IL DIBATTITO
Neuroscienze, quante sfide al pensiero
Da Venezia Maria Laura Conte (Avvenire, 17.07.2007)
Ma che c’entra un cardinale con le neuroscienze? Non dovrebbe occuparsi d’altro un vescovo nel giorno della Festa del Redentore e nel suo discorso rivolto alla città e divenuto ormai una tradizione consolidata? L’obiezione che ha aperto il vivace dibattito radiofonico in onda sul circuito delle radio Inblu di ieri mattina, dedicato al tema del discorso del Patriarca di Venezia di quest’anno, «Infrangere il tabù dell’anima per giovarci delle scienze», pronunciato domenica sera e pubblicato su Avvenire, ha trovato subito la pronta risposta di Francesco Botturi, filosofo: «Un cardinale si occupa di queste cose perché queste cose si occupano di lui». Un vescovo come ogni persona e di buon senso, ha osservato Botturi, si rende conto che oggi «le neuroscienze, come tendenza della cultura e della riorganizzazione culturale che è in atto, si stanno occupando sempre più dell’uomo come tale e della sua identità». Oggi è come se le categorie usate normalmente nella fede cristiana fossero emarginate o sostituite, per cui per il filosofo è tempo di affrontare la domanda di fondo: «Che valore hanno ancora termini fondamentali della tradizione cristiana come il tema dell’anima? Le tecnoscienze aprono spazi inediti sull’intervento tecnico sull’uomo e ancora più vastamente sembrano stabilire una svolta epocale del rapporto tra natura e cultura. Questo è il punto serio che va affrontato».
Anche «allargando la ragione», tema ripreso da Emanuele Severino: «La filosofia - ha richiamato il filosofo - ha sempre mostrato che la ragione ha una larghezza essenzialmente maggiore del sapere scientifico e qui la Chiesa fa bene a rivendicare qualcosa che solo l’ingenuità di alcuni scienziati nega. I problemi e le difficoltà emergono poi sui contenuti di questa ragione». Una «larghezza» nella quale su muove nel suo mestiere quotidiano di cosmologo e astronomo Guido Chincarini, per il quale «la scienza non può in realtà spiegare la fede né dare spiegazioni razionali delle religioni, così come la fede e la religione non possono condizionare il procedimento scientifico». Ma restano come realtà tremendamente necessarie alla vita umana che, per Chincarini, devono convivere e interessarsi l’una dell’altra. Anche perché, per quanto irruento sia il progresso delle neuroscienze, secondo Giorgio Israel, matematico, resterà sempre qualcosa di non riducibile a pure questioni di processi di numeri o materia: «C’è un pericolo mediatico: si fa credere tutti i giorni di aver scoperto il gene di questo e quello e di aver spiegato tutto. In realtà si è descritto, ma non si è spiegato nulla. Le neuroscienze possono descrivere cosa accade nel mio cervello quando penso, ma di qui a dire che quello che accade nel mio cervello sia la causa dei miei pensieri, questo non solo non è stato dimostrato, ma è indimostrabile». Per questo le neuroscienze per il matematico sono destinate al fallimento, perché il loro progetto di ricostruire su basi materiali tutte le manifestazioni del pensiero presume comunque una base di carattere metafisico, quindi è di fatto auto-contraddittorio.
Come è carica di contraddizioni la promessa di felicità che si pretende dalla tecnoscienza: «Il problema - ha rilevato Alberto Strumia, teologo e fisico-matematico - è mettere a fuoco la connessione tra il grado di vivibilità delle nostre società e i principi metafisici e antropologici su cui esse si fondano». Perché secondo Strumia le cause dell’invivibilità delle nostre società stanno nei nodi teorici che riguardano la ragione umana e la concezione dell’uomo. Per pensare il quale - è tornato ad approdare qui il dibattito - è impossibile eludere la dualità anima-corpo.