DANTE LETTO NELLE PIAZZE PARLA ALLA GENTE
di DANIELE PICCINI (Avvenire/Agorà, 17.04.2008)
In giro per l’Italia si sta rianimando l’uso delle «lecturae Dantis», dopo la sistematica e completa immersione di Vittorio Sermonti di qualche anno fa e dopo la popolatissima performance di piazza e di teleschermo di Roberto Benigni. Proprio l’attore toscano, per l’effetto di schiacciamento che i grandi media inducono, diviene un punto di partenza interessante e insieme contrastivo. Il pubblico più largo e generico è suggestionato a pensare che l’unica «lectura» possibile sia di quel tipo. Una messa in scena appassionata, magari con divagazioni attualizzanti e satiriche, e con la mediazione necessaria di un attore, di un «performer» appunto. Ma la storia, come sempre, è più lunga e complessa. Basti pensare che la prima «lectura Dantis» della storia venne tenuta da Giovanni Boccaccio a Firenze nella chiesa di Santo Stefano di Badia nel 1373.
Anziano e malandato, in una sessantina di lezioni pubbliche, Boccaccio arrivò a commentare circa la metà della prima cantica. In una chiesa, si diceva. Quello che Dante chiama nel «Paradiso» «sacrato poema» e ancora il «poema sacro / al quale ha posto mano e cielo e terra» può essere meditato, ’ruminato’ e letto in un luogo per l’appunto sacro: la parola umana, umana al quadrato grazie alla tecnica poetica, aspira tuttavia, nell’altissima pretesa della Commedia, ad essere parola di verità, con l’autore autopromosso a «scriba Dei». Così a Sansepolcro, la città di Piero della Francesca, si è promosso un ciclo di quattro letture, intitolato «Comincia la commedia», proprio nella cattedrale romanica del paese: analisi e commento del primo canto di ognuna delle tre cantiche affidati a un dantista e a seguire lettura integrale del testo da parte di un attore (con la serata finale del 18 aprile dedicata alla versione in dialetto locale dell’«Inferno»: la Commedia è stata ’reinventata’ non solo in innumerevoli lingue straniere ma in tanti idiomi dialettali della penisola). A Milano poi, all’Università Statale, è ancora in corso la nuova edizione degli «Esperimenti danteschi», quest’anno dedicata all’«Inferno», con la presenza di prestigiosi dantisti italiani e stranieri. Che cosa suggeriscono queste «lecturae» rinate? Che la «Commedia» è stata letta per secoli nei modi classici della lectio accademica. E che Benigni è un felice episodio di una lunga trafila. E poi ci ricordano il potere ’salutare’ (come avrebbe detto Luzi) del poema: non solo in senso religioso, ma in chiave di pienezza della lingua, messa a frutto in tutta la sua efficacia ed economicità.
La potente scaturigine dantesca richiama all’origine, alle fonti di una parola armonizzata per «legame musaico» e per ciò stesso sottratta a ogni usura, consumo, deprivazione di energia. Parla perciò alla comunità civile. E a volerla e saperla ascoltare, parla anche ai dispersi poeti della tarda modernità, non come un bene di rifugio, consolatorio, ma come una spinta a riconsiderare i fondamenti del loro dire, perché possa nuovamente risuonare (anche attraverso una riforma tecnica e metrica) pubblico e comunitario.