Inviare un messaggio

In risposta a:
Politica

Lettera a Prodi, Fassino e Veltroni, da parte degli amici del Phorum Palestina e compagni

Sulla visita a Sharon: un documento da leggere subito e divulgare all’istante
sabato 21 maggio 2005 di Emiliano Morrone
All’On.le Romano PRODI
All’On.le Piero FASSINO
Al Sindaco Walter VELTRONI
Abbiamo appreso dalla stampa che avete in programma una visita in Israele, dove incontrerete ufficialmente il Primo Ministro Ariel Sharon. Riteniamo che questo incontro sia un atto politicamente inopportuno e moralmente deplorevole, per i seguenti motivi.
Ariel Sharon non è un leader politico qualsiasi: è direttamente responsabile dell’assassinio di migliaia di uomini e donne, la cui unica colpa era quella di essere (...)

In risposta a:

> Lettera --- «Noi israeliani e palestinesi uniti dal rock, insieme in tour» I due gruppi metal: sfidiamo la guerra con la nostra musica (di Irene Soave)

sabato 31 agosto 2013

«Noi israeliani e palestinesi uniti dal rock, insieme in tour» I due gruppi metal: sfidiamo la guerra con la nostra musica

di Irene Soave (Corriere della Sera, 31.08.2013)

Hanno molto in comune: capelli lunghi, barbe folte, magliette nere. E fanno la stessa musica: metal con venature folk. Ma gli Orphaned Land, considerati fondatori dell’oriental metal con all’attivo 22 anni insieme e 7 dischi in ebraico e inglese, fanno base a Gerusalemme; i Khalas, più giovani, sono arabi e vivono ad Acri, a nord di Haifa. Le due band, israeliana e palestinese, sono in partenza per il loro primo tour insieme: 18 concerti in tutta Europa, che gireranno a bordo dello stesso pulmino, arrivando in Italia per due date a ottobre, rispettivamente il 22 a Roma e il 23 a Romagnano Sesia (Novara).

«Il messaggio è semplice: siamo sul palco insieme. Suoniamo insieme. Andiamo a tempo, si spera», ride Kobi Farhi, leader degli Orphaned Land. «Il messaggio è: si può fare. Solo chi ci comanda non lo vuole. La guerra conviene a tutti i nostri politici, che basano il loro potere su sfumature, opinioni, equilibri che in pace non esisterebbero. Servirebbe un leader disinteressato come Gandhi o Mandela».

In Israele gli Orphaned Land sono il gruppo metal più famoso, e hanno un discreto seguito - censura permettendo - anche nei Paesi arabi: «In quasi tutti, con il nostro passaporto israeliano, non possiamo esibirci - continua Farhi - e i nostri dischi non sono distribuiti. Ma nel nostro primo live in Turchia, pochi mesi fa, dal pubblico spuntavano bandiere iraniane, tunisine, egiziane, siriane. E naturalmente palestinesi».

Viceversa i Khalas suonano spesso a Gerusalemme o a Tel Aviv, e i loro pezzi passano alla radio israeliana. Proprio lì, nel 2005, i due gruppi si sono incontrati. «Dietro le quinte, ospiti dello stesso programma. Da lì ci siamo piaciuti, non so come dire - racconta il chitarrista e fondatore dei Khalas, Abed Hathut -. Siamo diventati amici: i nostri figli giocano insieme, parliamo di tutto e litighiamo solo per chi paga al ristorante. Ecco quanto è facile».

La «coesistenza pacifica» di musicisti israeliani e palestinesi su un palco ha un precedente autorevole: la West Eastern Divan Orchestra di Daniel Barenboim, che dal 1998 riunisce in una formazione sinfonica giovani musicisti dei due Paesi. Ma il metal è tradizionalmente un genere più aggressivo (quando non addirittura esplicitamente razzista, come alcuni gruppi di black metal).

«Che vuol dire? Ci sono metallari vegetariani e band come i Black Sabbath che staccano la testa ai pipistrelli in scena», protesta Farhi. «Il nostro modello sono i Rage against the machine, antisistema come noi. Che cantiamo solo di politica, mai fatto una canzone d’amore; ma non prendiamo le parti, non sosteniamo una linea, come fece Roger Waters che suonava in Israele al grido di “Abbattete il muro”. Io non ho mai votato nella mia vita. Credo però nella pace».

Meno duri e puri sono invece i Khalas (il cui nome, comunque, significa «basta»): il loro ultimo album, in arabo, è una collezione di musiche da matrimonio, anche se «da 15 anni suoniamo insieme, e siamo sempre stati piuttosto impegnati», spiega Hathut. «Però non è che si può cantare solo dell’occupazione, come certo pubblico pretende da noi. Ci danno dei filoisraeliani tutti i santi giorni, solo perché dopo quindici anni di musica da trincea abbiamo fatto un album sentimentale. E dall’annuncio di questo tour la nostra pagina Facebook è stata assaltata. Per questo ci terrei a dire che questo tour non è un progetto politico. Al contrario, è un progetto sovrapolitico: la musica è al di sopra, si eleva. E ci eleva, facendoci scordare gli estremismi».


Questo forum è moderato a priori: il tuo contributo apparirà solo dopo essere stato approvato da un amministratore del sito.

Titolo:

Testo del messaggio:
(Per creare dei paragrafi separati, lascia semplicemente delle linee vuote)

Link ipertestuale (opzionale)
(Se il tuo messaggio si riferisce ad un articolo pubblicato sul Web o ad una pagina contenente maggiori informazioni, indica di seguito il titolo della pagina ed il suo indirizzo URL.)
Titolo:

URL:

Chi sei? (opzionale)
Nome (o pseudonimo):

Indirizzo email: