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Democrazia in America ...

USA: ELEZIONI (e non solo). Jimmy CARTER scende in campo e "fa la predica" a George W. BUSH, con un libro: "I NOSTRI VALORI IN PERICOLO". Una recensione di Bernd Greiner, giornalista del "Die Zeit".

venerdì 3 novembre 2006 di Federico La Sala
[...] Carter mette a nudo con molta più determinazione di altri osservatori il nocciolo del conflitto. Non si tratta già di commistione fra politica e religione. Piuttosto gli evangelici, per amore della loro volontà di trovare spiegazioni, puntano alla sostanza della Costituzione repubblicana - in generale sulla divisione dei poteri e in particolare sull’indipendenza della giustizia [...]
Die Zeit, Hamburg, 26 ottobre 2006, n° 44
La democrazia lesa
L’ex presidente americano Jimmy Carter (...)

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> ELEZIONI (e non solo). Democrazia in America ... Jimmy CARTER scende in campo e "fa la predica" a George W. BUSH, con un libro: "I NOSTRI VALORI IN PERICOLO". Una recensione di Bernd Greiner, giornalista del "Die Zeit".

domenica 5 novembre 2006

ELEZIONI DI MIDTERM IN USA

Rivoluzione conservatrice alla prova

di Barbara Spinelli (La Stampa, 5/11/2006)

DICONO i sondaggi negli Stati Uniti che l’elettore americano, questa volta, concentrerà tutta la propria malcontenta attenzione su Bush, sulla fallita missione in Iraq, e sulle migliaia di soldati fatti morire in una guerra sbagliata, mal preparata, condotta al tempo stesso con enorme passione e ancor più enorme sciatteria. Dicono che non è l’economia a preoccupare i votanti, ma lo stato di guerra permanente e inane in cui il Paese si trova a dover vivere da quando Bush è diventato capo dello Stato. Questo stato di guerra ha trovato il suo simbolico battesimo politico il giorno in cui il terrorismo colpì le Torri di New York, seminando morte e terrore in un popolo dichiarato nemico da Al Qaeda.

Ma se Bush colse subito quell’occasione per lanciare non una sola guerra di rappresaglia ma più guerre inutili e deleterie, è perché già prima dell’11 settembre l’arte della politica era stata contraffatta, divenendo arte non fondata sulla mediazione ma su insanabili conflitti e divisioni. Più precisamente, era diventata un’arte dove la cultura e la religione tornavano a coincidere con la politica e a monopolizzarla, mettendo fine all’autonomia laica che quest’ultima possiede in democrazia, quando le sue istituzioni sono forti. Finita la guerra fredda, si trattava di ricreare il nemico di cui le democrazie hanno esistenzialmente bisogno per far fronte alle avversità, e il nemico fu trovato dividendo il Paese tra chi era pronto a dar battaglia sui presunti valori smarriti e chi no, tra chi voleva anteporre la cultura e la religione alla politica e chi voleva tenerle da essa separate, così come son separate in Occidente e nella Costituzione Usa le Chiese.

La trasformazione dell’arte politica in guerra culturale era cominciata nel 1994, cinque anni dopo la sconfitta del comunismo, quando i repubblicani riconquistarono la Camera dei Rappresentanti e il Senato (da 40 anni i democratici dominavano la Camera, da 8 il Senato). Clinton era Presidente, a quel tempo, ma i repubblicani vinsero le elezioni di medio termine annunciando quella che doveva essere un’autentica rivoluzione, prolungatasi poi nella presidenza Bush. Il loro dominio sul Congresso è durato 12 anni, e in quest’intervallo molte cose sono cambiate negli Stati Uniti. È cambiata l’idea della guerra: non più fredda ma calda; non più limitata nel tempo ma dipinta come sterminata. È cambiato il rapporto tra esecutivo e legislativo, con l’esecutivo che ha accumulato immensi poteri mortificando il Congresso e le regole di diritto.


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