Cardini: “Ratzinger sbaglia, su Celestino aveva ragione Dante”
intervista a Franco Cardini
a cura di Giacomo Galeazzi (La Stampa, 5 luglio 2010)
«Se fossi papa ci penserei due volte a riabilitare Celestino V. Storicamente ha più ragioni Dante per condannarlo di quante non ne abbia Benedetto XVI per elogiarlo».
Il medievista Franco Cardini è un «fervido estimatore di Joseph Ratzinger», però stavolta dissente «rispettosamente» e giudica «pericoloso» indicare come modello per la Chiesa attuale «colui che fece per viltà il gran rifiuto».
Perché, a differenza di papa Ratzinger, lei considera Celestino V un esempio negativo?
«Benedetto XVI fa il suo lavoro. E’ legittimo che nella missione di pontefice utilizzi vicende passate per attualizzare precetti, però è antistorico estrapolare dal loro contesto figure o eventi travisandoli davanti a persone che non ne sanno nulla. In Abruzzo è una gloria locale, ma nella storia ecclesiastica ha più ombre che luci, quindi è un errore di metodo trascurare il fatto che il santo eremita si trovò in balia di un tragico vuoto di potere nella Chiesa. Mi pare rischioso e controproducente tracciare paralleli con la situazione odierna».
Quindi fa bene Dante a confinarlo all’Inferno?
«L’antipatia di Dante non era infondata. Nel suo linguaggio "viltà" esprime soprattutto una bassa estrazione sociale, però i motivi storici per attaccare Celestino V non gli mancavano: come primo atto da Pontefice creò sette cardinali filo-Angioini, però malgrado l’insana alleanza trono-altare si accorse presto di essere isolato e incapace di governare la Chiesa. Insomma fu un vaso di coccio tra vasi di ferro e giustamente si ritirò dopo che anche la sinistra francescana spirituale e ribelle di Jacopone da Todi gli aveva voltato le spalle. Capì che per governare la Chiesa non serviva un sant’uomo e lasciò il soglio all’avveduto e solido Bonifacio VIII che, malgrado le leggende nere, non ebbe alcun bisogno di farlo avvelenare visto che aveva 85 anni e morì poco tempo dopo».
Eppure per Benedetto XVI rappresenta un valido modello di santità...
«La storia parla chiaro. Tra interessi contrastanti e pressioni dei re Angioini di Napoli legati alla corona francese, il molisano Celestino V fu eletto in conclave a Perugia, si fece incoronare all’Aquila (dove aveva fondato un ordine religioso poi sciolto) proprio per riposizionare la Chiesa sotto l’asfissiante controllo napoletano-francese. Anche l’indulgenza plenaria (la perdonanza) aveva l’intento, più politico che morale, di avversare la corte pontificia. Dunque è pericoloso riabilitarlo. Tanto più che, come oltraggio a Roma, Celestino V fu canonizzato ad Avignone dal papa-burattino francese Clemente V per volontà di Filippo IV, il re di Francia che aveva azzerato i Templari e arrestato Bonifacio VIII. Papa Ratzinger è un fine intellettuale e doveva riflettere di più prima di esaltare la memoria di Celestino V, suo debole predecessore. Fu ostaggio di giochi dinastici e gravemente inadeguato al compito».