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UNA MISSIONE: PER L’ ITALIA !!! Una riflessione e una sollecitazione di Carlo A. CIAMPI, ad andare avanti - oltre e meglio.

mercoledì 11 ottobre 2006 di Federico La Sala
[...] il ragionamento di Padoa-Schioppa: «Con questa manovra 2007 ci liberiamo una volta per tutte dell’incubo del risanamento, e dal prossimo anno ci dedichiamo interamente alla crescita». Ha una sua logica, che Ciampi capisce e condivide. Ma scontato questo limite «esogeno», che prescinde dalla volontà di chi l’ha redatta, la Finanziaria sconta anche un suo limite «endogeno», che invece non può prescinderne. E appunto quella che Ciampi chiama «la missione». «Vede - ragiona l’ex presidente (...)

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domenica 17 dicembre 2006

L’INTERVISTA / «Nei prossimi mesi le scelte di fondo»

Ciampi: «Ora il governo si gioca tutto»

«I fischi? Mio diritto votare. Nel ’94, con il Polo, nessuno protestò. La manovra punta alla stabilità ma serve crescita» *

Presidente Ciampi, urla e fischi hanno accompagnato, l’altro ieri a Palazzo Madama, il voto suo e degli altri senatori a vita. Proteste che stavolta lei sembra aver incassato meno traumaticamente. Si sta forse abituando al clima di conflitto permanente, di tutti contro tutti, che ha così spesso censurato negli anni del Quirinale?

«Quando è cominciata la bagarre, che di sicuro non  mi faceva piacere, mi sono limitato ad alzare gli occhi verso l’aula e a guardare in faccia coloro che facevano quegli apprezzamenti. Per mostrare tutta la mia serenità: esercitavo un mio diritto-dovere, secondo coscienza. Per quanto riguarda le polemiche politiche, posso anche capirle, ma di sicuro non voglio attizzarne di nuove. Mi limito a dire che, nella storia repubblicana, i senatori a vita sono stati in molti casi decisivi per i governi. Nel ’94, ad esempio, tre di loro furono indispensabili per tenere a battesimo il primo esecutivo Berlusconi e non rammento contestazioni come adesso».

Il Polo vorrebbe togliervi la possibilità di votare. Con l’effetto di ridurvi a una presenza ornamentale, platonica. Che ne pensa?

«Ripeto: non voglio polemizzare in un momento in cui tutto diventa oggetto di polemiche. Facciano pure. Sappiano però che, per raggiungere un simile risultato, dovranno modificare prerogative scritte nella Costituzione e finora mai messe in dubbio».

Lei ha motivato l’appoggio alla Finanziaria con un intervento piuttosto critico, per toni e sostanza. Insomma: il suo è stato un sì "per carità di patria"?

«Ho votato per senso di responsabilità, per evitare al Paese il danno dell’esercizio provvisorio di bilancio. Ho tuttavia ritenuto onesto spiegare che sarà indispensabile una riforma, contro questo modo di procedere. Ho sempre considerato improvvido costruire una manovra economica su degli articoli-monstre, che inglobano centinaia di commi e rendono difficile un giudizio approfondito sulla legge. Certo, anche in passato non si scherzava. Ma stavolta, con 1.365 commi...».

È stato un giro di boa molto tormentato, per Palazzo Chigi. Con mesi di aspri contrasti interni alla maggioranza e con una conseguente caduta di consenso. Serve una fase due, come da più parti si chiede?

«Chiamatela come volete, fase due o completamento della fase uno, non importa, sono questioni puramente nominalistiche. Interessa la sostanza. Perché, di fatto, il governo si gioca il proprio futuro nei prossimi mesi. È dunque necessario che siano perfezionate in tempi rapidi le scelte di fondo e che sia data alla gente la sensazione che si lavora a obiettivi seri e importanti».

Allude al senso della "missione", da trasmettere al Paese come accadde nell’ultimo scorcio degli anni Novanta? Quando, con lei nelle vesti di superministro dell’Economia e a prezzo di pesanti sacrifici per tutti, entrammo nel club dell’euro?

«Qualcosa del genere. Anche allora le Finanziarie costarono scioperi, malcontento e alcuni brutti sondaggi, ma riuscimmo a evitare grandi scontri tra noi, che componevamo il governo. Eravamo anzi solidali e caricatissimi, determinati su quanto facevamo: una condizione indispensabile per far capire agli italiani che la partita dell’Europa era davvero fondamentale. Ricordo che nel 1996, nei giorni in cui mi insediai al ministero del Tesoro, mi ritrovai in eredità dal governo precedente l’impegno a una riduzione del fabbisogno del 4,5 per cento. E ricordo che, scrivendo il Dpef di luglio, aggiunsi un post scriptum nel quale esprimevo la speranza (che allora poteva sembrare temeraria) di raggiungere traguardi ancor più ambiziosi. Bene: rincarammo la manovra e ce la facemmo, chiudendo il cerchio a quota 2,7 per cento. Ho messo in cornice, come un bollettino della vittoria, il comunicato del 2 gennaio 1998, che registrava quel risultato».

Per capire il travaglio del governo, al deficit di comunicazione (che pure Prodi ha riconosciuto) andrebbe quindi sommato un deficit di convinzione dentro il governo stesso?

«Non voglio esprimere giudizi, e tantomeno giudizi sommari in ore così delicate. Mi permetto solo un consiglio. La Finanziaria punta alla stabilità, e questa è l’ovvia base di partenza. Ma quel che è sul serio fondamentale è la crescita. Altrimenti anche la stabilità avrà prospettive di corto respiro e si finirà con l’arretrare in fretta».

* Corriere della Sera, 17 dicembre 2006


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