Per cambiare Napoli
di Elio Veltri *
Nessuno ha la percezione di vivere e lavorare in una condizione di normalità e tutto sembra essere provvisorio: la vita, le leggi, le regole, la parola, gli impegni. Questa è Napoli e anche il paese. Qualche tempo fa, in piena guerra di camorra tra i clan, ho incontrato nella prefettura di Napoli il prefetto Profili, servitore dello Stato, il quale appena messo piede nel suo ufficio mi ha detto: «Vede, a questo tavolo lavoro 16 ore al giorno». E io di rimando, provocatoriamente: «Non serve a niente. I problemi non sono di ordine pubblico, ma politici». Da quanto leggo, si parla molto di esercito, di telecamere, di aumento delle forze dell’ordine. Poco di leggi penali, civili e tributarie e del funzionamento della giustizia riferita ai tre ordinamenti, del funzionamento della pubblica amministrazione, dell’economia sommersa, della camorra potenza economica e del valore dei beni mafiosi, del numero degli affiliati e della loro composizione sociale, dei rapporti con la politica e con gli apparati pubblici.
Insomma il problema viene visto e, forse, affrontato come un problema di ordine pubblico. Che è poi il modo più semplice per placare gli animi per qualche settimana, ma anche per non risolverlo. A Londra le telecamere piazzate in tutti gli angoli scatteranno 50 milioni di foto al giorno, con una intromissione nella vita dei cittadini che non lascia scampo alla libertà personale. A Napoli non servirebbe, perché a Napoli c’è la camorra e a Londra no. Forse la diagnosi più acuta e impietosa della città, che contrasta con l’indulgenza comunarda del sindaco, del presidente della regione e di alcuni intellettuali che non vogliono sporcarsi le mani, l’ha fatta il cittadino Giovanni Aniello, il quale ha scritto a Giorgio Bocca, che sull’Espresso in edicola ne pubblica la lettera. Aniello spiega che Napoli non si ribella perché dovrebbe farlo contro se stessa e che la criminalità almeno per ora ha vinto. «E non perché ci abbia sopraffatto, ma perché noi esprimiamo questo, siamo così». E aggiunge che «nessuno ormai ha titolo per aprire bocca su nessun altro. Perché Napoli non è un’isola. Siamo tutti in parte corresponsabili dello stesso paese abbandonato». Insomma, come scrive Bocca, «Napoli siamo noi».
D’altronde, chi per anni si è battuto per il rispetto della legalità e ha cercato di spiegare che un paese totalmente illegale non ha futuro è stato deriso, malmenato, emarginato. Ma alla lunga i conti si pagano. E noi, se vogliamo stare in Europa, unica possibilità di salvezza, dobbiamo pagarli. Ma per intervenire è necessario non improvvisare, evitare la propaganda. Vorrei affrontare alcune questioni che solo marginalmente sono comparse nel dibattito di questi giorni.
Primo, le leggi. Prodi ha detto che non c’è bisogno di leggi speciali e che quanto accade a Napoli non ha niente a che vedere con l’indulto. Sulla prima affermazione sono d’accordo perché Napoli ha un bisogno disperato di normalità, a condizione che si chiarisca la distinzione tra leggi speciali e modifica delle leggi esistenti. Sulla seconda sono in disaccordo. C’è bisogno di modificare la struttura dei processi penale, civile e tributario perché tutti i processi finiscono in gloria: prescrizione dei reati, libertà dei rei e offesa alle vittime nel penale; allungamento delle vertenze contrattuali e danni catastrofici all’economia nel civile; trionfo degli evasori fiscali. Tanto per stare al tributario ricordo (e non se ne parla) che delle evasioni accertate dalla guardia di finanza, lo Stato incassa solo il 4% circa, cioè niente, e dopo una decina di anni, mentre le televisioni illudono il cittadino. Quanto all’indulto, il rapporto c’è eccome con il disastro. Innanzitutto perché il messaggio è devastante: potete delinquere tanto poi lo Stato vi tira fuori dalla galera. Per i giovani che cominciano a delinquere il messaggio costituisce una istigazione a farlo. E poi, considerata la lentezza della giustizia, per i prossimi dieci anni tutti i reati commessi prima del maggio 2006 saranno condonati. Tutti i reati connessi col reato di camorrismo. Presidente, per favore, non dirlo più!
Seconda questione: se Aniello ha ragione, è necessaria una «azione capillare di pedagogia legalitaria di massa», come scrive Galli Della Loggia. Questo è uno dei motivi che mi avevano spinto a chiedere a Prodi di nominare un ministro o un delegato alla legalità. È necessario che l’operazione sia tempestiva, credibile nella scelta delle persone, imparziale, trasversale. L’apertura delle scuole con prolungamento degli orari, il recupero dell’abbandono scolastico, l’incontro in tutte le scuole con studenti, genitori, docenti, amministratori, forze dell’ordine, associazioni di categoria e del volontariato, devono diventare parte di un progetto permanente.
Le proposte sarebbero inefficaci se comune e regione non dessero una svolta politica, amministrativa e, soprattutto, nei comportamenti. Il risanamento urbanistico, lo smaltimento dei rifiuti, la riappropriazione delle aree urbane abusivamente occupate e vendute; la sottrazione di servizi pubblici essenziali come il trasporto: il rispetto del codice della strada; l’azzeramento dei mille conflitti di interesse degli amministratori e dei dirigenti dei partiti; il taglio drastico dei costi della politica; l’assoluta trasparenza del mercato pubblico, sono altrettante necessità per recuperare risorse finanziarie e umane, efficienza e ridurre l’area dell’estraneità dei cittadini sulla quale la camorra investe per vivere.
La mafia, dice l’Eurispes, si pone come soggetto di disastro sociale ed economico: lo produce perché ne ha bisogno. Nel degrado sociale essa può presentarsi come l’unica mediatrice della soluzione dei problemi, cercando di acquisire un ruolo sostitutivo dello Stato. Infine, c’è il problema ignorato ma essenziale riguardante la potenza economica della criminalità, i rapporti con la politica e l’apparato pubblico, il sequestro e la confisca dei beni, il numero degli affiliati. Problema tabù, che rimando a un prossimo articolo.
* www.unita.it, Pubblicato il: 09.11.06 Modificato il: 09.11.06 alle ore 8.58