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NICARAGUA. EN DEFENSA DE LA “CATEDRAL DE LOS POBRES” (MANAGUA). Un appello dal Parlamento italiano, per salvare i DIPINTI DI SANTA MARIA DE LOS ANGELES

giovedì 19 ottobre 2006 di Federico La Sala
[...] una grande produzione culturale e artistica, uno dei maggiori esempi della quale è il “ciclo pittorico di integrazione plastica” della chiesa di Santa Maria de los Angeles, nel quartiere Riguero di Managua. Considerato “la massima espressione del muralismo nicaraguense” e una delle principali opere latinoamericane dell’arte sacra ispirata dall’impegno per la liberazione integrale degli uomini, delle donne e dei popoli, fu realizzata 20 anni fa da un’équipe (...)

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mercoledì 8 novembre 2006

I sandinisti tornano al potere dopo sedici anni. Col 91% dei voti scrutinati. il risultato è stato reso ufficiale dalla Commissione lettorale suprema

Nicaragua, Ortega riconquista la presidenza. Battuto, col 38% il liberale Montealegre *

MANAGUA - Il sandinista Daniel Ortega è stato rieletto presidente del Nicaragua, dopo 16 anni di assenza dal potere, con il 38,07% dei voti, sconfiggendo al primo turno il candidato liberale Eduardo Montealegre, appoggiato a spada tratta da Washington, che ha ottenuto il 29%. Lo ha annunciato in serata a Managua la commissione elettorale suprema, sulla base del 91,48% dei seggi scrutinati. Sarà quindi l’ex guerrigliero, del quale Montealegre ha riconosciuto la vittoria. il nuovo presidente eletto del Nicaragua, incarico che assumerà il 10 gennaio prossimo.

Per vincere al primo turno ed evitare il ballottaggio, in base alla legge elettorale nicaraguense, occorreva ottenere il 40% dei voti, o il 35% ma con almeno 5 punti di vantaggio sul secondo classificato. Josè Rizo, del Partito liberale costituzionale, è arrivato terzo con il 26% dei voti; Edmundo Jarquin, del Movimento per il rinnovamento sandinista, ha avuto il 6,4%; mentre Eden Pastora, dissidente storico dei sandinisti, si è dovuto accontentare dello 0,7%. Per Ortega era vitale una vittoria al primo turno, svoltosi domenica scorsa, perché beneficiava della divisione della destra, che al secondo turno si sarebbe probabilmente ricompattata.

Ortega era stato a capo del Nicaragua dal 1979, quando fu rovesciata la dittatura di Anastasio Somoza, fino al 1990.

Il leader del Fronte sandinista di liberazione nazionale (Fsln), il movimento rivoluzionario di cui fu uno dei nove comandanti negli anni ’60/’70, era giunto al potere dopo una guerra civile costata almeno 30.000 morti, e aveva dovuto cederlo, nelle elezioni del 1990, alla candidata della destra Violeta Chamorro.

Lunedì sera, non appena ha avuto la certezza della vittoria - a quel punto, con il 61% circa dei seggi scrutinati, aveva il 38,7% dei suffragi - Ortega è corso dall’ex presidente Usa Jimmy Carter, a Managua come osservatore, e lo ha rassicurato: "Dobbiamo far sì che la riconciliazione continui ad unire il popolo. Dobbiamo lavorare insieme per sradicare la povertà".

Una perfetta sintesi della sfida che lo aspetta. Avviata peraltro, pur se sull’onda dell’ossessione per il potere che ha sempre avuto, già nel 1998, quando strinse un "patto di impunita" - come dicono gli avversari di entrambi - con l’ allora presidente Arnoldo Aleman, il leader del Partito liberale costituzionale (Plc), la destra che, nel 1990, nelle urne, gli aveva impedito di riconfermarsi capo dello Stato.

In pratica Ortega, riducendo al lumicino i suoi ideali rivoluzionari - e, nello stesso tempo, anche arricchendosi - si è accordato con un settore dei suoi avversari. Tanto che, quando Washington si è accorta che il gioco era serio, ha fatto spaccare il Plc, dando vita alla Alleanza liberale nicaraguense (Aln), affidata a Montealegre, il leader dei settori più ricchi e conservatori del Nicaragua. Ma, nonostante le pressioni e le minacce di sempre, non è riuscita a bloccarlo.

Da Washington, comunque, sono già venuti segnali di moderazione. Ortega, però, dovrà misurarsi lo stesso con il fatto che, in Nicaragua, 16 anni di liberismo sfrenato, come ovunque in America Latina, non solo hanno accresciuto a dismisura la disuguaglianza sociale - l’80% della popolazione vive con uno o due dollari al giorno, il costo di una birra mentre a Managua scorrazzano a iosa Suv da 50.000 dollari - ma hanno anche dato la stura a dati macroeconomici positivi.

Il quotidiano ’La Prensa’ li mette sul tavolo affermando che "saranno le sfide economiche del nuovo presidente". E cioè affari a gonfie vele, export e turismo che crescono a dismisura e debito estero "che nel 1990 equivaleva a 30 anni di esportazioni mentre ora sono quattro".

Insomma non si toccano nè liberismo, nè Trattato di libero commercio con gli Usa, che consente tanta manna.

L’altra faccia della medaglia, però - ed in Nicaragua peggio che in qualsiasi altro Paese della regione - sono le ’maquilas’, gli stabilimenti di assemblaggio Usa dove 85.000 dipendenti, 78% donne, vengono pagati 30 centesimi di dollari all’ora e lavorano in condizioni terribili.

Sono appunto essi e gli altri settori poveri a costituire lo ’zoccolo duro’ a cui Ortega ha attinto i voti per la vittoria, propiziata poi anche dalla spaccatura tra i liberali.

Anche per questo, il nuovo presidente, oltre a gettare acqua sul fuoco delle inquietudini degli avversari - le radio di destra di Managua fanno a gara nel diffondere messaggi di gente che annuncia che lascerà il Paese "visto che ha vinto quello lì " -, parla appunto della "lotta alla povertà", precisando, ed in fondo ha ragione, che quando gli è toccato governare, "erano tempi di guerra, e poi ho avuto tutti contro".

(8 novembre 2006)

* la Repubblica


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