Il patrono della Chiesa come modello per affrontare le turbolenze del mondo
Attualità di san Giuseppe
di TARCISIO STRAMARE *
"È certo che la figura di Giuseppe acquista una rinnovata attualità per la Chiesa del nostro tempo, in relazione al nuovo Millennio cristiano". Così afferma Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica Redemptoris custos, dove richiama la Christifideles laici nel contesto storico del decreto Quemadmodum Deus (1870) con il quale Pio IX "metteva se stesso e tutti i fedeli sotto il potentissimo patrocinio del santo Patriarca Giuseppe". Giovanni Paolo II riteneva che la situazione della Chiesa e della società non fosse meno grave al presente che "in quei tristissimi tempi": "Questo patrocinio deve essere invocato ed è necessario tuttora alla Chiesa non soltanto contro gli insorgenti pericoli, ma anche e soprattutto a conforto del suo rinnovato impegno di evangelizzazione del mondo e di rievangelizzazione in quei paesi e Nazioni dove la religione e la vita cristiana (...) sono messi a dura prova" (n. 29). Il Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, istituito da Benedetto XVI il 21 settembre 2010, a vent’anni dalla Redemptoris custos, con il motu proprio Ubicumque et semper, si pone nella linea della continuità.
I mezzi di comunicazione sociale ci informano quotidianamente sulle gravi turbolenze che scuotono l’umanità e sulle sofferenze della Chiesa, che ne compromettono lo sviluppo, dimostrando che ancora oggi abbiamo numerosi motivi per pregare san Giuseppe. La rinnovata attualità del santo si estende dall’intervento di difesa verso l’esterno all’opera interna di rinvigorimento.
Tutta la Redemptoris custos è focalizzata sull’economia della salvezza, della quale san Giuseppe è stato, insieme con Maria, singolare "ministro". Così lo ha presentato la predicazione apostolica, testimoniata nei vangeli là dove essi descrivono "gli inizi della redenzione", ossia "i misteri della vita nascosta di Gesù", gli stessi misteri che la Chiesa rivive nel ciclo annuale della sua celebrazione liturgica. Di essi Giuseppe è stato ministro fedele "mediante l’esercizio della sua paternità" (n. 8).
Che di san Giuseppe si intenda evidenziare soprattutto il ministero, appare già nel titolo dell’esortazione apostolica. Custos, infatti, non vuole metterne in ombra la paternità, della quale anzi il documento difende espressamente l’autenticità, quanto piuttosto sottolinearne la funzione, che è quella del servizio, come d’altronde deve essere per ogni paternità. Già questo è un chiaro ammonimento per quei genitori che oggi si arrogano il diritto di spadroneggiare sulla vita dei figli come se fossero un loro prodotto. La vita dell’uomo è nelle mani di Dio, al quale il titolo di Padre appartiene in assoluto (cfr. Matteo, 23, 9). Di questa paternità divina san Giuseppe è stato colui che ha esperimentato in modo singolare la ministerialità: escluso dalla generazione a motivo dell’origine divina del Figlio, egli ha assunto, tuttavia, gli impegni più onerosi della paternità, ossia l’accoglienza e l’educazione della prole, elementi che rientrano, insieme alla generazione, nella natura della paternità umana, come insegna san Tommaso. Già Origene scriveva: "Benché niente nella sua generazione, Giuseppe gli ha dedicato il servizio e l’amore. È per questo suo fedele servizio, che la Scrittura gli ha concesso il nome di "padre"".
Giovanni Paolo II considera la paternità di san Giuseppe appunto come un servizio, del quale la debolezza dell’umanità di Gesù aveva bisogno soprattutto nel periodo della sua vita nascosta - "custode del Redentore" e "ministro della salvezza". Ebbene, questo profilo del santo è lo stesso che deve qualificare e definire la Chiesa. Di fronte all’odierna diffusa crisi di "identità", che non ha risparmiato neppure lei, è proprio "il riconsiderare la partecipazione dello sposo di Maria al riguardo che consentirà alla Chiesa di ritrovare continuamente la propria identità" (n. 1).
Se già la qualifica di custode è significativa per designare la funzione della paternità umana, tanto più lo è se questa ha come termine non un semplice uomo ma il redentore. La figura e il ruolo di san Giuseppe, infatti, avrebbero potuto essere esaltati con il titolo di "Padre del Verbo" o "Padre di Dio", espressioni già presenti nella liturgia, ovvero con l’espressione più familiare e largamente diffusa dell’inno latino Salve, pater Salvatoris; salve, custos Redemptoris. Perché allora non scegliere proprio nell’abbinamento di questi due titoli quello di Pater Salvatoris, che sarebbe stato più elogiativo? Evidentemente perché "custode" si adattava meglio al tenore del documento pontificio, che intende presentare san Giuseppe come "ministro della salvezza".
La domanda, allora, è un’altra: perché Giovanni Paolo II ha voluto presentare san Giuseppe come "ministro della salvezza", pur esaltandone e valorizzandone la paternità? La risposta va cercata nella scelta fondamentale del suo magistero, che è il tema della redenzione. Poiché la redenzione dell’umanità è la dimostrazione dell’amore di Dio per la "sua immagine" (Genesi, 1, 27), assunta dallo stesso suo Figlio nell’incarnazione, tutti devono parteciparvi. Il Papa rivolge la sua esortazione alla Chiesa tutta, ricordandole quale sia la sua identità e proponendole un modello concreto, san Giuseppe, appunto.
L’affermazione di Giovanni Paolo II, secondo cui deve "crescere in tutti la devozione al Patrono della Chiesa universale", è finalizzata all’accrescimento dell’"amore al Redentore, che egli esemplarmente servì". Proprio questo "servì" è il profilo della figura di san Giuseppe, sempre presentato nei vangeli come attento e fedele esecutore degli ordini di Dio trasmessigli da un angelo nel sonno. San Tommaso traccia questo profilo con due parole: "ministro e custode". Si comprende allora perché all’invocazione del patrocinio, la Chiesa debba associare coerentemente la necessità di imitare il suo patrono, "un esempio che supera i singoli stati di vita e si propone all’intera comunità cristiana, quali che siano in essa la condizione e i compiti di ciascun fedele".
* L’Osservatore Romano 19 marzo 2011