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> IN NOME DELL’EMBRIONE, UNA VECCHIA E DIABOLICA ALLEANZA --- I pro life italiani, sedotti e abbandonati (di Massimo Faggioli)

martedì 14 maggio 2013

I pro life italiani, sedotti e abbandonati

di Massimo Faggioli (Huffington Post,13 maggio 2013)

La Marcia nazionale per la vita svoltasi a Roma domenica scorsa 12 maggio dice molto non solo circa alcune sostanziali differenze col movimento pro life americano, ma anche circa alcune traiettorie dell’Italia di inizio secolo XXI.

Il movimento pro life americano è molto più radicato di quello italiano (o di qualsiasi altro paese al mondo, se è per questo), a causa delle molte differenze tra le geometrie politiche, culturali e religiose dei due paesi. Il movimento pro life americano nacque negli anni settanta, all’incrocio di una serie di tendenze diverse.

La sentenza della Corte Suprema "Roe v. Wade" del gennaio 1973 diede una copertura costituzionale dell’aborto come "diritto legato alla privacy", facendo della legislazione abortista americana una legislazione molto più radicale di quella italiana (come è noto, vi sono ben più di due opzioni tra legalizzazione e penalizzazione: incentivi e disincentivi, supporto sociale, tutela della maternità sui luoghi di lavoro, etc.).

Erano gli anni settanta dei film di Clint Eastwood Dirty Harry e la cultura borghese americana reagì alla malaise descritta dal presidente Carter accusando il liberalismo morale decadente degli anni sessanta e dichiarando una "guerra culturale" che aveva l’aborto al centro del mirino.

L’ascesa del movimento pro life e del movimento cristiano evangelicale sono una cosa sola con la presidenza Reagan iniziata nel 1980: da allora in poi la cultura pro life americana si è concentrata sull’aborto, trascurando (tranne poche eccezioni, in particolare provenienti dai gruppi pro life cattolici) la difesa della vita dei condannati a morte, la libera circolazione delle armi in America, le vittime delle guerre americane, e in generale la tutela di un sistema sociale ed economico che renda più raro il ricorso all’aborto.

Oggi il movimento pro life americano è diventato meno confessionale: nato come fenomeno protestante, oggi cattolici, ortodossi, ebrei e musulmani sono entrati a far parte di esso in forme diverse, e il suo carattere "ecumenico" è testimoniato dalla "Manhattan Declaration" del 2009.

Ma nel corso degli ultimi anni il movimento pro life americano si è reso conto di essere stato usato dal Partito repubblicano e ora i rapporti col Grand Old Party sono più freddi. Tuttavia il conservativismo americano è ancora la sola vera casa politica per gli anti-abortisti americani, specialmente dopo la svolta laicista presa dal presidente Obama con la campagna elettorale del 2012, vinta in un’America sempre più laica.

Se il movimento pro life americano si è scoperto recentemente orfano dei Repubblicani, quello italiano è sempre stato politicamente orfano: ma ora lo è molto di più.

Pci e Dc furono ben attenti, negli anni settanta dei referendum sul divorzio e sull’aborto, a non fare guerre di religione su queste questioni: non solo perché erano "gli anni di piombo" del terrorismo di destra e di sinistra, ma anche perché nell’insieme i due grandi "partiti-chiesa" italiani accettarono un compromesso basato su una legislazione sull’aborto meno radicale di quella americana.

Pci e Dc erano consapevoli dei punti di contatto tra la visione della società del cattolicesimo sociale e della socialdemocrazia europea, ed entrambi erano diffidenti - per motivi antropologici e culturali prima che politici - del radicalismo libertario dei Radicali di Pannella.

Scomparsi i due "partiti-chiesa", il Pci e la Dc, in questi ultimi vent’anni i pro life militanti italiani si sono fidati di un avvocato inverosimile della causa, Berlusconi, che li usò come fecero Reagan e Bush in America, anche per una evidente mancanza di offerte politiche alternative (se non il "grande centro" di Casini).

Vista la grave crisi in cui versano anche gli eredi del Pci e della Dc (vale a dire, il Pd e il berlusconismo), oggi i pro life italiani si ritrovano a dover presentare il loro caso per un’etica della difesa della vita di fronte alle forze nuove (per così dire) della politica italiana: il populismo grillino e la tecnocrazia trasversale a vari partiti (grillini compresi). Sia il populismo di Grillo, sia la tecnocrazia sono avvocati di un "brave new world" (per citare il celebre libro di Aldous Huxley) che vede il futuro dominato dai diritti del consumatore, dalla tecnologia della rete, dai pareggi di bilancio, etc., ovvero prefigurano e si augurano un mondo assai inospitale per coloro che sono per definizione dei "costi" economicamente improduttivi: i figli, i disabili gravi, gli anziani, i malati terminali.

In questo senso, le forze politiche italiane che hanno accettato il "there is no alternative" della tecnocrazia hanno capitolato anche di fronte al "brave new world", ad una certa visione spietata di società e di vita umana. E questo è un problema non solo degli anti-abortisti o dei cattolici italiani.


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