Benedetto Lutero
di Daniele Garrone, decano della Facoltà valdese di teologia di Roma
Nei giorni scorsi si è tornato a parlare di Lutero su alcuni quotidiani italiani. L’occasione è stata la notizia che, nel prossimo dei consueti incontri che ha con i suoi ex-allievi, il Papa intenderebbe occuparsi del pensiero del riformatore tedesco. Dall’incontro ci sarebbe da attendersi una rivalutazione degli elementi “cattolici” nel pensiero di Lutero. Il Financial Times bollava la presunta iniziativa con toni sarcastici: una cosmesi sull’immagine di Lutero non cambierebbe il dogmatismo di Benedetto XVI e non accrediterebbe una liberalizzazione della chiesa di Roma. Il portavoce di Roma precisava infine che nessuna riabilitazione di Lutero è in vista e che il tema del prossimo incontro di papa Ratzinger con i suoi allievi non è ancora fissato.
Staremo a vedere se e che cosa dirà il Papa di Lutero. Se la questione di fondo sarà, come si esprime Giacomo Galeazzi su La Stampa, stabilire se Lutero “voleva creare una frattura o, invece, intendeva sì riformare, ma senza traumi, la storia millenaria della Chiesa”, e se la risposta accoglierà la seconda ipotesi, vorrà dire che anche Roma riconosce ora, quasi 500 anni dopo, ciò che da decenni è accertato sul piano della storiografia e del dialogo ecumenico. Lutero intese sostanzialmente ripristinare su basi bibliche la cattolicità della chiesa, cioè la sua universalità in Cristo, che riteneva compromessa dalla tradizione della chiesa romana. Egli era convinto che la chiesa una, santa, cattolica e apostolica esiste in Cristo, dalla sua venuta fino al suo ritorno, e si manifesta là dove la comunità cristiana vive nella fede, è santificata dallo Spirito, ed amministra rettamente i sacramenti. Per questa sua interpretazione della cattolicità, universale e non “romana”, che deriva direttamente dal Credo niceno, fu scomunicato e messo al bando. Sarà interessante vedere come si parlerà di Lutero - se lo si farà - , in questi tempi in cui sempre più la chiesa di Roma si erge a criterio e misura della cattolicità, che ritiene di detenere compiutamente.
La comparsa passeggera di Lutero sulla stampa solleva però immediatamente un altro problema, tipico del nostro paese e della nostra cultura, che non esiterei a definire “questione protestante”. L’apporto che il protestantesimo, da Lutero in avanti, ha dato alla coscienza cristiana e alla società moderna, è in Italia semplicemente ignorato, strutturalmente rimosso. Si sa bene o male che c’è una minoranza protestante anche in Italia. Ma, se posso dirlo con una battuta, non si sa che cosa ci si è perso, come italiani, negli ultimi 500 anni.
Non si sa che è emersa una postura cristiana che ha contribuito a forgiare la modernità, quella di chi sostiene che nella chiesa non esiste clero ma tutti sono ugualmente laici e sacerdoti, soggetti liberi e responsabili, con la schiena dritta e la testa alta davanti ad ogni pretesa di assolutezza e di obbedienza, soggetti solo alla Parola di Dio che li chiama e li giudica. Una postura che, avendo declericalizzato la chiesa, ha desacralizzato la politica, contribuendo ad aprirla al pluralismo delle convinzioni e alla negoziazione delle decisioni.
L’emergere di questa postura ha segnato la storia di gran parte dell’Europa, del Regno Unito e degli Stati Uniti. Ma in Italia si può ancora ragionare come se tutto questo non ci fosse stato e, dai talk-show televisivi ai convegni sulla laicità, si può rappresentare un pluralismo variegato ma sempre rigorosamente senza confronto con le ragioni del protestantesimo. Che compare invece quando c’è qualcosa che suona come scoop. Non di scoop l’Italia ha bisogno, ma di recuperare dimensioni della storia moderna che le sono mancate, e che, tuttavia, potrebbero ancora farle un gran bene. (NEV, 10-11/2008)
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* il dialogo, Giovedì, 13 marzo 2008