Scontro nella metro di Roma: una vittima, oltre 100 feriti
Bianchi riferisce in Parlamento *
L’impatto è arrivato poco dopo le 9 e trenta. Un treno delle metropolitana A, uno di quelli nuovi, più confortevoli e informatizzati ma comunque pieno di passeggeri sbatte violentemente contro un altro convoglio fermo alla stazione di piazza Vittorio. Il "crash" è violentissimo: il convoglio penetra per diversi metri dentro l’ultimo vagone di quello che lo precede. Il treno in arrivo quasi si impenna, rompe le lamiere e si incastra tra i binari e le pensiline della stazione. Buio nei cunicoli della metro ma fortunatamente le porte delle carrozze si aprono, si può uscire, anche se barcollanti e sanguinanti.
L’allarme scatta immediatamente, subito ambulanze, pompieri, carabinieri si precipitano nei cunicoli della metropolitana e cominciano a estrarre feriti più gravi. Mentre quelli che ce la fanno da soli escono il più velocemente possibile dalle uscite sotto i portici. Sono minuti convulsi. Mentre le ambulanze cercano di farsi largo nel traffico impazzito e il quartiere viene isolato e controllato anche dal cielo dagli elicotteri, all’inizio sembra che i morti siano prima uno, poi due poi addirittura tre. Ma alla fine solo una vittima viene portato fuori. È quello di una ragazza (non nigeriana come si era detto in un primo momento) della provincia di Frosinone, Alessandra Lisi, ricercatrice, che tutti i giorni veniva a Roma a lavorare da Pontecorvo. Il primo bilancio ufficiale della tragedia arriva dal 118 e smentisce definitivamente la notizia di una seconda vittima. I feriti sono 140 feriti di cui 6 molto gravi - "codici rossi" - 22 "codici gialli", 110 "verdi" e 2 "bianchi", cioè medicati ambulatorialmente. La Prefettura poi aggiorna il conto: i feriti veri e propri, quelli ricoverati negli ospedali San Giacomo, Policlinico Umberto I, Tor Vergata, Sant’Andrea, Celio, San Camillo e Policlinico Casilino sono 110. La ferita più grave è una donna di nazionalità giapponese: «Ora respira da sola. Non credo che sia in pericolo di vita, ma per il momento rimaniamo cauti», hanno fato sapere i medici.
Le cause
Il macchinista, che è stato estratto vivo dalla cabina di guida accartocciata, è ricoverato al Policlinico Casilino con dieci giorni di prognosi. L’uomo sarà al più presto sentito dal pm Elisabetta Ceniccola per chiarire la dinamica dell’incidente che, secondo il questore Marcello Fulvi, è avvenuto in maniera «palesemente anomala». La Procura di Roma ha intanto aperto un fascicolo contro ignoti, ipotizzando i reati di disastro colposo, omicidio colposo e lesioni gravissime, riferiscono fonti giudiziarie, mentre il ministro dei Trasporti ha disposto un’indagine amministrativa. I primi testimoni avevano riferito di un semaforo chiaramente rosso alla fermata precedente, ma alcuni addetti sul posto hanno fatto sapere che una centralina sarebbe saltata. Sono stati già acquisiti al fascicolo degli inquirenti i filmati delle telecamere che si trovano all’interno della stazione.
Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel corso di una telefonata col sindaco di Roma Walter Veltroni, ha espresso il suo cordoglio e la sua vicinanza alla città di Roma per il tragico incidente. Il ministro dei trasporti, Alessandro Bianchi, è intervenuto in Senato sull’incidente, e poi anche alla Camera.
La società Met.Ro ha diffuso un comunicato in cui fa sapere che il traffico sulla linea A sarà ripristinato probabilmente mercoledì mattina e ha categoricamente smentito le voci che prima dell’incidente ci fossero stati problemi alla linea elettrica. Il traffico automobilistico e dei mezzi pubblici di superficie in piazza Vittorio Emanuele è ripreso intorno alle 13.
I testimoni
«Vedevo questo treno che si avvicinava sempre di più, o meglio eravamo noi che ci avvicinavamo al treno, che era fermo», ha detto Fabiano De Santis, un procuratore legale che viaggiava sul primo vagone e che ha visto la scena da un finestrino che si affaccia sulla cabina di guida. «Gli siamo andati contro a velocità considerevole, senza frenare. Allora mi sono ritratto d’istinto. Ho sentito l’impatto che arrivava, poi ho visto la parete della metro accartocciarsi. Ho preso una botta alla spalla, ma sono stato fortunatissimo», ha detto ancora l’uomo che si stava recando in tribunale. «Subito dopo l’impatto c’era parecchio fumo. Ho visto persone rimaste incastrate, persone che avevano perso conoscenza... I soccorsi sono stati tempestivi».
Un altro testimone, l’italo-americano Andrew Trovaioli, che si trovava sull’ultimo vagone dello stesso convoglio - ancora in galleria al momento dell’impatto - ha detto: «L’impatto è stato brutale. Dopo è andata via la luce. C’era della gente per terra, c’era del sangue. Ci siamo aiutati tra noi. Un signore ha gridato "calma", ed è riuscito ad aprire una delle porte. Siamo scesi nel tunnel e ci siamo incamminati in fila indiana verso la stazione». «Dalla stazione nessuno ha detto nulla, non hanno dato alcun annuncio».
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wwww.unita.it, Pubblicato il: 17.10.06 Modificato il: 17.10.06 alle ore 17.23
«Nessuno lo diceva ma abbiamo pensato a una bomba» *
«Prese dal panico, molte persone hanno cominciato a piangere. Non si capiva che cosa fosse successo. La paura di un attacco terroristico è stata subito tangibile anche se nessuno lo diceva apertamente, ma si leggeva negli occhi delle persone, che velocemente cercavano di scappare da quel tunnel della stazione di Piazza Vittorio». È la testimonianza di una giornalista dell’agenzia Dire di Roma, Maria Carmela, che si trovava sul treno fermo alla stazione, contro il quale si è schiantato il secondo.
Molte le voci che aiutano a ricostruire i momenti di agitazione subito dopo lo scontro. «È stato un attimo - continua la cronista della Dire - la gente, come ogni mattina, leggeva il giornale, qualcuno sbirciava l’agenda, altri scambiavano due chiacchiere prima di andare al lavoro, immagino, ricordo alcuni ragazzi. Una giornata di ordinaria routine ma all’improvviso il botto, un rumore fortissimo. Il treno era fermo, aspettavamo che si aprissero le porte. Si sono aperte subito dopo lo scontro e subito richiuse e non si aprivano più. Con le altre persone sul treno, che era diretto a Battistini, ci siamo ritrovate all’improvviso buttate per terra, una addosso all’altra, cercando in qualche modo di tenerci».
«Dopo l’impatto, la parete si è sfondata, ho dolore alle gambe e ho battuto la testa - racconta una donna che si trovava dentro il treno in sosta durante l’incidente - Ho visto i feriti a terra, perché lo scontro è stato talmente forte che siamo caduti tutti uno sull’altro». Sono stati momenti drammatici per tutti i passeggeri , ma in particolare per coloro che si trovavano sull’ultimo vagone del treno in sosta, che prima degli altri si sono resi conto che lo scontro sarebbe avvenuto. «Ho visto in lontananza le luci della metropolitana, poi il buio - racconta Silvia, mentre si tiene un fazzoletto premuto sulla fronte - e poi l’impatto forte, e più niente. Credo di aver battuto la fronte contro qualcosa e adesso aspetto di andare all’ospedale».
«Stavo andando in Tribunale, di solito se non trovo posti a sedere mi metto vicino alla cabina perché mi fa passare meglio il tragitto. Ad un certo punto ho visto delle indicazioni semaforiche rosse, anche se il vetro era un pò annerito. La cosa più spaventosa è che ho visto con chiarezza una vettura metro ferma davanti a noi a qualche centinaio di metri e che non frenavamo». È questa la testimonianza del praticante avvocato Fabiano De Santis che si trovava nel primo treno del convoglio della metro che si è scontrato con il secondo. L’avvocato spiega di «non voler entrare in discorsi di responsabilità perché spetta alla magistratura. «Andavamo alla velocità normale, ho visto molti feriti gravi c’era parecchio fumo ma niente fuoco. Molta gente - ha detto ancora il testimone - è rimasta incastrata tra le lamiere, ma i soccorsi sono stati tempestivi»
I testimoni raccontano di uno scontro «pazzesco», di moltissimo fumo e di un terribile impatto. Chi si trovava sulla metropolitana ferma alla stazione di Piazza Vittorio racconta che «il treno si è fermato, poi è ripartito piano e subito dopo è avvenuto l’impatto». «Ho visto il semaforo rosso e un mezzo della metropolitana fermo davanti a noi. Ho avuto la percezione dell’impatto prima che questo avvenisse». «Mi sono tirato indietro e ho visto il mezzo accortocciarsi davanti a me - ha raccontato un testimone, confermnado quanto detto da altri - Per fortuna si sono aperte le porte e siamo riusciti a scappare. Davanti a me ho visto gente rimasta incastrata. Io sono stato fortunato perché mi sono accorto subito di ciò che avveniva».
«Ero sulla seconda metro, quella che ha tamponato; all’improvviso il treno ha rallentato e poi ho sentito un botto tremendo. Siamo caduti a terra, sopra di me c’erano tre persone e molte gridavano all’attentato». È quanto dichiara uno dei testimoni, Michele, ferito alla gamba destra e con varie contusioni sulle braccia. «Sono riuscito ad alzarmi nonostante la pressione della gente. Ho cercato di aiutare le persone che non erano ferite gravemente, ma ho visto altra gente incastrata nelle lamiere e, seppure a malincuore, non ho potuto fare niente per loro per paura di fare dei danni. La parete della metro era piena di sangue. Il deflusso è stato difficile perché tutti urlavano e piangevano».
Manom, cittadino bengalese era sul treno tamponato e racconta di aver sentito «un colpo fortissimo e sono andato a sbattere contro il sedile ed ora non vedo con l’occhio sinistro. Rispetto ad altri sono stato fortunato, perché sono riuscito ad alzarmi ed andare verso l’uscita», metre un ragazzino rumeno ferito alla gamba destra dice di aver visto «la morte in faccia. Ero sotto quattro persone, tra cui una con una gamba rotta e non riuscivo a muovermi ma mi sono fatto largo, poi ho provato a portare uno dei feriti fuori riuscendovi ma nella calca l’ho perso di vista».
www.unita.it, Pubblicato il: 17.10.06 Modificato il: 17.10.06 alle ore 14.29
«Sono arrivati subito e ci hanno salvato» *
«I soccorritori sono arrivati subito e ci hanno guidato verso l’uscita». È il racconto di una testimone rimasta coinvolta nell’incidente della metropolitana di Roma, nel quale è morta una donna, mentre altre 140 persone sono rimaste ferite. La ragazza è molto soddisfatta dal lavoro degli operatori che, giunti quasi subito sul luogo dell’incidente, hanno allestito in prossimità della fermata di Piazza Vittoria un tendone per la prima assistenza medica. «Hanno aiutato tutti - continua la giovane - e in particolare le persone che erano nel treno che ha tamponato, rimaste nel tunnel al buio».
La soddisfazione per la tempestività dei soccorsi è condivisa anche dal direttore dell’ospedale di Tor Vergata, Giuseppe Visconti che avverte che l’emergenza è rientrata. «La macchina di soccorso ha funzionato bene, - sottolinea Visconti - avevamo due camere operatorie in funzione, due posti letto in terapia intensiva disponibili e dieci posti letto per eventuali emergenze». «La comunicazione col 118 - assicura - non si è mai interrotta».
«Il policlinico - spiega il direttore - era stato allertato in un primo momento per ricevere 20 o 30 feriti ma sono arrivati 7 pazienti: 6 in «codice verde» e uno in «codice giallo». «In tutti i pazienti - prosegue Visconti - sono stati riscontrati piccoli traumi e contusioni».
Superata l’emergenza primaria, adesso, il personale medico si preoccupa del trauma vissuto dai testimoni dell’incidente ma anche dai loro parenti ed amici. Il responsabile del Day hospital dell’ospedale Gemelli, Luigi Janiri, racconta come in questi casi sia necessario un supporto psicologico. «Appena i superstiti di un avvenimento simile arrivano in day hospital, dal pronto soccorso - spiega lo psichiatra - ci occupiamo subito di loro, per farli rientrare in una condizione di maggiore tranquillità. La valutazione immediata - prosegue - consiste in un intervento diagnostico di "primo livello" che porta a decidere i provvedimenti terapeutici da adottare».
Janiri spiega inoltre che una volta stabilita la gravità del trauma vengono effettuati una serie di colloqui con i pazienti, una sorta di ’counseling’ (terapia di auto aiuto, che consiste nell’ascolto attivo dei bisogni dell’utente), per aiutarli ad elaborare il trauma e in un secondo momento viene stabilita la necessità o meno di ulteriori interventi. Questa prassi permette al paziente di affrontare completamente il problema e «a seconda dei casi- conclude Janiri- si somministrano anche degli psicofarmaci, ma non sempre c’è n’è bisogno».
Secondo gli specialisti, in casi di questo tipo, la maggioranza delle persone ha conseguenze transitorie, ma nelle persone predisposte, cioè circa il 3% della popolazione, la paura durerà tutta la vita a meno che non vengano curati».
www.unita.it, Pubblicato il: 17.10.06 Modificato il: 17.10.06 alle ore 17.06