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Memorie ... e politiche

SECONDA GUERRA MONDIALE: STORIA NAZIONALE E STORIA LOCALE. La relazione di Gabriella Gribaudi, tenuta al convegno “Nicola Gallerano e la storia contemporanea” (Roma,15 giugno 2006)

venerdì 13 ottobre 2006 di Federico La Sala
[...] Oggi i patimenti assurgono a linguaggio pubblico della memoria [...] Tutto ciò emerge dalla crisi dei vecchi discorsi nazionali e dall’apertura delle memorie, memorie plurali che dovrebbero condurre alla critica delle vecchie categorie di analisi e della retorica della guerra. In realtà il riconoscimento della sofferenza si accompagna a un nuovo processo: il tentativo di un’élite politica di riunificare, conciliare le memorie riproponendo il linguaggio risorgimentale della nazione. (...)

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> SECONDA GUERRA MONDIALE: STORIA NAZIONALE E STORIA LOCALE. --- Nicola Gallerano, uno sguardo laico sulla Resistenza (di Gilda Zazzera).

giovedì 18 settembre 2008

DOCUMENTI

Nicola Gallerano, uno sguardo laico sulla Resistenza

di Gilda Zazzara (il manifesto, 17.09.2008)

Firma importante della pagina storica del «manifesto» tra anni Ottanta e Novanta, Nicola Gallerano è stato uno dei contemporaneisti più irrequieti e generosi della storiografia italiana. Apparteneva a una generazione intellettuale che lui stesso aveva definito «saltata» - troppo giovane per la Resistenza, già troppo disincantata per il Sessantotto - e che forse per questo ha saputo portare negli studi storici ciò che Goffredo Fofi, nel volume che oggi lo ricorda, ha chiamato un approccio più «laico» alla storia della Resistenza.

È una delle analisi che si possono leggere negli atti della giornata Nicola Gallerano e la storia contemporanea (l’editore è Franco Angeli), dedicatagli nel decennale della morte dall’Istituto romano per la storia d’Italia dal fascismo alla Resistenza (Irsifar), il luogo in cui mise radici a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta - dopo la laurea con Nino Valeri e la giovanile esperienza di storico orale dell’8 settembre per Ruggero Zangrandi, assieme a Danilo Montaldi - la sua attività di ricercatore e divulgatore di storia contemporanea. Un luogo della vita che è anche elemento centrale della biografia scientifica: nella rete degli istituti storici della Resistenza Gallerano ha sperimentato assieme a un’intera generazione di storici, per usare le parole di Mariuccia Salvati, la «inscindibilità tra ricerca individuale e dedizione a un progetto scientifico pubblico e condiviso».

Una stagione emblematicamente racchiusa nel suo arco esistenziale, e della quale fu protagonista con le ricerche di gruppo sulla transizione dal fascismo alla repubblica, che segnarono una fase intensa e feconda per la contemporaneistica italiana ben oltre le polemiche ideologiche sulla «continuità dello Stato». Per questo forse il volume meritava una curatela più forte, non tanto per la qualità dei contributi - Giorgio Rochat, Gabriella Gribaudi, Guido Crainz sono solo alcuni degli autori chiamati a confrontare i propri studi con i temi centrali della riflessione di Gallerano -, quanto per l’assenza di un profilo intellettuale introduttivo, capace di collocare questa figura nei luoghi e i problemi di trent’anni di vita culturale italiana.

L’esperienza della guerra e il passaggio tra fascismo e democrazia nel Mezzogiorno fu il grande tema delle sue ricerche di prima mano (la solida conoscenza degli archivi di Stato è un altro dato non solo personale della traiettoria di Gallerano) e rappresentò lo stimolo per un continuo arricchimento dei piani della sua riflessione. Osservata da Sud, l’epopea della Resistenza si rifrangeva in molte e diverse memorie periferiche, veicolate da vicende collettive e vissuti quotidiani in grado di decostruire e desacralizzare la storia nazionale. Il contesto locale diventava così la via per una storia sociale di segno nuovo, sempre attenta alle strutture ma pronta a confrontarsi con le soggettività e con i diversi produttori sociali di storia e memoria.

Come ben dimostra questo primo tentativo di sintesi, uno dei maggiori contributi di Gallerano alla contemporaneistica resta quello di aver incoraggiato gli storici a non rinchiudersi in una inespugnabile «città degli studi» e ad affrontare con la forza dei propri strumenti l’«uso pubblico della storia». Vedeva in questo una responsabilità professionale e civile nel momento in cui, con la guerra nel Golfo, aveva intuito l’aprirsi di una nuova era di guerre e violenze bisognose di legittimazione storica.


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