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Europa, Europa....

EFFETTO-PEOPLE. «PIPOLISATION»: "BERLUSCONISATION"!!! Dopo l’Italia, è l’ora della Francia. LO "SPECCHIO MAGICO" E’ PRONTO !!! I francesi avevano l’impressione di traversare un deserto, e all’orizzonte non vedevano più il corpo del re. Adesso lo vedono, lo sentono incredibilmente vicino. Ségolène Royal: "Sum ... EGO’" !!! L’analisi di Barbara Spinelli.

domenica 26 novembre 2006 di Federico La Sala
[...] Il colmo l’ha raggiunto Ségolène Royal in un dibattito sulla politica estera alla vigilia delle primarie. Interrogata sull’ingresso della Turchia in Europa e anticipando un no francese al referendum ha detto: «La mia opinione è quella del popolo francese». È stata una vera bomba, ha commentato il direttore di Charlie Hebdo, Philippe Val: «È come se Mitterrand candidato avesse detto, a proposito della pena di morte: “La mia opinione è quella del popolo francese”. Oggi (...)

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> EFFETTO-PEOPLE: «PIPOLISATION». Dopo l’Italia, è l’ora della Francia. LO "SPECCHIO MAGICO" E’ PRONTO !!! I francesi avevano l’impressione di traversare un deserto, e all’orizzonte non vedevano più il corpo del re. Adesso lo vedono, lo sentono incredibilmente vicino: "Sum ... EGO’" !!! L’analisi di Barbara Spinelli.

lunedì 5 febbraio 2007

Parigi, Ségolène si gioca tutto

di Gianni Marsilli *

Ora o mai più: per Ségolène Royal è questa la settimana cruciale. Ha perso quota, mentre Sarkozy ne guadagnava. Lei «ascoltava», l’altro parlava. Al dibattito manca una voce, la sua. Da settimane si è creata un’attesa, ogni giorno più carica di aspettativa. Che cosa dirà Ségolène? Perché non si esprime compiutamente? Perché non svela al Paese il suo programma? O meglio, in buona sintesi: qual è la Francia che ha in mente? Ormai glielo chiedono tutti: gli avversari con sufficienza e anche scherno, gli amici e compagni con angoscia mal dissimulata. Lei ha resistito, ma i tempi si fanno brevi e il respiro diventa corto. Finalmente una data per il discorso che dovrà essere per forza fondatore, memorabile: domenica 11 febbraio. Aumenta l’attesa, ma più aumenta l’attesa più crescono i rischi di una delusione. Per questo sono giorni decisivi per Ségolène. Rappresentano un crinale: di qua l’abbrivio ritrovato, di là la fatica dell’inseguimento.

Non è lo scenario che lei avrebbe voluto. Pensava di trarre maggiori benefici dalla «fase d’ascolto», queste migliaia di riunioni, soprattutto in provincia, che danno vita alla «democrazia partecipativa», brevetto politico del quale è la sola e testarda titolare. Un tema, una sala, migliaia di inviti. Nessuna vedette al microfono, il quale invece passa alla gente. Si raccolgono umori, ma anche idee. I dirigenti politici fanno più i notai che i tribuni, e non a tutti piace. Poi fanno pervenire il rendiconto al quartier generale di Ségolène, che rielabora e sintetizza. Educazione, ambiente, energia, sicurezza, trasporti, carovita, salari, tutto viene recepito e inoltrato. Dura da due mesi e i media trovano qualche difficoltà, e riottosità, a seguire correttamente simili dibattiti poco spettacolari, privi di primedonne, senza posta in gioco che non sia la possibilità offerta a tutti di parlare, spesso, inevitabilmente, dei propri guai, anche piccoli, anche noiosi, non certo da prima pagina. Ma lei ha insistito, contro venti e maree e soprattutto contro lo scetticismo degli «elefanti» del partito, piegatisi di malavoglia all’esercizio. Per loro, e per molti altri, sarebbe stato meglio dar vita ad una campagna classica e intensa: meeting e comizi e molta tv, in modo da creare «una dinamica». Ségolène avrebbe voluto continuare per tutto il mese di febbraio, e appena in marzo (si vota il 22 aprile) trarre le conclusioni e accendere i motori della vera campagna elettorale. Ma le cose non sono andate come lei aveva immaginato.

È successo infatti che Nicolas Sarkozy abbia indovinato subito il tono e il ritmo della sua campagna. Dal 14 gennaio, giorno del suo discorso d’investitura, campeggia sulla scena. Canta da solo, e canta bene. Come dice Olivier Duhamel, professore a Scienze politiche e già deputato europeo socialista, è riuscito a "raccontare una storia" ai francesi. Gli ha fornito cioè subito, appena entrato in scena, la sua idea della Francia, e ancor di più del sentimento forte, fortissimo che ad essa lo lega. Senza roboante grandeur, ma con passione. Ha parlato, e continua a parlare, da presidente di tutti. Ecumenico, si rivolge alla sinistra ponendo al centro del suo programma «il lavoro», citando splendide frasi di Jaurés e Blum, che della sinistra, socialista e comunista, sono i padri fondatori. Dice ogni volta che può: «Perché la sinistra non ascolta più la voce di Jaurés?». «Giù le mani da Jaurés», gli gridano dall’altra parte, ma si avverte la sorpresa, e un certo sconcerto, più che l’oltraggio per l’indebita appropriazione. Una buia e gelida mattina alle quattro è lui, Sarkozy, che si presenta ai mercati generali di Rungis, immenso (il più grande del mondo) e brulicante centro di vita lavorativa: facchini, magazzinieri, macellai, pescivendoli, fruttaroli, medici, veterinari, chimici, trasportatori, agricoltori, allevatori, tutta la folla che converge lì a quell’ora perché la capitale sia correttamente e igienicamente foraggiata di ogni ben di dio. A quell’ora Rungis è ancora una pagina di Zola, è uno dei cuori pulsanti del paese, un suo gene identitario. Ed è lui che si ferma a disputare uno per uno voti popolari che vanno a Le Pen («Perché lo voti? Sai benissimo che non sarà mai eletto»), o ai socialisti («Non sarebbe meglio lavorare di più e guadagnare di più, invece delle 35 ore?»). È sempre lui che il giorno dopo va a pranzo dal laburista Tony Blair, per lodarne la capacità innovativa e i successi economici e sociali, e per prenderne nettamente le distanze a proposito dell’Iraq. È lui che ogni volta che apre bocca parla al «popolo», perché sa che il primo partito tra gli operai è il Fronte nazionale e il secondo l’astensionismo, mentre la metà dei «quadri» è pronta a votare Ségolène, e che se li tenga. E naturalmente con Sarkozy viaggiano le telecamere che ne captano anche i sospiri, e chi non c’era non si perde nulla. Conclusione: 10 sondaggi di fila raccontano ormai di uno scatto e di una fuga di Sarkozy, vincitore - se si votasse oggi - con un bottino tra il 52 e il 55%. Ségolène, che era la lepre, è diventata l’inseguitrice.

Sono queste, in sostanza, le ragioni che spingono Ségolène a scendere direttamente nell’arena questa settimana. Già in questi ultimi giorni i «dibattiti partecipativi» cambiavano natura, assomigliavano di più a meeting elettorali, quelli dove si galvanizzano le truppe e si scaldano i cuori. Martedì ci sarà un’anteprima, comizio a Parigi con il sindaco Delanoe. Lei stessa ha cominciato a precisare qualche intento programmatico: qui la chiusura progressiva delle centrali nucleari più desuete, lì la patente gratuita per i giovani con un diploma professionale, qui la nomina di un vicepremier addetto allo «sviluppo compatibile e durevole», lì diecimila euro di prestito gratuito per i debuttanti nel mondo del lavoro, qui una legge che punisce le violenze coniugali, lì la gratuità della contraccezione «per tutte le ragazze di meno di 25 anni».

Ma Ségolène appare ancora compilativa. Manca la sintesi, il messaggio forte. Per questo cresce l’attesa per l’11 febbraio. Cresce pericolosamente, tanto che i collaboratori di Ségolène tendono talvolta a minimizzare l’evento: la candidata fornirà «i grandi orientamenti», riservandosi il do di petto per una data più vicina alle elezioni. Bene per i «grandi orientamenti», obiettano in molti, purché sul podio, domenica prossima, ci metta il cuore, l’anima, insomma il reattore nucleare di un candidato presidenziale. Anche perché eventuali vuoti saranno presto riempiti: sono già cinque, i candidati a sinistra, compreso l’altermondialista José Bové che invita tutti «all’insurrezione elettorale antiliberale». Più il centrista europeista François Bayrou, che approfitta di ogni punto che Ségolène lascia per strada. Lo danno al 10-12 per cento, alla pari con Le Pen l’immarcescibile.

* l’Unità, Pubblicato il: 04.02.07 Modificato il: 04.02.07 alle ore 15.07


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