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GRECIA: EU-ROPA!!!

Cyber-terra e democrazia. Quale governo per Internet? A Vouliagmeni (Atene), il Forum mondiale. Linee politiche (economiche e ’teologiche’) a confronto: il regno di un "Grande Fratello" o il regno del "Padre Nostro"?

mercoledì 1 novembre 2006 di Federico La Sala
[...] un appuntamento storico per la rete sia per ampiezza di partecipanti che di tematiche in discussione. Patrocinato dalle Nazioni unite, il Forum riunisce infatti i rappresentanti di 90 paesi, di aziende che operano nella Rete (Yahoo!, Google, Microsoft ecc), di istituti internazionali (Ue, Consiglio d’Europa, Ocse), di organizzazioni in difesa dei diritti umani (Amnesty International) [...]
AL VIA AD ATENE IL FORUM MONDIALE SU INTERNET *
ATENE - E’ iniziato stamane a Vouliagmeni, una (...)

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> GRECIA. A Vouliagmeni (Atene), il Forum mondiale sul governo di Internet --- SE GLI OPPRESSI SCOPRONO LA RETE di Beatrice Magnolfi.

sabato 20 ottobre 2007

Se gli oppressi scoprono la Rete

di Beatrice Magnolfi *

La Rete è il peggior nemico degli oppressori. È questo il messaggio che i recenti provvedimenti dei militari birmani trasmettono al mondo. Il blocco dei provider da parte del governo per fermare le testimonianze sulla feroce repressione mostra come Internet sia in grado di destabilizzare i regimi autoritari. Le violazioni di diritti umani vi sono sempre state, in Birmania come in molti altri paesi, ma oggi la comunità internazionale non ha più alibi: non può dire “non lo sapevo”.

Tutto il mondo, grazie alla nuova “resistenza tecnologica”, ha visto migliaia di monaci in tonaca rossa sfilare per le strade, soldati che sparavano a un fotoreporter giapponese e corpi di cittadini inermi sotto le ruote dei camion militari. Mai prima dell’avvento della Rete ciascun individuo aveva potuto testimoniare in tempo reale eventi tanto drammatici. Mai la sfera pubblica aveva avuto un’arena così efficace, che permette non ad un’imprecisata massa - concetto proprio di media come la tv - bensì a un insieme di individui, di comunicare liberamente.

La Rete fa spesso notizia più per i rischi connessi al suo utilizzo da parte dei “cattivi” (pedofili, terroristi, truffatori) che per le sue straordinarie potenzialità democratiche, enfatizzate dallo sviluppo del Web 2.0 (i contenuti generati dagli utenti). È vero che l’umanità, specie in occidente, deve sempre più spesso tutelare la sicurezza, ma in troppi paesi mancano ancora gli elementari diritti di libertà, per la cui affermazione la Rete si sta rivelando il mezzo più potente della storia. Il fenomeno è ancora agli inizi, solo un miliardo di persone al mondo accede ad Internet, ma l’ondata ineluttabile di cambiamento è già in atto.

Non è solo la Birmania a cercare di controllare la Rete; il rapporto annuale sulla libertà di stampa nel mondo, pubblicato di recente da Reporters sans frontières, mostra come sempre più paesi, in particolare Malesia, Thailandia, Vietnam, oltre al Myanmar, temano Internet. Decine di persone sono in carcere in tutto il mondo per aver espresso online opinioni sgradite ai governi: 50 nella sola Cina, stato che ha oscurato 18.000 siti in occasione dell’ultimo Congresso del partito comunista.

I Paesi più virtuosi sono Islanda, Norvegia, Estonia; gli ultimi Turkmenistan, Corea del Nord, Eritrea. Tuttavia Internet esercita una grande pressione, destinata a crescere, per scardinare gli argini repressivi dei governi illiberali. Fino a quando la Birmania potrà bloccare i provider senza nuocere alla propria economia? Senza considerare che, come ha osservato acutamente Seth Mydans sullo Herald Tribune (in un articolo pubblicato lunedì su l’Unità) «anche un blog chiuso è un blog potente»: anche il silenzio grida al mondo un messaggio di libertà.

I regimi lo hanno capito, le grandi democrazie meno. Con la conseguenza che le azioni repressive sopravanzano le azioni positive.

Più di 80 milioni di blog, oltre 100 milioni di video su YouTube, grandi comunità di social network non sono fenomeni arginabili e non si può pensare che non si ripercuotano sui rapporti tra politica e cittadini. Ma questo cambiamento deve essere indirizzato, affinché non scivoli verso derive populiste e ambigue tentazioni di democrazia diretta; verso quella «democrazia delle emozioni», come la definisce Stefano Rodotà, già in agguato anche in Italia. Si tratta della più ambiziosa e necessaria sfida che la politica deve assumersi, partendo dal presupposto che l’agire politico tradizionale non è disgiunto dalle azioni condotte online.

Un altro luogo comune da sfatare è che la Rete non abbia bisogno di essere regolamentata: l’assenza di regole per il web non significa libertà, ma affermazione dei più forti sui più deboli. D’altronde, alcune ricerche scientifiche, fra tutte quella di Albert-László Barabási, mostrano come persino i nodi della Rete non abbiano una distribuzione democratica, rendendo alcuni contenuti meno accessibili di altri.

Servono dunque nuove regole per Internet.

Bisogna partire dal rafforzamento dei diritti umani già sanciti, perchè la Rete li ha esposti a un’enorme forza d’urto, rivelando la fragilità delle misure poste a loro protezione. Ma non è sufficiente. L’affermazione dei diritti umani codificata nei secoli scorsi non coglie appieno il salto di paradigma introdotto da Internet, che richiede il riconoscimento di nuovi diritti: l’accesso al sapere, la sicurezza dei dati, il rispetto della privacy, la tutela degli utenti più vulnerabili, la salvaguardia delle diversità delle opinioni, la responsabilità dei contenuti.

Ma insieme a nuovi diritti occorre un nuovo metodo di regolamentazione; non si può più pensare a norme imposte dall’alto: è necessario piuttosto un processo condiviso e inclusivo che interessi, insieme ai governi, tutti gli stakeholder, imprese, ricerca, utenti, associazioni. Sarebbero poi velleitarie iniziative legislative di rango nazionale: Internet scavalca le frontiere, travolgendo nell’era della globalizzazione l’ultimo residuo dell’idea di sovranità.

La proposta del governo italiano, presentata di recente a Roma in un convegno internazionale organizzato insieme all’Onu, è quella di un Internet Bill of Rights, una carta dei diritti e dei doveri della Rete condivisa e multistakeholder, secondo un nuovo modello politico e sociale di regolamentazione. Hanno risposto al nostro invito ben 70 Paesi e numerosi attori sociali, che ci incoraggiano ad andare avanti in questo percorso.

È un’utopia? Forse si, ma un’utopia necessaria, che proprio in quanto tale, chiede alla comunità internazionale, a tutti noi, di essere tradotta in un progetto concreto.

* l’Unità, Pubblicato il: 20.10.07, Modificato il: 20.10.07 alle ore 8.40


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