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"Amore" (Charitas) o "Mammona" (Caritas)?!

"Deus" è "caritas" ("caro-prezzo")!!! L’idolatria del denaro nell’Occidente cristiano. Una straordinaria lezione di Arturo Paoli, sull’amore ( "charitas") evangelico - a c. di Federico La Sala

domenica 15 ottobre 2006
[...] Le varie spiritualità cattoliche seguite dai laici nel tempo attuale sembrano non includere la responsabilità del mondo. Sono restate agganciate al dualismo greco, anima e corpo, anima che vive soprannaturalmente quasi estranea alla materia, corpo fatalmente esposto allo provvisorietà, al relativismo, senza considerare che il relativismo è diventato assoluto. Invano il Concilio ecumenico Vaticano II ha solennemente e infallibilmente proclamato che il centro della predicazione di Gesù (...)

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> "Deus" è "caritas" ("caro-prezzo")!!! L’idolatria del denaro ---- Fede e utopia del Regno di Dio (di Arturo Paoli) --- Arturo Paoli, una biografia (di Oreundici)

giovedì 29 novembre 2012

Fede e utopia del Regno di Dio

di fratel Arturo Paoli (la Repubblica, 25 agosto 2012)

Egregio e caro Direttore,

ho provato un’emozione profonda nel leggere l’articolo di Pietro Citati del 12 agosto e il suo del 15. Sono un religioso cattolico, piccolo fratello di Charles di Foucauld, da 36 anni in America Latina. Torno in Italia ogni anno per incontrarmi con piccoli gruppi di cristiani che identificano la loro fede con l’utopia, con i quali cerco di illuminare la speranza del "Regno". L’allusione al "Regno di Dio", anche se fasciata d’ironia, non poteva non farmi vibrare.

Mi ha colpito il suo mettere in evidenza il mercato come "elevato a divinità" perché da anni denunzio l’idolatria del mercato. Ciò mi è stato spesso rinfacciato come prova d’ignoranza delle dottrine economiche. Sono cosciente della mia ignoranza ma, guardando l’idolatria del mercato nella prospettiva del "Regno", non vedo che "i milioni di persone stritolate sotto le ruote del mercato". Questa visione è per me quotidiana da quando, all’alba, apro la porta della mia casa e trovo subito nei vicoli della "favela" le persone che gemono sotto le ruote del mercato, e sono la mia famiglia...

La "distanza ironica" con cui lei e Citati hanno guardato il "Regno di Dio" non mi provoca ad una impennata apologetica perché sono d’accordo sulla pericolosità del concetto, e alla rievocazione dei fantasmi di Stalin e di Hitler aggiungerei gli integrismi religiosi, originati dall’utopia del "Regno". Ma, come credente, mi ha dolorosamente ricordato che la distanza ironica non è solamente di voi laici, ma è anche di noi cristiani. La nostra non si può definire ironica, perché forse è di qualità peggiore.

Nonostante la chiarezza con cui il Regno di Dio è stato messo al centro dell’azione della Chiesa, specificandone l’essenza di giustizia e di pace, e indicandone i limiti di estraneità da ogni realizzazione politica strutturale, l’utopia del "Regno" è rimasta estranea alla prassi della Chiesa cattolica. E’ evidente che Gesù di Nazareth non ha affidato l’utopia del "Regno" né a dittatori né a intellettuali della categoria dei pensatori liberali. Ma una parte di Chiesa non ha guardato la storia dalla prospettiva dei poveri come avrebbe voluto il discorso della montagna. Tuttavia non mancano pastori e discepoli del Maestro che pagano con la vita l’opposizione all’idolatria di mercato, vivendola come "ostaggi" dei poveri, come direbbe Lévinas.

Ho esultato leggendo i vostri articoli: Lei ha introdotto il suo richiamo all’articolo di Citati con la parola "speranza". Ci ha ricordato che l’umanità non può vivere senza ideali e vede l’ideale come una correzione storica dell’utopia. Questo può costituire un punto d’incontro fra noi credenti e voi laici. Se noi credenti abbiamo l’onestà di scoprire nel vostro linguaggio spregiudicato e ironico la profezia, cioè quel filo sottile che corre ininterrotto sotto le scoraggianti catastrofi della storia; e se voi laici avete l’onestà di pensare che noi credenti, almeno "il piccolo resto" rivolto all’attesa del "Regno", non ha nessuna ipoteca da pagare ma è solo impegnato nella solidarietà con "gli stritolati" sotto il carro dall’idolo, e riconosce nel Maestro nudo sulla croce il prezzo di questa solidarietà. In fondo l’amore, che laicamente possiamo chiamare altruismo, anche crocifisso, è la sola vera felicità dell’uomo, perché racchiude in sé il solo senso del vivere. fratello Arturo Paoli


Arturo Paoli, una biografia

di Oreundici (www.oreundici.org)

Arturo Paoli nasce a Lucca in via Santa Lucia il 30 novembre 1912, si laurea in Lettere a Pisa nel 1936, entra in seminario l’anno successivo e viene ordinato sacerdote nel giugno 1940. Partecipa tra il 1943 e il 1944 alla Resistenza e svolge la sua missione sacerdotale a Lucca fino al 1949, quando viene chiamato a Roma come vice-assistente della Gioventù di Azione Cattolica, su richiesta di Mons. Montini, poi papa Paolo VI. Qui si scontra con i metodi e l’ideologia di Luigi Gedda, presidente generale dell’Azione Cattolica e all’inizio del 1954 riceve l’ordine di lasciare Roma per imbarcarsi come cappellano sulla nave argentina "Corrientes", destinata al trasporto degli emigranti.

Arturo compie solo due viaggi. Sulla nave incontra un Piccolo fratello della Fraternità di Lima, Jean Saphores, che Arturo assisterà in punto di morte. A seguito di questo incontro decide di entrare nella congregazione religiosa ispirata a Charles de Foucauld e vive il periodo di noviziato a El Abiodh, al limite del deserto, in Algeria. Poi passa ad Orano dove, negli anni della lotta di liberazione algerina, svolge mansioni di magazziniere in un deposito del porto. Nel 1957 viene incaricato di fondare una nuova Fraternità a Bindua, zona mineraria della Sardegna, dove lavora manualmente: ma il suo rientro in Italia non viene ben visto dalle autorità vaticane.

Decide allora di trasferirsi stabilmente in America Latina e si trasferisce in Argentina a Fortin Olmos, tra i boscaioli - hacheros - che lavorano per una compagnia inglese del legname. Sarà questo uno dei periodi più duri dell’esperienza latino-americana. Quando la compagnia decide di abbandonare la zona ormai impoverita del prezioso legno quebracho, Arturo organizza una cooperativa per permettere ai boscaioli di continuare a vivere sul posto.

Nel 1969 viene scelto come superiore regionale della comunità latinoamericana dei Piccoli Fratelli, trasferendosi vicino a Buenos Aires. Qui vivono i novizi della fraternità e si comincia a delineare una teologia comprometida, preludio dell’adesione alla teologia della Liberazione. In questo periodo pubblica il suo secondo libro Dialogo della liberazione. Nel 1971 nasce un nuovo noviziato a Suriyaco, nella diocesi di La Rioja, una zona semidesertica, poverissima, dove Arturo si trasferisce e incontra un vescovo a cui sarà legato da una forte amicizia, Enrique Angelelli, la voce più profetica della Chiesa argentina nei tremendi anni della dittatura militare: un prelato che doveva morire tragicamente nel 1976 in uno strano incidente stradale che oggi nessuno dubita di qualificare come assassinio e su cui nessuno svolgerà inchieste, malgrado l’espressa richiesta di Paolo VI.

Con il ritorno di Peron in Argentina il clima politico si fa pesante e Arturo viene accusato di esercitare un traffico d’armi con il Cile. In quel momento in Cile governava Allende, destituito nell’apocalittica giornata dell’11 settembre 1973 dal colpo di stato di Pinochet. Nel 1974 appare sui muri di Santiago un manifesto con una lista di persone da eliminare da parte di "chiunque le incontri": il nome di Arturo è al secondo posto. Alcuni Piccoli fratelli vengono incarcerati e cinque di loro figureranno tra le migliaia di desaparecidos. Arturo in questo momento si trova in Venezuela, come responsabile dell’area latinoamericana dell’Ordine: avvertito da amici di non rientrare in Argentina perché ricercato vi tornerà solo nel 1985.

Inizia così l’esperienza venezuelana, prima a Monte Carmelo, poi alla periferia di Caracas, continuando, anzi intensificando, la sua produzione libraria: "Il presente non basta a nessuno", "Il grido della terra" e tanti, tanti altri...

Con l’allentarsi della dittatura militare, Arturo intensifica le sue missioni in Brasile, risiedendo dal 1983 a Sao Leopoldo ed entrando in contatto con la realtà delle prostitute, numerose nel suo quartiere.

Nel 1987 si trasferisce su richiesta del vescovo locale a Foz do Iguaçu: qui va a vivere nel barrio di Boa Esperança dove costituisce una comunità. Ma, ricorda fratel Arturo, "la condizione di estrema povertà della gente del quartiere mi tormentava e da questa angoscia nacque l’idea di creare l’Associazione Fraternità e Alleanza", un ente filantropico, senza fini di lucro, con progetti sociali rivolti al bene della comunità.

Sono seguiti 13 anni di duro e intenso lavoro per dare dignità a questa popolazione emarginata. Oggi AFA è una bella realtà, cui si è aggiunta nel 2000 la Fondazione Charles de Foucauld rivolta in maniera specifica ai giovani del proletariato e del sottoproletariato di Boa Esperança. Insieme i due enti portano avanti numerosi mini-progetti che coinvolgono direttamente oltre 2000 persone fra adulti, adolescenti e bambini: ludoteca, ambulatorio, doposcuola (raggruppati nel progetto denominato "bambini denutriti"), casa della donna, mensa, corale, corsi di musica, di informatica, attività sportive... Progetti mirati alla formazione umana e resi possibili dall’aiuto di tanti, tanti amici italiani che li finanziano nella loro quasi totalità.

Arturo dal 2004 con don Mario De Maio, presidente di Oreundici, ha lanciato il progetto "Madre Terra": una fattoria didattica (dell’estensione di circa 40 ettari), sempre nella periferia di Foz do Iguaçu, dove alcuni giovani (provenienti dalle case-famiglia già seguite e finanziate da "Oreundici"), hanno trovato un posto di lavoro, una "famiglia allargata", lo spazio e la possibilità per crescere e confrontarsi anche con i tanti amici italiani che seguono questo progetto e curano l’amicizia tra questi due popoli, sotto lo sguardo amirevole e paterno di Arturo. Oggi il progetto "Madre Terra" permette di accrescere questa amicizia, con il vivificante e salutare contatto con la bellezza aspra e affascinante della natura brasiliana.

Lontano ma presente, l’impegno religioso e sociale nel sud del mondo non ha impedito a fratel Arturo di vivere appassionatamente gli avvenimenti italiani e lucchesi. Nell’agosto 1995 interviene su "La Repubblica" dopo aver letto la corrispondenza fra Eugenio Scalfari, allora direttore del giornale, e lo scrittore Pietro Citati.

A Scalfari scrive una lettera che viene pubblicata con il titolo "Fede ed Utopia del Regno di Dio":
-  "mi ha colpito il suo mettere in evidenza il mercato come elevato a divinità, perché da anni denunzio l’idolatria del mercato. Ciò mi è stato spesso rinfacciato come prova di ignoranza delle dottrine economiche. Sono cosciente della mia ignoranza, ma guardando l’idolatria del mercato nella prospettiva del Regno non vedo altro che milioni di persone stritolate sotto le ruote del mercato. Questa visione per me è quotidiana quando, all’alba, apro la porta della mia casa e trovo subito nei vicoli della favela le persone che gemono sotto le ruote del mercato, e sono la mia famiglia..."

A Lucca nel 1995 il sindaco Giulio Lazzaroni gli consegna il Diploma di partigiano. In quell’occasione fratel Arturo pronuncia queste parole:
-  "... la Resistenza non si è chiusa nell’ambito del 1945 e se noi non soffriamo fortemente di appartenere ad una famiglia che fabbrica le armi, che manda le mine che straziano i corpi dei bambini, se noi non pensiamo che il nostro benessere lo pagano milioni di affamati, se noi non pensiamo che mandiamo bastimenti carichi di armi nell’Africa, nella vicina Jugoslavia, ecc... e se noi non soffriamo nella nostra carne per questo scandalo vuol dire che la Resistenza è stata un’azione valorosa, generosa o forse anche una manifestazione di coraggio, ma non è stato qualcosa che ha aderito profondamente alla nostra anima, che è diventata legge della nostra vita... e perché questa celebrazione non sia retorica... forse oggi più di ieri c’è bisogno di resistere". Questo atteggiamento lo spinge a rifiutare la medaglia d’oro che annualmente la Camera di Commercio assegna ai lucchesi che hanno onorato la città nel mondo. La lettera pubblicata suscitò non poche polemiche:
-  "Conosco personalmente alcuni di voi per non dubitare della vostra nobilissima intenzione, ma permettetemi di rifiutare un premio come missionario cattolico. A parte il fatto di sapere che il solo suggello che posso mettere sui quarant’anni di vita in America Latina è quello suggeritomi dal Vangelo "sono un servo inutile", mi tormenta un’altra considerazione. Appartengo per nascita e formazione all’occidente che globalmente si dice cristiano, dalle Montagne Rocciose agli Urali, ed è incontestabile che questo mondo cristiano che si definisce Primo Mondo è al centro delle ingiustizie che sono la causa della fame di milioni di esseri che il catechismo ci ha insegnato a chiamare fratello: io torno in Brasile e non posso tornarvi ostentando sul petto una medaglia che premia la mia attività di ’missionario’, rappresentante di una civiltà cristiana che spoglia della terra esseri umani che vi vivono da secoli prima di Cristo. E questa spoliazione dura dal 1492".

Il 29 novembre 1999 a Brasilia, l’ambasciatore d’Israele gli consegna il più alto riconoscimento attribuito a cittadini non ebrei: ’Giusto tra le nazioni’, per aver salvato nel 1944 a Lucca la vita di Zvi Yacov Gerstel, allora giovane ebreo tedesco, oggi tra i più noti studiosi del Talmud, e sua moglie. Il nome di fratel Arturo, "salvatore non solo della vita di una persona, ma anche della dignità dell’umanità intera", sarà inciso nel Muro d’Onore dei Giusti a Yad Vashem.

Il 9 febbraio 2000 a Firenze la Regione Toscana, su iniziativa del suo Presidente Vannino Chiti, alla presenza del Cardinale di Firenze Silvano Piovanelli e del rabbino di Firenze Yoseph Levi, festeggia il sessantesimo anniversario di fratel Arturo. In questa circostanza fratel Arturo dirà: "Tutta la nostra cultura è una cultura di morte, l’occidente cristiano è il centro che ha organizzato la guerra, la carestia, l’accumulazione delle ricchezze nelle mani di pochi".

Il cardinale Piovanelli, dopo aver ricordato che don Paoli è stato un punto di riferimento importante nella sua formazione religiosa, sottolineerà:
-  "Siamo sempre rimasti colpiti dalle sue parole, dai suoi libri, ma soprattutto abbiamo ammirato il coraggio di una vita compromessa per stare dalla parte dei più deboli". Il 25 aprile 2006, l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli ha conferito la Medaglia d’oro al valor civile. L’alto riconoscimento, andato ad Arturo e ad altri tre sacerdoti lucchesi (don Renzo Tambellini, e gli scomparsi don Guido Staderini e don Sirio Niccolai), è riferito all’impegno profuso nel salvare la vita ai perseguitati dai nazifascisti, in particolare ebrei, con la seguente motivazione:

«Nel corso dell’ultimo conflitto mondiale, con encomiabile spirito cristiano e preclara virtù civica, collaborò alla costruzione di una struttura clandestina, che diede ospitalità ed assistenza ai perseguitati politici e a quanti sfuggirono ai rastrellamenti nazifascisti dell’alta Toscana, riuscendo a salvare circa 800 cittadini ebrei. Mirabile esempio di grande spirito di sacrificio e di umana solidarietà»

Oggi Arturo, tornato stabilmente in Italia dal 2006, vive nella Casa "Beato Charles de Foucauld" a san Martino in Vignale sulle colline di Lucca, dove accoglie le persone in un clima di amicizia, fraternità ed accoglienza, partecipa a convegni e incontri, pubblica nuovi libri, continua la consueta collaborazione con giornali e periodici, tra i quali i Quaderni mensili di Oreundici.

Il 3 dicembre 2011 è stato inaugurato il "fondo documentazione Arturo Paoli", una raccolta di immagini, video, scritti a testimonianze della sua vita. Il fondo ha sede nella Fondazione Banca del Monte di Lucca in piazza San Martino a Lucca è aperto al pubblico su prenotazione (info: http://www.fondazionebmlucca.it/attivita/propri/fap/fondopaoli.html).


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