SALVIAMO I DIPINTI DI SANTA MARIA DE LOS ANGELES *
EN DEFENSA DE LA “CATEDRAL DE LOS POBRES” Un llamado desde el Parlamento italiano
Cinque ministri, un sottosegretario di Stato, quarantasei parlamentari di tutte le forze politiche e quasi tutti i membri della Commissione Istruzione e cultura del Senato hanno firmato l’appello
En los ultimos cuarenta años, uno de los hechos que más ha marcado la historia de America latina ha sido el compromiso de decenas de millones de cristianos, en su mayoria católicos impulsados por las enseñanzas del Concilio Vaticano II, con la construcción de una sociedad más justa y solidaria desde la opción por los pobres.
Este conjunto de reflexiónes teológicas, experiencias pastorales y acciónes sociales dió un aporte decisivo al proceso de transición de la dictaturas militares a los actuales regimenes democráticos y al fortalecimiento de una sociedad civil más inclusiva y plural, pagando el precio con persecuciónes llegadas muchas veces hasta el martirio.
Muchos/as de nosostros/as tenemos años de estra acompañando desde estos procesos, a veces también a través de una solidaridad concreta, unos/as compartiendo la misma fe e identificandonos profundamente con esta espiritualidad cristiana renovada y comprometida, y otros/as motivados por una inspiración ideal diferente, constatando el espíritu de entrega y el trabajo por la justicia y la paz.
Además, ese fenomeno social generò una gran producción cultural y artistica, de la cual uno de los ejemplos mayores es el “ciclo pictórico de integración plastica” de la iglesia de Santa Maria de los Angeles, en el barrio Riguero de Managua. Considerado “la muestra máxima del muralismo nicaraguense” y una de las principales obras latinoamericanas del arte sagrada inspirada por el compromiso con la liberación integral de los hombres, de las mujeres y de los pueblos, fue realizada hace 20 años por un equipo italo-nicaraguense dirigid por el pintor Sergio Michilini .
Frente a la posibilidad que este conjunto de extraordinario valor historico y artistico, declarado en 1990 Patrimonio cultural de la nación por el gobierno de Nicaragua, pueda ahora ser destruido por la incuria y la falta de atención, hacemos un llamado a las autoridades politicas, culturales y religiosas de este país hermano para que intervengan en su defensa, garantizando su conservación y favoreciendo su integral restauracción.
TRADUZIONE
In difesa della “Cattedrale dei poveri”. Un appello dal Parlamento italiano
Negli ultimi 40 anni, uno dei fatti che più ha segnato la storia dell’America latina è stato l’impegno di milioni di cristiani, in maggioranza cattolici sollecitati dagli insegnamenti del Concilio Vaticano II, per la costruzione di una società più giusta e solidale a partire dall’opzione per i poveri. Questo insieme di riflessioni teologiche, esperienze pastorali e attività sociali ha dato un contributo decisivo alla transizione dalle dittature militari agli attuali regimi democratici e al rafforzamento di una società civile più inclusiva e pluralista, al prezzo molte volte di persecuzioni arrivate al martirio.
Molti di noi hanno accompagnato da anni questi processi, a volte anche attraverso una solidarietà concreta, chi condivideva la stessa fede identificandosi profondamente con questa spiritualità cristiana rinnovata e impegnata, e chi partiva da un’ispirazione ideale diversa, constatando lo spirito di dedizione e il lavoro per la giustizia e la pace.
Questo fenomeno sociale ha inoltre dato vita a una grande produzione culturale e artistica, uno dei maggiori esempi della quale è il “ciclo pittorico di integrazione plastica” della chiesa di Santa Maria de los Angeles, nel quartiere Riguero di Managua. Considerato “la massima espressione del muralismo nicaraguense” e una delle principali opere latinoamericane dell’arte sacra ispirata dall’impegno per la liberazione integrale degli uomini, delle donne e dei popoli, fu realizzata 20 anni fa da un’équipe italo-nicaraguense diretta dal pittore Sergio Michilini. Davanti alla possibilità che questo complesso di straordinario valore storico artistico, dichiarato nel 1990 Patrimonio culturale della nazione dal governo del Nicaragua, possa ora essere distrutto dall’incuria e dalla disattenzione, rivolgiamo un appello alle autorità politiche, culturali e religiose di questo paese fratello affinché intervengano in sua difesa, garantendone la conservazione e favorendone il restauro integrale.
Promotori:
senatori Gigi Malabarba e Rina Gagliardi (Partito della rifondazione comunista-Sinistra europea-Prc-Se)
Hanno sottoscritto:
i ministri e sottosegretari di Stato Giuliano Amato (Interno) Giovanna Melandri (Politiche sportive e giovanili) Clemente Mastella (Giustizia) Livia Turco (Salute) Paolo Ferrero (Politiche sociali) Alberto Maritati (Giustizia) i vicepresidenti del Senato Gavino Angius (Democratici di sinistra-Ds) Roberto Calderoli (Lega nord) Milziade Caprili (Prc-Se) i componenti della 7° Commissione del Senato (Istruzione e cultura) Vittoria Franco (Ds), presidente Giuseppe Valditara (Alleanza nazionale-An) Maria Pellegatta (Partito dei comunisti italiani-Pdci) Fabio Giambrone (Italia dei valori-IdV) Albertina Soliani (Democrazia è libertà-Dl) Franco Asciutti (Forza Italia-Fi) Giovanni Mauro (Fi) Giovanna Capelli (Prc-Se) Sergio Zavoli (Ulivo), ex presidente Rai Carlo Fontana (Ds), ex sovrintendente Teatro alla Scala Magda Negri (Autonomie) Andrea Ranieri (Ds) i senatori / le senatrici Cesare Salvi (Ds) - presidente Commissione Giustizia Senato Tommaso Sodano (Prc-Se) - presidente Commissione Ambiente Senato Nuccio Iovene (Ds) Paolo Brutti (Ds) Giampaolo Silvestri (Verdi) Giuseppe Caforio (IdV) Aniello Formisano (IdV) Franca Rame (IdV) Gianni Nieddu (Ds) Armando Cossutta (Pdci) Willer Bordon (Dl) Andrea Manzella (Ds) Maria Celeste Nardini (Prc-Se) Francesco Martone (Prc-Se) Piero Di Siena (Ds) Laura Bianconi (Fi) Claudio Micheloni (Dl) Giovanni Russo Spena (Prc-Se) Francesco Ferrante (Dl) Lidia Menapace (Prc-Se) Paola Binetti (Dl) Erminia Emprin (Prc-Se) Santo Liotta (Prc-Se) Mauro Bulgarelli (Verdi) Fernando Rossi (Pdci) Claudio Grassi (Prc-Se) Loredana De Petris (Verdi) Ignazio Marino (Ds) Titti De Simone (Prc-Se)
www.ildialogo.org, Giovedì, 19 ottobre 2006
L’ex leader rivoluzionario marxista potrebbe farcela anche al primo turno. Indietro il liberale Montealegre
Presidenziali in Nicaragua. Ortega in testa con il 38,66% *
MANAGUA - Il candidato del Fronte sandinista di liberazione nazionale (Fsln), Daniel Ortega, è in testa con il 38,66% nelle elezioni presidenziali svoltesi ieri in Nicaragua davanti al liberale (Aln) Eduardo Montealegre che ha il 29.96%, quando è stato scrutinato il 40% delle schede. Al terzo posto l’altro candidato liberale del Plc, Josè Rizo, che è dato al 20,60%. Al quarto posto Edmundo Jarquin (Mrs) con il 10,16% e al quinto Eden Pastora (Ac) con lo 0,61%.
Questo scenario conferma per il momento la vittoria di Ortega al primo turno, visto che la legge elettorale la prevede per il candidato che raggiunge il 40% o il 35% con almeno 5 punti di vantaggio sul secondo.
Prima di leggere i dati Roberto Rivas, presidente del Consiglio superiore elettorale, ha risposto alle critiche di lentezza nella diffusione dei risultati spiegando che "tale fenomeno è dovuto al fatto che esistono numerosi ’lucchetti’ nella trasmissione dei dati per ragioni di sicurezza, oltre che numerosi controlli incrociati dovuti alla tradizionale sfiducia nel nostro sistema elettorale".
Le influenze esterne si sono fatte sentire durante la campagna elettorale e ieri sera, a seggi chiusi, il capo della Consiglio supremo elettorale, Roberto Rivas, ha attaccato gli Stati Uniti per avere adombrato il sospetto che le operazioni di voto non siano state trasparenti. "Vi è già stata una dichiarazione della delegazione degli Stati Uniti in cui si dice che le elezioni non sono state trasparenti", ha esordito Rivas, "Sappiamo che sono in corso riunioni in alcune istituzioni in questo Paese, che seguono la stessa linea. Noi ci siamo impegnati a fare svolgere elezioni trasparenti e questo è quanto sta avvenendo. Ritengono che vi siano sufficienti osservatori che possono testimoniarlo".
La delegazione nominata dal presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, ha scritto in una nota di avere ricevuto "informazioni di anomalie nel processo elettorale", come di alcuni seggi che hanno aperto in ritardo e chiuso in anticipo sull’orario e di lentezze nelle operazioni di scrutinio. La stessa nota sottolinea, tuttavia, che gli osservatori, guidati dall’ambasciatore statunitense Paul Trivelli, non sono nella condizione di potere concludere che le elezioni sono state "imparziali e trasparenti".
(6 novembre 2006)
«Quella di Ortega è solo ipocrita demagogia»
Ernesto Cardenal Intervista al prete, ex-guerrigliero e poeta, già ministro della cultura del governo sandinista. Che parla degli errori del passato, della tristezza del presente e delle speranze del futuro
di Geraldina Colotti (il manifesto, 05.11.2006)
Al IV incontro mondiale in difesa dell’umanità - dove lo abbiamo incontrato -, il grande poeta nicaraguese Ernesto Cardenal, fa vibrare gli animi coi versi del suo Cantico cosmico, tradotti in italiano da Celina Moncada. E lancia strali contro il suo ex-compagno di lotta Daniel Ortega: «Ortega parla di pace, amore e unità. Ma con chi dovremmo unirci: con i ladri del suo partito, con i suoi alleati somozisti e con l’Fbi? Nel Nicaragua del danielismo, i ricchi saranno sempre più ricchi, i poveri sempre più poveri»
Nato nel 1925 da una facoltosa famiglia di Granada, Cardenal sposò presto la causa dei diseredati: prima abbracciando gli ordini religiosi, poi il fucile. Nel ’79, entrò da guerrigliero sandinista nel Nicaragua liberato, e fu ministro della cultura fino all’87, quando il ministero fu soppresso per mancanza di fondi.
Qual è l’alternativa a Ortega, padre Cardenal?
Il Movimento per il rinnovamento sandinista, una forza progressista, a cui do il mio appoggio esterno. Herty Lewites, mio grande amico e uomo specchiato, purtroppo è morto, ma ora a dirigere l’Mrs c’è Edmundo Jarquín, e vicepresidente è Carlos Mejia Godoy, un cantautore notissimo, voce indimenticabile della rivoluzione sandinista. Nel movimento ci sono moltissimi artisti di levatura internazionale, come Gioconda Belli. Anche Bianca Jagger, la moglie del Rolling stone Mick, è in questi giorni nel mio paese per sostenere la campagna dell’Mrs.
L’Mrs è stato l’unico partito a schierarsi apertamente per l’aborto terapeutico, ma nonostante assicuri che farà pagare le tasse ai ricchi e tutelerà i meno abbienti, dice che non sarà possibile rompere con il Fondo monetario internazionale. E c’è chi, a sinistra, accusa l’economista Jarquín - genero di Violeta Chamorro ed espulso dal Frente - di essere un uomo della Banca mondiale...
Edmundo ha le mani pulite, per tutta la vita è stato dalla parte dei poveri. E’ stato ministro sandinista. E nel movimento ci sono altre persone umili e valorose, che hanno raccolto la vera eredità sandinista, non sono state al governo per spartirsi la torta, e non si alleano oggi con chi ha torturato e represso il popolo: Dora María Téllez, presidente del partito ed ex comandante della guerriglia come Mónica Baltodano, altri ex-guerriglieri come Hugo Torres, Henry Ruiz (Modesto), Víctor Tirado López y Luis Carrión...
Ortega rimane però la bestia nera degli Stati uniti, appoggiato invece dal presidente del Venezuela Hugo Chavez. Come lo spiega?
Gli Stati uniti, responsabili di tanti crimini, continuano a giocare sporco, e cercano di intervenire pesantemente nel gioco politico, ma hanno il loro candidato, il banchiere Edmundo Montealegre, della Alianza liberal nicaraguese (Aln). E Chavez è stato male informato. Quella di Ortega è solo ipocrita demagogia.
Secondo alcuni analisti, in Nicaragua oggi non esiste una sinistra ben definita. E’ d’accordo?
Il processo di ricostruzione di un’alternativa è lento e difficile, in questo mondo unipolare. La liberazione del Nicaragua è possibile all’interno di un percorso che riguarda l’intero continente. Il sogno di Bolivar, che Chavez evoca di continuo, non è uno slogan vuoto, come non lo è il rimando al socialismo del XXI secolo. Perciò bisogna difendere il Venezuela, la Bolivia di Evo e la piccola Cuba ribelle, senza il cui esempio non sarebbe possibile oggi richiamarsi ancora al socialismo nel continente. Ma, soprattutto, bisogna difendere la vita intera del pianeta, minacciata dalle guerre e dai falsi profeti. Bisogna difendersi da Bush che, come dice Chomsky, è il più grande terrorista del mondo.
Lei ha scritto recentemente un libro, La revolution perdida. Che bilancio fa della rivoluzione sandinista, un’esperienza di tipo nuovo nel panorama novecentesco?
La nostra è stata una rivoluzione che, per usare le parole di Gioconda Belli, ha espresso la tenerezza dei popoli. La metà di noi che era istruita, ha insegnato all’altra metà che era analfabeta. I diritti hanno smesso di essere privilegi. Purtroppo, abbiamo puntato sulle elezioni, sbagliando.Tutti pensavano che avremmo vinto, anche l’opposizione. Solo Fidel Castro ci avvertì che aveva avuto un sentore diverso. Non si fanno elezioni in tempo di guerra, perché il popolo sceglie la pace subito, anche se a caro prezzo. Da quell’esperienza, ricavo alcuni insegnamenti: un paese invaso ha diritto di difendersi. Un popolo oppresso ha diritto di ribellarsi, anche con le armi. Il comunismo e il cristianesimo, due valori per me ancora fondanti, non sono falliti perché non sono mai stati messi in pratica davvero. Quella nostra rivoluzione, però, benché sia un laboratorio di esperienze e di domande su cui riflettere, appartiene al passato. Non c’è più, meno che mai nel danielismo. Oggi c’è un sistema neo-liberista. La nuova speranza viene dal Venezuela.
Nell’83 Giovanni Paolo II l’additò al mondo come comunista e la sospese a divinis. Cosa resta oggi della teologia della liberazione in America latina?
Giovanni Paolo II perseguitò oltre 500 teologi, lasciandoli soli di fronte alle dittature. Dietro la sua crociata contro il comunismo c’erano le idee di Ratzinger, che vorrebbe bandire il pluralismo religioso. Invece, proprio dalla teologia dell’incontro, del pluralismo religioso e dalla spiritualità antigerarchica di Tomas Merton, va rinascendo un nuovo cristianesimo: di nuovo dalla parte degli ultimi, e anche nel nord del mondo. La globalizzazione può cambiare di segno, favorire la conoscenza del diverso, anziché dividere e disgregare. Le religioni, tutte le religioni, se sono per la vita e non per il dominio, potrebbero unire e arricchire le persone. Se tutte le religioni si unissero per difendere i poveri, la fame finirebbe. Se tutte le religioni si battessero per la pace, le guerre cesserebbero. Per questo, vale ancora la pena di ricominciare: io non mi considero sospeso a divinis, ma... a humanis.
I sandinisti tornano al potere dopo sedici anni. Col 91% dei voti scrutinati. il risultato è stato reso ufficiale dalla Commissione lettorale suprema
Nicaragua, Ortega riconquista la presidenza. Battuto, col 38% il liberale Montealegre *
MANAGUA - Il sandinista Daniel Ortega è stato rieletto presidente del Nicaragua, dopo 16 anni di assenza dal potere, con il 38,07% dei voti, sconfiggendo al primo turno il candidato liberale Eduardo Montealegre, appoggiato a spada tratta da Washington, che ha ottenuto il 29%. Lo ha annunciato in serata a Managua la commissione elettorale suprema, sulla base del 91,48% dei seggi scrutinati. Sarà quindi l’ex guerrigliero, del quale Montealegre ha riconosciuto la vittoria. il nuovo presidente eletto del Nicaragua, incarico che assumerà il 10 gennaio prossimo.
Per vincere al primo turno ed evitare il ballottaggio, in base alla legge elettorale nicaraguense, occorreva ottenere il 40% dei voti, o il 35% ma con almeno 5 punti di vantaggio sul secondo classificato. Josè Rizo, del Partito liberale costituzionale, è arrivato terzo con il 26% dei voti; Edmundo Jarquin, del Movimento per il rinnovamento sandinista, ha avuto il 6,4%; mentre Eden Pastora, dissidente storico dei sandinisti, si è dovuto accontentare dello 0,7%. Per Ortega era vitale una vittoria al primo turno, svoltosi domenica scorsa, perché beneficiava della divisione della destra, che al secondo turno si sarebbe probabilmente ricompattata.
Ortega era stato a capo del Nicaragua dal 1979, quando fu rovesciata la dittatura di Anastasio Somoza, fino al 1990.
Il leader del Fronte sandinista di liberazione nazionale (Fsln), il movimento rivoluzionario di cui fu uno dei nove comandanti negli anni ’60/’70, era giunto al potere dopo una guerra civile costata almeno 30.000 morti, e aveva dovuto cederlo, nelle elezioni del 1990, alla candidata della destra Violeta Chamorro.
Lunedì sera, non appena ha avuto la certezza della vittoria - a quel punto, con il 61% circa dei seggi scrutinati, aveva il 38,7% dei suffragi - Ortega è corso dall’ex presidente Usa Jimmy Carter, a Managua come osservatore, e lo ha rassicurato: "Dobbiamo far sì che la riconciliazione continui ad unire il popolo. Dobbiamo lavorare insieme per sradicare la povertà".
Una perfetta sintesi della sfida che lo aspetta. Avviata peraltro, pur se sull’onda dell’ossessione per il potere che ha sempre avuto, già nel 1998, quando strinse un "patto di impunita" - come dicono gli avversari di entrambi - con l’ allora presidente Arnoldo Aleman, il leader del Partito liberale costituzionale (Plc), la destra che, nel 1990, nelle urne, gli aveva impedito di riconfermarsi capo dello Stato.
In pratica Ortega, riducendo al lumicino i suoi ideali rivoluzionari - e, nello stesso tempo, anche arricchendosi - si è accordato con un settore dei suoi avversari. Tanto che, quando Washington si è accorta che il gioco era serio, ha fatto spaccare il Plc, dando vita alla Alleanza liberale nicaraguense (Aln), affidata a Montealegre, il leader dei settori più ricchi e conservatori del Nicaragua. Ma, nonostante le pressioni e le minacce di sempre, non è riuscita a bloccarlo.
Da Washington, comunque, sono già venuti segnali di moderazione. Ortega, però, dovrà misurarsi lo stesso con il fatto che, in Nicaragua, 16 anni di liberismo sfrenato, come ovunque in America Latina, non solo hanno accresciuto a dismisura la disuguaglianza sociale - l’80% della popolazione vive con uno o due dollari al giorno, il costo di una birra mentre a Managua scorrazzano a iosa Suv da 50.000 dollari - ma hanno anche dato la stura a dati macroeconomici positivi.
Il quotidiano ’La Prensa’ li mette sul tavolo affermando che "saranno le sfide economiche del nuovo presidente". E cioè affari a gonfie vele, export e turismo che crescono a dismisura e debito estero "che nel 1990 equivaleva a 30 anni di esportazioni mentre ora sono quattro".
Insomma non si toccano nè liberismo, nè Trattato di libero commercio con gli Usa, che consente tanta manna.
L’altra faccia della medaglia, però - ed in Nicaragua peggio che in qualsiasi altro Paese della regione - sono le ’maquilas’, gli stabilimenti di assemblaggio Usa dove 85.000 dipendenti, 78% donne, vengono pagati 30 centesimi di dollari all’ora e lavorano in condizioni terribili.
Sono appunto essi e gli altri settori poveri a costituire lo ’zoccolo duro’ a cui Ortega ha attinto i voti per la vittoria, propiziata poi anche dalla spaccatura tra i liberali.
Anche per questo, il nuovo presidente, oltre a gettare acqua sul fuoco delle inquietudini degli avversari - le radio di destra di Managua fanno a gara nel diffondere messaggi di gente che annuncia che lascerà il Paese "visto che ha vinto quello lì " -, parla appunto della "lotta alla povertà", precisando, ed in fondo ha ragione, che quando gli è toccato governare, "erano tempi di guerra, e poi ho avuto tutti contro".
(8 novembre 2006)