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Nessun testimone ....

NESSUNA INFORMAZIONE: SILENZIO STAMPA !!! Anna Politkovsakaja, uccisa a Mosca. Due giornalisti tedeschi uccisi in Afghanistan. Sale a 56 il numero dei giornalisti uccisi quest’anno nel mondo.

domenica 8 ottobre 2006 di Federico La Sala
[...] Nel 2001 Politkovskaja fu arrestata nella Cecenia meridionale ed espulsa con l’accusa di aver violato le norme sulla copertura giornalistica del conflitto imposte da Mosca. Nel 2002, durante la crisi del teatro Dubrovka a Mosca (culminata nella strage di oltre 100 persone per il gas tossico usato nel successivo blitz dalle forze speciali russe) i terroristi ceceni la indicarono come possibile mediatrice con il governo di Putin, unica giornalista della quale avevano fiducia. Nel 2004 (...)

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> NESSUNA INFORMAZIONE: SILENZIO STAMPA !!! Anna Politkovsakaja, uccisa a Mosca. ---- Inedito: l’ultimo viaggio a Parigi della giornalista russa assassinata.

domenica 7 ottobre 2007

Avevo trovato il paradiso in un bistrot

-  Inedito: l’ultimo viaggio a Parigi
-  della giornalista russa assassinata

di ANNA POLITKOVSKAJA (La Stampa, 7/10/2007 - 7:56)

Parigi, dunque. Fine maggio. Castagni in fiore. Cinque giorni per me. Tutti per me. La ragione per cui sono qui è l’uscita di un volume che raccoglie i miei reportage dalla Cecenia-Inguscezia pubblicati tra il settembre del 1999 e l’aprile del 2000 sulla Novaja gazeta. La cosa mi fa piacere, detto en passant. L’editore che ha mostrato tanta affettuosa attenzione al nostro giornale (non di sua sola sponte, certo, ma per tramite di Aleksandr Ginzburg, a suo tempo dissidente e internato, oggi parigino d’adozione, paladino dei diritti umani e amico di Aleksandr Solženicyn), l’editore - dicevo - oltre a essere molto noto e importante a Parigi, ha anche un nome raffinato e giocoso insieme, che predispone l’udito alla bellezza: Robert Laffont \ La prima sera a Parigi l’avrei passata in un caffé. E dove, se no? Ma come scegliere? A Parigi, città di liberté e di folies, il metodo è uno solo: si va a caso e a naso. E dunque, il primo café parigino in cui riusciamo a infilarci per puro caso si chiama «L’Eletto». In francese Le Select.

Il caso si rivela benigno. Scopriamo di essere al centro di Montparnasse. Rifugio e requie - oltre che ispirazione - per l’élite artistica del mondo intero. Accanto a noi un’allegra tavolata di garruli francesi da antologia - mezzi artisti di ogni età con l’aria da eterni studenti - si dà alla pazza gioia, ignara e incurante della tristezza e dell’allegria altrui. I passaggi tra i tavoli sono stretti, i mobili vecchi: il tempo si è fermato in quegli ambienti, pare di essere nei primi anni Venti del secolo scorso \ Volendo condividere la propria felicità con un giovane artista seduto più distante, un’altrettanto giovane artista - altera come ogni parigina che si rispetti, oltre che un po’ brilla - punta con foga verso di lui attraverso gli stretti passaggi della storia, e rovescia la bottiglia che sta sul nostro tavolo. L’acqua finisce ovunque, dentro la borsa, sui vestiti, sulle scarpe...

E lei, l’eletta? Lo spirito libero di Montparnasse? Neanche una piega, è ovvio. Le parigine sono anime fiere, camminano sempre a testa alta. La «nostra» mademoiselle borbotta un «pardon» neanche troppo cortese, e si accomoda accanto al suo Pierre. Che forse è un novello Derain, o un Matisse, chissà. La scelta dei nomi non è casuale, l’avrete capito. Perché Derain e Matisse, come Picasso, Cocteau, Max Jacob, Henry Miller, Francis Scott Fitzgerald e persino Hemingway, si sono seduti agli stessi tavoli su cui la nuova avanguardia di Montparnasse, ci ha inzuppati d’acqua. Che altro potrebbe chiedere alla felicità un’ex sovietica quale sono io? Niente, in questo momento, oltre a sfiorare con il proprio «posteriore» la poltroncina malridotta su cui si sono posati i miseri pantaloni del primo Hemingway, con l’inseparabile cocktail che anche io, ora, potrei ordinare! Eletto era lui, eletta sono io \ Domani mattina Parigi sarà nostra. Comincerà la promozione del libro, lo «metteremo in moto», come si dice da noi.\

Com’è andata? Fantastico: dalla colazione del primo mattino alla cena in tarda serata, è un’unica sequenza di conferenze stampa, interviste, ricevimenti, presentazioni, conversazioni. La sera non hai più voce. Un turbine di giornalisti stranamente interessati al libro; alcuni l’hanno persino letto, prima di intervistarti. Gli appuntamenti sono scanditi spietatamente: si passa da un’intervista all’altra. Il ritmo frenetico imposto non riesce a cancellare l’emozione. Da ogni parte ti si rovesciano addosso belle parole, affetto, calore, apprezzamento, rispetto. Uno tsunami positivo. E cominci a vedere che la vita è anche felicità, una felicità accessibile anche a te: sono sensazioni che non provo da un pezzo, dalle mie parti. Perché in patria il nostro lavoro non ci porta amore, ma piuttosto odio.

Gli intellettuali francesi che partecipano alla promozione del libro non riescono a capire la mia commozione crescente per quella girandola di affetto. «Ma perché? Quando pubblica un libro, in Russia, non fanno lo stesso?» «Non è capitato». «In che senso? Il libro non è uscito, in russo?» «Nossignori». Stupore. Qualche alzata di spalle. Per la prima volta colgo qualche scambio di occhiate diffidenti: non mi credono. E io non fornisco altre spiegazioni. Perché? Sono inezie, quelle. Piuttosto, osservo attentamente quel che conta davvero: come si vestono le francesi? Bastano una decina di minuti in Place de la Madeleine - ferma, lì, o aggirandomi tra la folla - per capire che non c’è risposta alla mia domanda. Perché a Parigi - è questo il punto - le donne si vestono come vogliono (e gli uomini fanno altrettanto). E pensano come più loro aggrada. E si truccano secondo l’estro del mattino.

È questa, la libertà. La libertà vera. Vivi come più ti piace. Un piccolo particolare. Prima di sbarcare a Parigi chi scrive è stata a Mosca solo di passaggio. Le prime tappe del viaggio che si sarebbe concluso nella capitale francese erano state l’Inguscezia e la Cecenia, i campi profughi, le montagne, i boschi, i soldati che sognavano di tornare a casa, le lacrime della povera gente affamata, la paura che accompagna la nostra esistenza quotidiana. Dove si vive come capita. Dove si vive per sopravvivere. Per questo la «mia» Parigi ha avuto un sapore così dolce. Come quando, dopo un sorso d’assenzio, con quel retrogusto amaro che lascia in bocca, una caramella ti sembra un chilo di miele. «Perché non dormi? È Parigi che non mi fa dormire»... È così che canticchiamo, ogni tanto, in cerca di un raggio di luce nell’austero tran tran russo.

Sapete una cosa? Non è successo. A Parigi ho dormito, e persino di gusto. Per la prima volta dopo mesi di guerra. Senza sonnifero e senza brividi di paura. Perché nessuno urlava, nessuno ti insultava, nessuno ti dava della traditrice. Tutti mi volevano bene. Tutti mi apprezzavano. Cosa che auguro di provare anche a voi. Questa, la mia felicità parigina. Una felicità mia a pieno diritto, la felicità di una giornalista russa che ancora osa testimoniare. Testimoniarne. Una felicità a doppio taglio, però, perché per provarla ho dovuto osare ben altro. Intanto, il libro in questione sarà nei negozi di Parigi il 4 di giugno. L’editore ha voluto intitolarlo proprio così: Voyage en enfer. Journal de Tchétchénie. Une journaliste russe ose témoigner (Viaggio all’inferno. Diario ceceno. Una giornalista russa osa testimoniare).

© Anna Politkovskaja 2007

© Novaja Gazeta 2007


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