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CONSULENZA FILOSOFICA. In un mondo dove tutti e tutte (compreso il Papa! ) vendono a caro-prezzo ("caritas") tutto, chi ha più il coraggio ("Sàpere aude!") di amare ("charitas")?! Questo è il problema: LA FELICITA’ NON COSTA NIENTE!!! Una riflessione di Salvatore Natoli

giovedì 12 ottobre 2006 di Federico La Sala

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venerdì 8 dicembre 2006

Parole per nutrire il corpo

Una storica della filosofia, Paola Bianchini, e una psichiatra, Laura Dalla Ragione, riuniscono le loro esperienze nella cura dei disturbi alimentari scrivendo un libro titolato «Il cuscino di Viola» per Diabasis

di Franco Lolli (il manifesto, 07.12.2006)

Il dibattito intorno ai disturbi del comportamento alimentare, sempre più intenso man mano che si fa più inquietante la diffusione di questi problemi, si alimenta ora di un importante contributo, titolato Il cuscino di Viola. Dal corpo nemico al corpo consapevole (ed. Diabasis), scritto a quattro mani da una storica della filosofia, Paola Bianchini, e da una psichiatra, Laura Dalla Ragione, che hanno riunito le loro esperienze nello sforzo di sottolineare, con credibilità e determinazione, quanto sia necessario al processo terapeutico assegnare una speciale considerazione alla parola e al corpo. Il cuscino di Viola, da cui il libro prende il titolo, è quello su cui la ragazza di cui si parla ha scritto le parole che hanno scandito il suo lavoro terapeutico a Palazzo Francisci di Todi, la prima struttura pubblica dedicata ai disturbi alimentari: sono parole, quelle di Viola, sedimentate come un prezioso distillato, che raccoglie i frutti della fatica necessaria alla propria riabilitazione: in segno di gratitudine, quelle parole le ha lasciate in dono alle altre ragazze e agli operatori della struttura che l’ha seguita nel suo tragitto di cura.

Alla parola, più che a ogni altro mezzo, le autrici del libro riconoscono il potere di produrre una trasformazione nell’economia del godimento che caratterizza il fenomeno anoressico-bulimico, attribuendole il sofisticato e delicato compito di disincagliare il soggetto dalle secche del silenzio in cui il sintomo prolifera; e tanto fiduciosa è l’attribuzione di senso alla parola da avere spinto le due autrici ad affidarsi a una esperienza del tutto inedita nel panorama terapeutico dei disturbi alimentari: quella di introdurre nel percorso riabilitativo uno spazio riservato alla riflessione filosofica, uno spazio dedicato allo scambio verbale e alla costruzione di un sapere.

L’asse portante del libro, del resto, è costituito proprio dalle parole delle ragazze ospiti del Centro: è intorno ai loro scritti e ai frammenti delle loro lettere che la costruzione teorica prende forma, spingendo verso l’elaborazione di una strategia di cura che «usa la parola, l’amore, il coraggio, la paura, come strumenti di guarigione». La parola, dunque, è intesa come un’arma potente, in grado di frantumare l’incantesimo mortifero nel quale il soggetto è imprigionato. Ma mentre le due autrici attribuiscono una importanza cruciale alla facoltà del simbolico di arginare, almeno in parte, l’irruenza delle pulsioni, assicurando pacificazione e conforto, al tempo stesso sottolineano l’importanza del corpo, e del suo ingombro invasivo, nella patologia anoressico-bulimica.

In questione non è tanto la eventuale disfunzionalità organica di un corpo ridotto a organismo malato, a macchina biochimica da riparare, quanto la complessità di quel processo che porta alla assunzione soggettiva del proprio corpo in un mondo che ha eletto le fattezze fisiche a strumento di affermazione, di esibizione, di persuasione e di esaltazione narcisistica.

L’incidenza del corpo nel sintomo anoressico-bulimico è un dato clinico evidente e incontestabile: è nel corpo, infatti, che la sofferenza del soggetto si incarna e si incista, attraverso un trattamento spietato che ne modifica l’aspetto, la funzione, il significato, la progettualità. Scheletrito o gonfiato, eccessivo o minimizzato, mortificato o esibito con orgoglio, desesualizzato o iperinvestito eroticamente, immobilizzato o stressato dall’attività, rifiutato o estetizzato, qualunque sia l’eccesso in cui si manifesta, il corpo è utilizzato come segnale di una impasse soggettiva che invoca l’intervento dell’altro per mettere fine al processo di autodistruzione.

«Corpi in cerca di autore» è lo slogan con cui viene felicemente definito il rapporto che le ospiti del Centro di Todi devono stabilire con la propria fisicità; al corpo, infatti, è affidato il compito di rappresentarle, ma proprio a causa degli eccessi, a volte spudorati, cui viene sottoposto, il corpo risulta evaporato o quantomeno eclissato. Il lavoro terapeutico consiste, allora, proprio nello scovare l’autore di un corpo che non è più in grado di dire niente della persona che lo abita. Quel che si rende più di tutto necessario è sollecitare la responsabilità personale affinché si riesca a superare la barriera abbagliante della fisicità, affinché si riescano a interpretare i sintomi inviati dal corpo arrivando a rintracciare l’unicità della persona, la sua singolarità fino a quel momento rimasta in ombra. E lo si ottiene bucando la cortina dell’evidenza offerta dal fenomeno sintomatico - scrivono Bianchini e Dalla Ragione - per cercarne, come in filigrana, il protagonista.

Questa estrema attenzione alla irripetibilità di ciascuna persona, al di là delle somiglianze con gli altri che i sintomi possono offrire, si configura come la trama principale del testo, tra le cui pagine ricorrono considerazioni sulla intensità della sofferenza, che eccede la semplice dimensione organica, lasciando intuire la scrupolosità clinica e la serietà teorica delle autrici. Il valore del loro libro, infatti, sta nella capacità di mostrare la stratificazione della sintomatologia anoressico-bulimica, portando alla luce il disagio psichico, il profondo malessere e il turbamento esistenziale di chi soffre di queste patologie, troppo spesso liquidate semplicisticamente come malattie dell’appetito. E come si rende evidente mano a mano che si procede nella lettura, i problemi che riguardano il cibo, il peso e l’immagine di sé costituiscono, essenzialmente, una maschera, una specie di camuffamento inconscio del soggetto che tenta di contrastare una angoscia non espressa e perciò stesso ancora più temuta e invadente, che poco ha a che fare con le calorie o la bilancia.

Compito della cura sarà dunque far sì che il dolore, la paura, la sofferenza possano trovare un lessico per esprimersi, perché - come scrive Viola alludendo al Centro dove è stata curata - «le parole possono farti ammalare», ma al tempo stesso «qui ho capito che le parole possono farti guarire».


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