitulée “Il faut cesser la campagne contre la Géorgie”. Je suis fier que ma signature y figure à côté de la sienne. Ce n’est pas un hasard si elle a été assassinée au cours de ces journées d’ignoble déchaînement xénophobe. Ivre du “droit à l’abjection” (pour employer l’expression de Dostoïevski) accordé par les démons du Kremlin, quelqu’un a décidé de fêter à sa manière l’anniversaire de son cher président. Et maintenant ? Vous pouvez jeter un coup d’œil à un site néonazi russe qui prospère depuis des années. Il présente les photos et donne les adresses (!) de ceux qu’il a condamnés à mort, et appelle à les exécuter. On y trouve les noms de Sergueï Kovalev, Svetlana Gannouchkina... la liste est longue [Anna Politkovskaïa en faisait partie]. En l’absence de liberté d’expression et de structures véritablement démocratiques, la responsabilité des “intellectuels” qui collaborent aujourd’hui avec le pouvoir est énorme. Vont-ils continuer à regarder sans réagir leur pays s’enfoncer dans le fascisme tchékiste ? Quant aux chefs des “grands Etats démocratiques”, ils sont au-dessous de tout. Ils savent depuis fort longtemps who is Mister Putin. Anna Politkovskaïa les en avait avertis dans ses livres, traduits en anglais, en français. Mais certains veulent pouvoir exploiter un gisement d’hydrocarbures russe, d’autres ont besoin de la voix de la Russie au Conseil de sécurité de l’ONU. Ils continuent donc à faire comme si Poutine était un honorable membre de leur club. Après tout, peut-être est-il effectivement un des leurs ?
Andreï Piontkovski
* www.ildialogo.org, 03. 11.2006
E se le spie giocassero contro Putin?
di GIULIETTO CHIESA *
Se davvero all’origine degli assassini di Anna Politkovskaja e del colonnello Litvinenko ci fosse Vladimir Putin, ci troveremmo di fronte a un record di masochismo, ovvero autolesionismo, da Guinness dei primati.
Anna Politkovskaja è stata ammazzata il giorno del compleanno del Presidente russo. Un amico russo mi ha detto: «L’hanno ammazzata di pomeriggio, proprio in tempo per far arrivare il cadavere sul tavolo della festa, quando si alzano i boccali». Colpisce la coincidenza, lo sfregio. Ma forse non è solo una coincidenza, e non è certamente una sola coincidenza.
Due vertici importanti, cruciali, dove Russia ed Europa s’incontrano per decidere il futuro dei rapporti strategici, in un momento indubbiamente difficile: entrambi vengono preceduti di poche ore da un assassinio che sembra fatto apposta per gettare una luce sinistra sul Presidente russo. Un signore, per giunta, che sa per antico mestiere come, all’occorrenza, si fanno queste cose. Ed è dunque altamente improbabile che commetta con tanta leggerezza due errori così grossolani, consistenti nel gettare tutti i sospetti proprio su se stesso.
Forse sarebbe più logico tenere d’occhio la virata che Putin ha compiuto in questo anno. Ucraina, Georgia, Bielorussia sono stati tre colpi che Mosca ha subito in un anno. Due offensive le ha dovute incassare, una, quella bielorussa, l’ha rintuzzata. Ma a Mosca non sono distratti, come gli sviluppi successivi a Kiev hanno già dimostrato. E hanno carte decisive da giocare, in primo luogo energetiche, per riportare la Russia nel novero dei giocatori mondiali. Ecco, anche, perché ogni punzecchiatura, da qualunque parte venisse, fosse essa Tbilisi, o Varsavia, o Washington, ha ricevuto risposte dure dal Cremlino, sprezzanti, senza complimenti. Detto in altri termini: è finita la «ritirata strategica» di Mosca che ha caratterizzato gli ultimi quindici anni.
Questa virata ha irritato molto gli Stati Uniti e alcuni circoli europei occidentali. Si tenga presente questo dato. Questo Putin non piace più all’Occidente.
Tutti e due gli assassini in questione sfiorano o toccano Boris Berezovskij, l’oligarca che più di ogni altro ha accompagnato l’ascesa al potere di Putin e, più di ogni altro, conosce i suoi segreti. Si ricorda ancora oggi a Mosca la sua telefonata con il terrorista Shamil Basaev all’inizio della seconda guerra cecena, allora pubblicata dal Moskovskij Komsomolets. Forse ci fu più d’un nesso tra la seconda guerra e qualcuno degli oligarchi di Mosca, nel senso che furono loro a inscenarla e a pagarla. Se Scotland Yard volesse lavorare bene, la prima cosa da fare sarebbe sentire, con molta attenzione, proprio Boris Berezovskij. Un panorama comunque inquinato. Dare credito a voci così equivoche non è ragionevole.
E c’è un altro punto da tenere in conto. Vladimir Putin è al termine del suo secondo mandato. Teoricamente non può più ripresentarsi. Lui non ha ancora detto cosa vuol fare. Ha solo lasciato capire che continuerà a esercitare un’influenza decisiva sugli affari dello Stato russo. Non ha scelta. E il fatto che non abbia scelta potrebbe essere proprio confermato da questi due «strani» e «troppo tempestivi» assassini. Che potrebbero indicare l’inizio di una furibonda lotta per togliere di mezzo proprio il nuovo aspirante interprete della grandezza russa.
* La Stampa, 27.11.2006
Niente giornalista niente problema
di Astrit Dakli (il manifesto, 08.10.2006)
Non è difficile uccidere dei giornalisti. Fanno un mestiere che li espone all’odio e circolano indifesi. Si può perfino usare la loro uccisione per fare un regalo di compleanno, come quello che Vladimir Putin ha ricevuto ieri per i suoi 54 anni: la testa di Anna Politkovskaja, la più feroce critica del suo regime. Forse è un regalo avvelenato, che se lo sia ordinato da solo o che gli sia stato fatto da altri: tutti attribuiranno comunque al presidente russo la responsabilità di questo assassinio e non è gradevole neppure per un ex agente del Kgb vedere la propria firma messa in calce a un omicidio illustre - anche se in Russia uccidere giornalisti scomodi è ormai una tradizione. Poco cambia se, come è probabile, l’ideazione e l’attuazione di questo delitto vengono dalle alte sfere delle forze armate (di cui Anna Politkovskaja ha troppe volte messo a nudo la ferocia, l’incompetenza e l’avidità di denaro e di potere) più che direttamente dal Cremlino.
Non è stato certo difficile uccidere questa giornalista. Sparare nell’ascensore di casa sua a una donna priva di ogni difesa è un gioco da ragazzi; quanto all’inchiesta, già il fatto che l’omicida non abbia avuto problemi a lasciar sul posto pistola e cartucce e a farsi vedere da alcuni testimoni fa capire che essa non andrà lontano. Del resto, non ci sarà un’ondata di indignazione per questo omicidio. Chi denuncia le malefatte dei militari in Cecenia o le collusioni tra mafiosi, giudici e politici non è molto popolare: è solo un «rompicazzo», come Anna veniva elegantemente definita. Vladimir Putin nei mesi scorsi ha fatto un repulisti nella Procura generale, da tempo accusata da tutte le parti (compresa Anna Politkovskaja) di essere troppo al servizio del Cremlino: ma i nuovi arrivati, procuratore capo in testa, sono ancor più fedeli al presidente di coloro che sono stati rimossi. Qualcuno vuol scommettere sugli esiti di questa inchiesta?
Non è mai difficile uccidere dei giornalisti, soprattutto se sono persone libere, che vogliono fare il loro mestiere fino in fondo e raccontare le cose che il potere - quello dei grandi boss mondiali come quello dei piccoli boss di quartiere - vuole invece tenere nascoste. Due esempi freschi: ieri a nord di Kabul, in una zona che il regime afghano e la Nato definiscono «calma» e che è controllata da signori della guerra locali, sono stati uccisi due reporter tedeschi di Deutsche Welle. Volevano vedere cosa succedeva lì; ovviamente non avevano alcuna scorta. Il mese scorso in un carcere di Ashgabad (Turkmenistan) è stata uccisa Ogulsapar Muradova, giornalista turkmena molto critica del regime satrapico imposto da Saparmurat Niyazov al suo paese: non era accusata di niente, ma la sua voce dava fastidio - meglio arrestarla e strangolarla, senza neanche simulare, come a casa dell’amico Putin, un omicidio ad opera di ignoti.
P.S. La politica degli editori verso i giornalisti, qui a casa nostra, rivela (senza sangue e violenza, certo) la stessa ansia di normalizzare e conformare che sta dietro l’omicidio di Mosca. I giorni di blackout informativo che abbiamo alle spalle - lo sciopero dei giornalisti contro il precariato dilagante e per un nuovo contratto - testimoniano che anche nelle redazioni dei paesi «liberi» si preferirebbero più dita ubbidienti sulle tastiere e meno teste libere che pensano. Non è una bella prospettiva.
Russia, ucciso un altro giornalista. È il tredicesimo *
Il capo della redazione economica dell’agenzia di stampa russa Itar-Tass, Anatoly Voronin, è stato trovato morto nel suo appartamento situato nel centro di Mosca. L’ufficio del procuratore generale della capitale russa ha riferito che Voronin, 55 anni, è stato ucciso a coltellate.
Il suo assassinio scuote il mondo del giornalismo russo ed internazionale perché giunge a distanza di soli nove giorni di quello di Anna Politkovskaia, la giornalista che era in prima linea contro il Cremlino e la guerra in Cecenia.
Voronin è il quarantatresimo giornalista ucciso in Russia dopo il crollo del comunismo, e il tredicesimo da quando è salito al potere il presidente Vladimir Putin. Il giornalista lavorava da oltre 23 anni per l’agenzia di stampa russa Itar-Tass. Anna Politkovskaia, freddata con quattro colpi di pistola nell’ascensore del suo condominio a Mosca, stava lavorando per il bisettimanale russo della "Novaia Gazeta" ad una nuova inchiesta sulle torture compiute dalle forze di sicurezza filorusse sui detenuti in Cecenia. Venerdì scorso la giuria del Premio letterario internazionale "Tiziano Terzani" ha deciso, all’unanimità, di assegnarle il riconoscimento per l’anno 2007.
www.unita.it, Pubblicato il: 16.10.06 Modificato il: 16.10.06 alle ore 15.
Mosca, arrestate dieci persone
Per l’omicidio della Politkovskaya
MOSCA - Per l’omicidio della giornalista russa Anna Politkovskaya, gli investigatori di Mosca hanno arrestato dieci persone. Lo riferisce l’agenzia Itar-Tass, che cita il procuratore generale Yuri Chaika: "Abbiamo realizzare progressi importanti nella ricerca dei responsabili dell’omicidio della Politkovskaya", ha spiegato il magistrato. "Dieci persone sono state arrestate in relazione a questo caso e presto saranno incriminate".
* la Repubblica,, 27-08-2007.
Russia, giornalista uccisa. Il silenzio del Cremlino *
Davanti alla porta di casa un tappeto di fiori rossi, rossi come la passione che Anna metteva da sempre nel suo lavoro, rossi come il sangue che per quella dedizione ha versato: è l’omaggio che sin da ieri sera decine e decine di colleghi hanno tributato ad Anna Politkovskaia, la giornalista di opposizione uccisa a Mosca in quello che tutti considerano un delitto a sfondo politico, legato alle tante inchieste della coraggiosa cronista sugli orrori della guerra cecena.
Anche altri cittadini - erano circa 3.000 nella capitale - si sono riuniti spontaneamente per tributare la loro stima a una voce indipendente quanto scomoda per il potere. Le istituzioni si dimostrano ambivalenti: da un lato il procuratore generale russo Iuri Ciaika ha voluto sottolineare il massimo impegno degli organi inquirenti avocando a sé l’inchiesta; dall’altro, il silenzio del Cremlino e del governo a 24 ore dalla tragedia stride con la richiesta di verità che si alza nel resto del paese.
Scettico sui risultati del lavoro investigativo ufficiale è il segretario dell’Ordine dei giornalisti russi Igor Iakovenko. «Faremo una nostra indagine», ha detto alla radio Eco di Mosca, «non c’è nessuna speranza che l’inchiesta delle forze dell’ordine porti a dei risultati, come dimostrano casi precedenti». A suo avviso comunque, l’uccisione di Anna «è legata direttamente al suo lavoro sulla situazione in Cecenia».
Poca fiducia negli organi inquirenti manifestano anche gli azionisti di "Novaia Gazeta", il bisettimanale per il quale Politkovskaia lavorava, tra i quali l’ex presidente sovietico Mikhail Gorbaciov: hanno stanziato, ha annunciato a nome di tutti Aleksander Lebedev, che è anche deputato alla Duma, una taglia di 25 milioni di rubli (quasi un milione di dollari) per chiunque fornirà informazioni attendibili su esecutori e mandanti. Sulla piccola repubblica del Caucaso russo, e sul suo uomo forte Ramsan Kadirov, che gode della benedizione del Cremlino, converge lo sguardo di tutti, a partire dalla redazione di "Novaia Gazeta". «Oggi non sappiamo chi e perché l’abbia uccisa, ma possiamo avanzare due ipotesi: la prima, - si legge nel sito del periodico, interamente dedicato alla giornalista assassinata - è quella di una vendetta di Kadirov per quello che lei aveva scritto e continuava a scrivere su di lui; la seconda, l’azione di qualcuno che ha cercato di addossare la colpa al premier ceceno per impedirgli di arrivare alla presidenza della Cecenia». La giornalista, rivelano il direttore e il vicedirettore della, aveva già raccolto molte testimonianze su casi di rapimenti e le foto di diversi corpi che presentavano inequivocabili segni di tortura in Cecenia. A differenza del suo mentore Putin, Kadirov ha commentato il delitto, dicendosene «sconvolto» ma sottolineando le sue divergenze di vedute con la vittima: «nonostante il suo materiale non fosse sempre obiettivo, mi sento addolorato dalla sua morte».
Lacrime di coccodrillo? Qualcuno lo pensa. L’ultimo articolo al quale Politkovskaia stava lavorando trattava della pratica della tortura in Cecenia, ha rivelato all’emittente privata Ntv Vitali Iaroshevski, collega di Anna: «Lo aspettavamo per l’edizione di domani, forse lo aveva già scritto». Era corredato da «fotografie molto importanti a riprova del contenuto», ha aggiunto: quel materiale potrebbe essere ora nelle mani degli inquirenti, che hanno anche fatto sequestrare il computer della giornalista. Ma alle domande si oppone uno stretto riserbo istruttorio. La Federazione internazionale per i diritti umani, che chiede anch’essa una indagine indipendente, ritiene che l’ultimo articolo di Politkovskaia «coinvolgeva direttamente Ramsan Kadirov» in quelle vicende di abusi. Ma il premier della piccola repubblica caucasica, che basa il suo potere su una corte di feroci pretoriani, respinge sdegnato la "pista cecena": «Fare supposizioni senza avere basi e prove vuol dire alimentare voci e pettegolezzi, e questo non rende onore né alla stampa, né ai politici», afferma. Martedì, in una cerimonia laica, Mosca darà l’estremo saluto a una dei pionieri della libertà d’informazione in Russia: con la speranza e la volontà di non fare di quell’addio un funerale alla stessa libertà di stampa.
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www.unita.it Pubblicato il: 08.10.06 Modificato il: 09.10.06 alle ore 12.30
Le ultime denunce di Anna Politkovskaya: «Putin? Dicono che finirà come Ceaucescu» *
MOSCA - Ecco le ultime riflessioni su Putin, la Russia e la situazione in Cecenia di Anna Politkovskaya, la giornalista uccisa sabato nel palazzo dove abitava a Mosca, così come le ha raccolte il suo giornale, Novaya Gazeta, che le pubblicherà oggi. La reporter denuncia, tra l’altro: «Io scrivo libri e pubblico articoli. Bisogna spiegare come vanno le cose e dire che se il sistema sentirà la necessità di eliminare qualcuno, questo qualcuno verrà eliminato senza scrupoli».
«La Russia è in un vicolo cieco. Qualsiasi cosa scrivo non cambia nulla. Il compito di Putin è far sì che sul mercato internazionale arrivi l’informazione che tutto va bene, che il Paese lotta contro il terrorismo e che i nostri servizi segreti lo fanno con successo. Una parte dei russi capisce che abbiamo di fronte il degrado morale di quella democrazia iniziale che c’era ai tempi di Eltsin. In quel periodo, nonostante tutto quello che accadeva, il popolo poteva parlare, discutere. Quello che è accaduto credo sia dovuto al fatto che nei posti chiave del governo del Paese ci sono oramai tutti uomini che erano del Kgb (la polizia segreta dell’era sovietica). E la memoria genetica del nostro popolo è tale che a questo non ci si riesce a opporre. Mi chiedono se dietro Putin ci sia il vecchio sistema di potere che si prende la rivincita. Ricordiamoci che all’inizio è stato Boris Berezovskij (ex banchiere di Eltsin che ora vive in Gran Bretagna, ndr) a metterlo lì. Poi lui ha voluto diventare signore assoluto. Non sa fare diversamente, era stato educato così. La maggioranza della popolazione è d’accordo. Ma cosa si fa con la minoranza? Io scrivo libri e pubblico articoli. Bisogna spiegare come vanno le cose e dire che se il sistema sentirà la necessità di eliminare qualcuno, questo qualcuno verrà eliminato senza scrupoli».
IL PRIMO OLIGARCA
«Chi gestisce in questo modo il potere non si prefigge nessun fine. C’è solo un’idea, quella di rimanere al potere e arraffare il più possibile fino a che si è al potere. Si parla di oligarchi. Ma il primo degli oligarchi è l’amministrazione del presidente. Le persone che ne fanno parte controllano il business. Ciascuno di loro ha lo stesso obiettivo, quello di mantenere la posizione e garantire la vita dei propri discendenti per molti anni. A chi mi chiede se un cambio di potere potrebbe portare a delle conseguenze, rispondo che negli ultimi tempi circola la voce che il sistema finirà come quello di Ceausescu (il leader della Romania che al termine di una rivolta fu sommariamente processato e poi ucciso in compagnia della moglie il giorno di Natale del 1989, ndr) ».
CHI SONO IO
«A chi in Occidente mi vede come la principale militante contro Putin rispondo che io non sono una militante, sono solo una giornalista. E basta. E il compito del giornalista è quello di informare. Quanto a Putin, ne ha fatte di tutti i colori e io devo scriverne».
LO STALIN CECENO
«Attualmente sulla mia scrivania ci sono due foto. Sto facendo delle indagini e so che si tratta di persone torturate nelle prigioni di Kadyrov (il primo ministro filorusso della Cecenia, ndr), adesso e in precedenza. Sono persone rapite dagli uomini dei reparti speciali di Kadyrov per una ragione inspiegabile. Sono state eliminate solo per motivi pubblicitari. Lui appare in tv e dice che sono guerriglieri uccisi e non persone rapite. Uno di loro è russo l’altro è ceceno. Kadyrov è lo Stalin dei nostro giorni, su questo non ci sono dubbi. Per il popolo ceceno è proprio così. Quando la gente parla pubblicamente, esprime solo ammirazione; quando si parla invece in segreto, a voce bassa, allora ti rispondono che lo odiano in maniera viscerale. C’è questo sdoppiamento nell’anima delle stesse persone. È una cosa molto pericolosa. Kadyrov è un vigliacco armato fino ai denti, circondato da guardie del corpo. Credo che non diventerà presidente della Cecenia. Il mio sogno personale il giorno del compleanno di Kadyrov è solo uno, ne parlo assolutamente sul serio. Mi auguro di vederlo seduto sul banco degli imputati in un processo severissimo, con l’elenco di tutto i suoi crimini e indagini su tutte le uccisioni. In seguito a quanto è stato pubblicato sul mio giornale, sono state avanzate querele contro suoi uomini e contro di lui personalmente. In una di queste cause io sono testimone». (09 ottobre 2006)
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www.corriere.it, 09.10.2006
Anna Politkovskaya è stata uccisa a colpi di arma da fuoco nell’atrio di casa. Da anni si sentiva minacciata per le sue battaglie a favore dei diritti umani Giornalista assassinata a Mosca: denunciò l’orrore della guerra cecena
MOSCA - Assassinata a Mosca Anna Politkovskaya, giornalista russa famosa in tutto il mondo per i suoi reportage sugli orrori della guerra in Cecenia e gli abusi compiuti dalle truppe federali. La donna è stata trovata morta nell’atrio dell’edificio in cui viveva da una vicina. Sul luogo del delitto, la polizia ha trovato una pistola e quattro bossoli.
Nata nel 1958, la Politkovskaya aveva due figli. Scriveva per il quotidiano dell’opposizione Novaya Gazeta. Nel settembre del 2004, mentre si apprestava a recarsi a Beslan per seguire il sequestro e il massacro degli ostaggi nella scuola numero 1 del capoluogo dell’Ossezia del Nord, era rimasta vittima di un misterioso avvelenamento da lei attribuito ai servizi segreti russi. Alle vicende del conflitto ceceno si era appassionata alla fine degli anni ’90, e non solo come cronista: nel dicembre del 1999 fu lei a organizzare, sotto una pioggia di bombe, l’evacuazione dell’ ospizio di Grozny, mettendo in salvo 89 anziani.
Dimitri Muratov, direttore del quotidiano Novaia Gazeta, ha dichiarato che l’omicidio "sembra essere una punizione per i suoi articoli". Politkovskaia aveva fra l’altro lavorato a una rigorosa inchiesta sulla corruzione in seno al ministero della Difesa e del contingente russo in Cecenia. Nella sua lunga attività di paladina dei diritti umani nella piccola repubblica caucasica, si era fatta molti nemici, sia fra le forze russe che fra i guerriglieri.
Madre di due figli, la Politkovskaya in passato era stata arrestata e anche più volte minacciata per la sua opposizione al governo e per le sue denunce di violazioni dei diritti umani commesse in Cecenia. Nell’ottobre del 2002, durante l’assalto al teatro Dubrovka di Mosca da parte di un commando di una cinquantina di terroristi ceceni aveva tentato di fare da mediatrice, ma poi l’irruzione delle forze speciali russe aveva vanificato i suoi sforzi.
Intervistata spesso anche dagli organi di stampa italiani in qualità di preziosa fonte indipendente sulle vicende dell’ex repubblica sovietica, nel 2004 Anna Politkovskaya era stata insignita con il premio intitolato all’ex premier svedese Olaf Palme in quanto "simbolo della lunga battaglia per i diritti umani in Russia". Nel suo paese aveva vinto il "Penna d’oro", l’equivalente del Pulitzer.
Tra i tanti messaggi di dolore per la morte di Anna Politkovskaya anche quella dell’ex presidente dell’Urss Mikhail Gorbaciov che ha definito l’omicidio "un crimine grave contro il Paese, un crimine contro tutti noi, è un colpo all’intera stampa democratica e indipendente".
Con l’omicidio della cronista russa sale a 56 il numero dei giornalisti uccisi quest’anno nel mondo. Le ultime due vittime, sempre oggi, erano state due reporter tedeschi uccisi in un’imboscata nel nord dell’Afghanistan. Secondo i dati, diffusi dall’organizzazione Reporters sans frontieres, il 2006 potrebbe rivelarsi più sanguinoso persino dell’anno precedente, quello più tragico per i cronisti di tutto il mondo. (7 ottobre 2006)
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www.repubblica.it, 07.10.2006
La giornalista russa stava lavorando a un servizio sulle torture in Cecenia. Mosca è sotto choc, gli Stati Uniti: "Bisogna fare giustizia"
Politkovskaya, il silenzio di Putin
Gli Usa: "Aprite un’inchiesta" *
MOSCA - La Russia è sotto choc, il Cremlino continua a tacere e gli Stati Uniti - "profondamente rattristati" - chiedono l’apertura di un’inchiesta che faccia chiarezza sull’ assassinio della giornalista Anna Politkovskaya.
Il giorno dopo il tragico fatto di sangue, il silenzio del Cremlino appare assordante. Nessuna parola sulla morte della cronista, da sempre voce critica della presidenza di Vladimir Putin e oppositrice della guerra in Cecenia.
Grande dolore invece da parte dei moscoviti che a decine hanno lasciato fiori e candele accese davanti all’abitazione della giornalista uccisa ieri.
La donna è stata massacrata nel suo palazzo, nel centro di Mosca, sembra proprio per l’inchiesta sulla tortura in Cecenia alla quale stava lavorando.
Il Dipartimento di Stato Usa ha precisato che Politkovskaya era una donna "coraggiosa e impegnata nella ricerca della giustizia". Quindi la richiesta al governo russo di "aprire immediatamente un’inchiesta per far luce sull’accaduto e arrestare i responsabili di questo efferato delitto", come recita una nota pubblicata dal sito web della Casa Bianca.
L’ex presidente sovietico Mikhail Gorbachev, dalle colonne della Novaya Gazeta (il quotidiano per il quale scriveva Anna), ha definito l’assassinio "un crimine selvaggio contro la democrazia e la libertà di stampa". Ma, da parte delle autorità russe, nessuna reazione.
Le agenzie di stampa russe assegnano l’omicidio a mani anonime, mentre gli investigatori sostengono che la Politkovskayàs è stata colpita "per la sue idee politiche e la sua attività professionale".
Intanto la polizia russa ha sequestrato l’hard disk del computer della Politkovskayas e il materiale che aveva raccolto per un articolo investigativo, hanno riferito i suoi colleghi della rivista Novaia Gazeta.
La giornalista stava preparando un articolo sulla tortura in Cecenia che avrebbe dovuto essere pubblicato lunedì, ha dichiarato il capo redattore aggiunto Vitaly Yaroskevski.
Il redattore capo Dimitri Muratov ha riferito che l’articolo doveva essere corredato "da fotografie molto importanti". La rivista non aveva ancora ricevuto l’articolo, ma dispone di alcune note della Politkovskaya e intende pubblicarle, ha precisato Muratov. (8 ottobre 2006)
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www.repubblica.it, 08.10.2006
Quella voce che infastidiva il Cremlino L’omicidio della giornalista pone nuovi dubbi sul ruolo dell’Occidente nei confronti di Mosca
di Franco Venturini *
In realtà non sapremo probabilmente mai chi ha ucciso Anna Politkovskaya, come non sapremo mai chi ha fatto fuori il vicegovernatore della banca centrale il mese scorso. La Russia dell’«autoritarismo democratico» è terra dal grilletto facile, ogni provocazione interna o esterna è possibile (davvero Putin è tanto stolto da far liquidare una avversaria famosa sotto gli occhi del mondo ?), ma resta comunque inevitabile chiedersi chi avesse il maggior interesse a far tacere per sempre la voce più scomoda di Mosca. E la risposta, rimanendo alle apparenze, è altrettanto inevitabile: il Cremlino. Quel Cremlino che Anna Politkovskaya aveva denudato in articoli e libri (l’ultimo, «La Russia di Putin», è un bestseller internazionale), che era stato incalzato senza tregua sulle crudeltà militari e gli errori politici della guerra in Cecenia, che si era visto accusare di connivenza nel clientelismo generalizzato, nella corruzione dei burocrati, nella dipendenza della magistratura dal potere centrale. La Russia di Putin descritta dalla Politkovskaya è tutto meno che una democrazia funzionante, e una certa nostalgia per gli anni di Eltsin non ha certo lenito l’irritazione degli uomini del presidente. Forse per questo nel 2004 si parlò di un tentativo di avvelenamento. E forse per questo la Politkovskaya è stata ora crivellata di colpi in un ascensore. Ma nutrire legittimi sospetti e rendere omaggio alla schiena diritta di una giornalista assassinata, quando si parla di Russia, non può bastare. Oltre alle contraddizioni di Putin, bisogna parlare delle nostre. Il Cremlino è impegnato in un pericoloso braccio di ferro con la Georgia ex sovietica che vuole ora entrare nella Nato, e alla quale la Nato ha già fatto più di una promessa come le aveva fatte all’Ucraina prima che i filorussi ridimensionassero la rivoluzione arancione di Kiev. Putin è contrario all’indipendenza del Kosovo, e non esclude di utilizzare l’eventuale precedente proprio nelle enclaves della Georgia che guardano a Mosca. La Russia non gradisce che uno «scudo stellare» americano stia per essere costruito in Polonia.
Mosca vuole affermare il suo nazionalismo energetico, e per questo sottopone la Shell a poco credibili condizionamenti ambientalistici nel progetto Sakhalin-2 mentre applica una snervante doccia scozzese agli interessi russi della British Petroleum. E poi ci sono la libertà d’informazione che Anna Politkovskaya era ormai una delle ultime a difendere, ci sono i diritti umani così incerti da indurre l’inviato dell’Onu Manfred Nowak a non visitare la Cecenia per l’impossibilità di parlare a tu per tu con i detenuti, c’è una evoluzione dell’intero sistema di potere ampiamente insoddisfacente per i nostri valori benché a Putin continui a non mancare il consenso del suo popolo. È giunta l’ora che l’Occidente si faccia sentire, allora? Un momento. La Russia svolge un ruolo cruciale nei confronti dell’Iran, e siede in quel Consiglio di sicurezza dell’Onu che sembra ormai in marcia - così sperano gli Usa - verso le sanzioni anti Teheran. E la Russia è anche una superpotenza energetica, che fornisce all’Europa oltre un quarto dei suoi vitali approvvigionamenti. Cosa è consigliabile fare, allora, litigare con Putin o rendere più solidi gli accordi che con lui già esistono, parlargli di diritti umani o pregarlo di lasciar stare gli investimenti occidentali in Russia e di sottoscrivere nuove garanzie sull’aumento delle forniture di gas e petrolio? Da alternative tanto radicali è nata ormai da tempo una nevrosi occidentale verso la Russia. La sfida, che anima il dibattito interno tedesco, ma che è presente o dovrebbe esserlo in tutte le capitali dell’Occidente, consiste nel trasformare la nevrosi in politica. Per esempio evitando di provocare la Russia con un ulteriore allargamento della Nato ai suoi confini e in regioni di primario interesse per Mosca. Per esempio facendo valere una simile prudenza ed esigendo adeguate contropartite. Per esempio non rinunciando mai ai nostri valori nella esplicita difesa delle libertà sociali e dei diritti umani, magari distinguendo i sospetti dalle certezze. La definizione di una politica verso lo scrigno energetico russo è per l’Occidente una necessità non più rinviabile. E anche l’Italia è attesa urgentemente alla prova, senza dimenticare quella giornalista assassinata in ascensore.08 ottobre 2006
Franco Venturini
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www.corriere.it, 08.10.2006
Avevo trovato il paradiso in un bistrot
Inedito: l’ultimo viaggio a Parigi
della giornalista russa assassinata
di ANNA POLITKOVSKAJA (La Stampa, 7/10/2007 - 7:56)
Parigi, dunque. Fine maggio. Castagni in fiore. Cinque giorni per me. Tutti per me. La ragione per cui sono qui è l’uscita di un volume che raccoglie i miei reportage dalla Cecenia-Inguscezia pubblicati tra il settembre del 1999 e l’aprile del 2000 sulla Novaja gazeta. La cosa mi fa piacere, detto en passant. L’editore che ha mostrato tanta affettuosa attenzione al nostro giornale (non di sua sola sponte, certo, ma per tramite di Aleksandr Ginzburg, a suo tempo dissidente e internato, oggi parigino d’adozione, paladino dei diritti umani e amico di Aleksandr Solženicyn), l’editore - dicevo - oltre a essere molto noto e importante a Parigi, ha anche un nome raffinato e giocoso insieme, che predispone l’udito alla bellezza: Robert Laffont \ La prima sera a Parigi l’avrei passata in un caffé. E dove, se no? Ma come scegliere? A Parigi, città di liberté e di folies, il metodo è uno solo: si va a caso e a naso. E dunque, il primo café parigino in cui riusciamo a infilarci per puro caso si chiama «L’Eletto». In francese Le Select.
Il caso si rivela benigno. Scopriamo di essere al centro di Montparnasse. Rifugio e requie - oltre che ispirazione - per l’élite artistica del mondo intero. Accanto a noi un’allegra tavolata di garruli francesi da antologia - mezzi artisti di ogni età con l’aria da eterni studenti - si dà alla pazza gioia, ignara e incurante della tristezza e dell’allegria altrui. I passaggi tra i tavoli sono stretti, i mobili vecchi: il tempo si è fermato in quegli ambienti, pare di essere nei primi anni Venti del secolo scorso \ Volendo condividere la propria felicità con un giovane artista seduto più distante, un’altrettanto giovane artista - altera come ogni parigina che si rispetti, oltre che un po’ brilla - punta con foga verso di lui attraverso gli stretti passaggi della storia, e rovescia la bottiglia che sta sul nostro tavolo. L’acqua finisce ovunque, dentro la borsa, sui vestiti, sulle scarpe...
E lei, l’eletta? Lo spirito libero di Montparnasse? Neanche una piega, è ovvio. Le parigine sono anime fiere, camminano sempre a testa alta. La «nostra» mademoiselle borbotta un «pardon» neanche troppo cortese, e si accomoda accanto al suo Pierre. Che forse è un novello Derain, o un Matisse, chissà. La scelta dei nomi non è casuale, l’avrete capito. Perché Derain e Matisse, come Picasso, Cocteau, Max Jacob, Henry Miller, Francis Scott Fitzgerald e persino Hemingway, si sono seduti agli stessi tavoli su cui la nuova avanguardia di Montparnasse, ci ha inzuppati d’acqua. Che altro potrebbe chiedere alla felicità un’ex sovietica quale sono io? Niente, in questo momento, oltre a sfiorare con il proprio «posteriore» la poltroncina malridotta su cui si sono posati i miseri pantaloni del primo Hemingway, con l’inseparabile cocktail che anche io, ora, potrei ordinare! Eletto era lui, eletta sono io \ Domani mattina Parigi sarà nostra. Comincerà la promozione del libro, lo «metteremo in moto», come si dice da noi.\
Com’è andata? Fantastico: dalla colazione del primo mattino alla cena in tarda serata, è un’unica sequenza di conferenze stampa, interviste, ricevimenti, presentazioni, conversazioni. La sera non hai più voce. Un turbine di giornalisti stranamente interessati al libro; alcuni l’hanno persino letto, prima di intervistarti. Gli appuntamenti sono scanditi spietatamente: si passa da un’intervista all’altra. Il ritmo frenetico imposto non riesce a cancellare l’emozione. Da ogni parte ti si rovesciano addosso belle parole, affetto, calore, apprezzamento, rispetto. Uno tsunami positivo. E cominci a vedere che la vita è anche felicità, una felicità accessibile anche a te: sono sensazioni che non provo da un pezzo, dalle mie parti. Perché in patria il nostro lavoro non ci porta amore, ma piuttosto odio.
Gli intellettuali francesi che partecipano alla promozione del libro non riescono a capire la mia commozione crescente per quella girandola di affetto. «Ma perché? Quando pubblica un libro, in Russia, non fanno lo stesso?» «Non è capitato». «In che senso? Il libro non è uscito, in russo?» «Nossignori». Stupore. Qualche alzata di spalle. Per la prima volta colgo qualche scambio di occhiate diffidenti: non mi credono. E io non fornisco altre spiegazioni. Perché? Sono inezie, quelle. Piuttosto, osservo attentamente quel che conta davvero: come si vestono le francesi? Bastano una decina di minuti in Place de la Madeleine - ferma, lì, o aggirandomi tra la folla - per capire che non c’è risposta alla mia domanda. Perché a Parigi - è questo il punto - le donne si vestono come vogliono (e gli uomini fanno altrettanto). E pensano come più loro aggrada. E si truccano secondo l’estro del mattino.
È questa, la libertà. La libertà vera. Vivi come più ti piace. Un piccolo particolare. Prima di sbarcare a Parigi chi scrive è stata a Mosca solo di passaggio. Le prime tappe del viaggio che si sarebbe concluso nella capitale francese erano state l’Inguscezia e la Cecenia, i campi profughi, le montagne, i boschi, i soldati che sognavano di tornare a casa, le lacrime della povera gente affamata, la paura che accompagna la nostra esistenza quotidiana. Dove si vive come capita. Dove si vive per sopravvivere. Per questo la «mia» Parigi ha avuto un sapore così dolce. Come quando, dopo un sorso d’assenzio, con quel retrogusto amaro che lascia in bocca, una caramella ti sembra un chilo di miele. «Perché non dormi? È Parigi che non mi fa dormire»... È così che canticchiamo, ogni tanto, in cerca di un raggio di luce nell’austero tran tran russo.
Sapete una cosa? Non è successo. A Parigi ho dormito, e persino di gusto. Per la prima volta dopo mesi di guerra. Senza sonnifero e senza brividi di paura. Perché nessuno urlava, nessuno ti insultava, nessuno ti dava della traditrice. Tutti mi volevano bene. Tutti mi apprezzavano. Cosa che auguro di provare anche a voi. Questa, la mia felicità parigina. Una felicità mia a pieno diritto, la felicità di una giornalista russa che ancora osa testimoniare. Testimoniarne. Una felicità a doppio taglio, però, perché per provarla ho dovuto osare ben altro. Intanto, il libro in questione sarà nei negozi di Parigi il 4 di giugno. L’editore ha voluto intitolarlo proprio così: Voyage en enfer. Journal de Tchétchénie. Une journaliste russe ose témoigner (Viaggio all’inferno. Diario ceceno. Una giornalista russa osa testimoniare).
© Anna Politkovskaja 2007
© Novaja Gazeta 2007