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Europa, Europa....

EFFETTO-PEOPLE. «PIPOLISATION»: "BERLUSCONISATION"!!! Dopo l’Italia, è l’ora della Francia. LO "SPECCHIO MAGICO" E’ PRONTO !!! I francesi avevano l’impressione di traversare un deserto, e all’orizzonte non vedevano più il corpo del re. Adesso lo vedono, lo sentono incredibilmente vicino. Ségolène Royal: "Sum ... EGO’" !!! L’analisi di Barbara Spinelli.

domenica 26 novembre 2006 di Federico La Sala
[...] Il colmo l’ha raggiunto Ségolène Royal in un dibattito sulla politica estera alla vigilia delle primarie. Interrogata sull’ingresso della Turchia in Europa e anticipando un no francese al referendum ha detto: «La mia opinione è quella del popolo francese». È stata una vera bomba, ha commentato il direttore di Charlie Hebdo, Philippe Val: «È come se Mitterrand candidato avesse detto, a proposito della pena di morte: “La mia opinione è quella del popolo francese”. Oggi (...)

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> EFFETTO-PEOPLE: «PIPOLISATION». Dopo l’Italia, è l’ora della Francia. LO "SPECCHIO MAGICO" E’ PRONTO !!! I francesi avevano l’impressione di traversare un deserto, e all’orizzonte non vedevano più il corpo del re. Adesso lo vedono, lo sentono incredibilmente vicino: "Sum ... EGO’" !!! L’analisi di Barbara Spinelli.

domenica 26 novembre 2006

Il “terremoto rosa” nelle stanze del potere

L’autonomia insolita di Ségolène

di Lea Melandri (Liberazione, 24.11.2006)

Se gli uomini non avessero fissato in una immobilità senza tempo i ruoli opposti e complementari del maschio e della femmina, nessuno definirebbe un “terremoto” gli avvenimenti recenti che hanno visto l’elezione o la candidatura di alcune donne alle cariche più alte dello Stato. Ma così è andata la storia e oggi che le parti cominciano a confondersi ben vengano i “fiumi di inchiostro” che si interrogano per capire di che entità sia la scossa, da quali profondi squilibri sia stata provocata, quali nuovi assestamenti stia preparando e che nomi darle.

Nancy Pelosi, Hillary Clinton, Ségolène Royal, sono sicuramente le figure emblematiche di una “svolta” destinata a segnare profondamente l’immaginario e la coscienza collettiva, ma quanto sono tra loro assimilabili, quanto conta nella loro eccezionale riuscita il fatto di essere donne, e, soprattutto, di che successo si tratta? Da sponde diverse, viene fatto notare che «in politica non tutte le donne sono donne» (Il Foglio, 17.11.06), che «le donne al potere sono come gli uomini al potere» (Roudinesco, Liberazione, 18.11.06), da cui si deduce che la femminilità, su quella scena tutta maschile, o neutra come la si è sempre rappresentata, non può avere alcun peso, e se ce l’ha, è legittimo il sospetto che sia strumentale, “un’operazione di marketing”.

Tutti sanno che far carriera politica è ormai una professione - che vuol dire saperi, linguaggi, competenze particolari; ma è soprattutto l’esercizio di un potere “virile” fin dalle sue lontane origini. Se le donne che tentano la scalata, strada facendo si uniformano al sistema già dato, per subalternità, per adattamento o per il piacere della sfida ad armi pari, non dovrebbe sorprendere, almeno non quanto la capacità di alcune di loro di conciliare col duro apprendistato politico le tradizionali funzioni di moglie e madre.

Vedere la propria simile nei luoghi che sono stati storicamente appannaggio dell’altro sesso, sicuramente fa crescere bambine e giovani donne con una percezione diversa di sé, ma se non intervengono altri cambiamenti il rischio è di vivere una doppia colonizzazione. La maggiore fissità o permanenza di prototipi antichi è sicuramente quella che, incapace di cogliere i segni di un mutamento nel modo di essere di uomini e donne, si affanna a ricucirvi sopra le maschere note del maschile e del femminile.

La bellezza, l’eleganza, la pragmaticità, la seduzione, la capacità di reperire fondi, i legami affettivi, appartengono a un sesso quanto all’altro, ma a nessun commentatore verrebbe in mente, se avesse di fronte un uomo politico, di notare se ha denti perfettamente bianchi e allineati, se veste sobrio o vistoso, se ha fianchi larghi, se sorride troppo o poco, se sta con la schiena dritta o curva, se vuole sedurre o convincere. Tanto meno si soffermerebbe sulla sua vita privata, figli, mariti, amanti, attitudini domestiche. Ma è quello che quasi tutti i giornali hanno fatto, e che è apparso in tutta la sua evidenza, contraddittorietà e goffaggine proprio là dove si profilava una figura diversa, come quella di Ségolène Royal.

Ha fatto eccezione Bernardo Valli (Repubblica 18.11.06) che ha via via preso a delineare una figura complessa, portatrice di un nuovo linguaggio, un modo di far politica fuori dagli schemi tradizionali, un’autonomia da modelli sia femminili che maschili. «Ségolène ha sempre dato l’impressione di non far parte del circolo degli eletti. Ne ha rifiutato gli atteggiamenti e il linguaggio. Questo rifiuto la fa apparire non solo diversa ma nuova. Benché ne faccia parte, risulta estranea all’élite della classe politica, sempre più impopolare nella società civile... Attacca puntualmente la destra e gli abusi dell’economia di mercato. E lo strapotere dei ricchi e la disattenzione verso i deboli di chi governa. Ma senza i soliti slogan. Cita piuttosto esempi concreti e racconta le sue esperienze. Entra nei dettagli della vita quotidiana, nelle famiglie, nelle scuole, negli ospedali, nei luoghi di lavoro. C’è in Ségolène Royal il gusto della trasgressione. Che applica con un esemplare perbenismo...E’ riferendosi a lei che il panorama politico si ridisegna».

In altri commenti, tra cui quello della psicanalista Elisabeth Roudinesco, la “novità” di Ségolène viene invece riportata a vecchie equivalenze tra femminile, emozioni, apparenza, seduzione. E’ interessante notare come questa visione semplificata e dicotomica si allarghi fino a includere in un femminile svalutato e minaccioso un’intera società, in quelli che sono oggi i suoi aspetti più nuovi, anche se discutibili. Dice Roudinesco, nell’intervista riportata da Liberazione: «La nuova generazione dei politici pratica una “politica-media”: una politica che fa leva sull’apparenza più che sui contenuti...La politica sta uscendo dai partiti e sta entrando nell’opinione. I partiti perdono potere e se questo finisce nelle mani delle emozioni della società civile, in balia delle immagini e dei media, allora siamo in pericolo». Apparentemente la critica di Roudinesco, come quella di altre politiche e femministe francesi, non si appunta sulla femminilità - «Non credo che abbia successo perché è una donna» - ma di fatto, ad essere confuso in un femminile che porta segni di negatività e pericolo, e come tale rifiutato, è tutto il lavoro di Ségolène, il rinnovamento che essa rappresenta per la sinistra francese e, in genere, per la politica tradizionale.

E’ proprio sul rapporto tra società civile, opinione pubblica, partito e sfera privata - coppia, figli, ruoli genitoriali - che Ségolène Royal sta dimostrando un’autonomia insolita da schemi noti, contrapposizioni e complementarietà date come naturali. Chi le rimprovera la solitudine e la forte convinzione personale, le incertezze e le inclinazioni autoritarie, repressive, sembra non voler vedere la difficoltà di aprire strade nuove, in un terreno minato da storiche complicità maschili, appartenenze, gerarchie, obblighi di fedeltà.

L’ascolto dell’opinione dei cittadini, soprattutto dei più svantaggiati, l’appello perché facciano sentire le loro idee e la loro volontà di agire, ha preso corpo in un Forum lanciato su Internet - “Desideri di avvenire” - a cui tutti possono partecipare, discutendo, facendo proposte; ma si è tradotto anche in un interessante laboratorio di democrazia partecipativa in un liceo, vicino a Poitiers, dove studenti, genitori, personale scolastico e funzionari della Regione decidono insieme in assemblea come destinare i fondi pubblici per la scuola. Quello che ad alcuni è parso il limite della formazione di Royal, essere passata attraverso ministeri poco “virili”, come l’Ambiente, l’Istruzione scolastica, la Famiglia e l’Infanzia, è, in realtà, l’esperienza che le ha permesso, non importa quanto consapevolmente, di ribaltare alcune priorità della tradizionale agenda politica e di cogliere alcuni dei problemi essenziali di una società in via di cambiamento.

Ordine, sicurezza, autorità, temi che la sinistra rimprovera a Ségolène di aver fatto propri, varcando uno dei confini ideologicamente più netti rispetto alla destra, se visti in un modo “giusto”, cercando di affrontare alla radice le cause che li muovono, possono colmare quel vuoto tra l’inquietudine delle classi popolari e l’intellettualità politica che è alla base della crisi dei partiti e, in generale, della democrazia. Oggi, nella “civile” Europa, che agita il fantasma dello straniero, barbaro e aggressivo, ci si affanna in realtà per arginare un’ondata di violenza, cinismo, indifferenza, che avanza dai suoi interni di famiglia, dalle sue classi sociali benestanti, dai suoi figli più curati, dalle sue scuole, dai luoghi primi essenziali della formazione dell’individuo e della società. Eppure, la classe politica sembra ancora lontana, sorda, incapace di affrontare l’onda che monta e che oggi ha nomi precisi: razzismo, sessismo, qualunquismo, indifferenza.

Il programma di Ségolène, che chiunque navighi in Internet può visitare in migliaia di siti, parla di educazione alla cittadinanza, di nuove forme di genitorialità e di convivenza, di alternative al carcere per la delinquenza minorile, di una campagna di sensibilizzazione contro la violenza: una responsabilizzazione collettiva che mette sullo stesso piano la giustizia sociale, i problemi del lavoro, l’immigrazione, le politiche internazionali con il deterioramento del legame sociale, il ripensamento dei processi educativi, a partire dalla prima infanzia. Alcune proposte sono discutibili, come l’idea di scuole per genitori i cui figli commettano atti di inciviltà, e la sospensione degli assegni famigliari; il progetto di impegnare i minori che delinquono in azioni umanitarie nel Terzo mondo, inquadrandoli in strutture militari. La figlia di un colonnello di artiglieria, quale è Ségolène, traspare dietro la donna politica che già si sente chiamata da una eccezionale investitura a un “grande dovere”, che dice di sé di non essere “autoritaria” ma “esigente”.

Anche del rapporto tra i sessi non viene detto niente esplicitamente, e neppure si fa accenno al femminismo, ma ci sono segnali indiretti, maturati dall’esperienza personale, che valgono quanto una lunga militanza. «Prima di abbracciare l’idea socialista, ciascuna e ciascuno di noi si è alzato contro un’ingiustizia che gli sembrava intollerabile. Quanto a me fu il rifiuto del ruolo assegnato alle donne dalla tradizione che mi ha aperto gli occhi e ha improntato sempre il mio impegno. Dalla padronanza del proprio corpo fino alla battaglia ancora incompiuta per l’uguaglianza professionale e politica, senza dimenticare la sorte toccata alle donne ridotte in schiavitù in troppe parti del mondo». (http: /hebdo. parti-socialiste. fr/2006/10/11/135/).


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